Teatro Auditorium di Fiesole
L’intervista all’architetto fiorentino Carlo Carbone.
la Redazione
Ancora una volta parliamo di un bel lavoro dell’architetto Carlo Carbone. Si tratta del progetto di un teatro e auditorium a Fiesole, uno dei sobborghi più esclusivi di tutta Firenze. Anche se a fatica e con vicende alterne, l’inaugurazione è finalmente avvenuta nel novembre del 2022.
C’è voluta una gestazione lunga vent’anni, ma anche Fiesole può vantare uno spazio degno della magia del teatro. Certo, è anche uno spazio polivalente, al servizio della cittadinanza… ma non chiamatelo soltanto auditorium! La musica, il teatro e la parola sono stati i veri protagonisti di questa grande operazione di recupero.
La partenza risale al progetto originario dell’architetto fiesolano Emilio Guazzone, risalente al 2001, con la posa della prima pietra nel 2003. Poi una serie di complicazioni, errori e passaggi di mano; infine, l’inaugurazione nell’autunno del 2022 con il progetto completato, realizzato e finalizzato da Carlo Carbone.
Il risultato è un vero gioiello di modernità e tecnologie all’avanguardia, a pochi passi dal rinomato teatro romano della città – che da parte sua funziona ancora a pieno regime, dopo quasi duemila anni di storia.
Il teatro nuovo è stato concepito come spazio culturale polifunzionale, con una capienza, fra palco e galleria, di 315 posti. Oltre alla sala principale, è dotato anche di una sala espositiva e di terrazze panoramiche.
Il Comune di Fiesole ha dato mandato a una società creata ad hoc, la Teatro Fiesole srl, di gestire lo spazio e il suo cartellone. L’azienda riunisce le competenze di alcune operatori dello spettacolo già affermati, come Essevuteatro New, AdArte e PRG, ed esperti del settore eventi e concerti come Federico Babini, Claudio Bertini, Massimo Gramigni, Giovanni Vernassa e Lorenzo Luzzatti.
Per il risultato finale, l’azienda si è poi affidata alle soluzioni acustiche innovative di Carlo Carbone, che abbiamo raggiunto telefonicamente per farci raccontare cosa c’è stato alla base del suo lavoro.
Carlo, è bello risentirti. Ci racconti i concetti che ti hanno ispirato nella finalizzazione di questo teatro?
Il risultato finale doveva essere quello di conciliare le esigenze sceniche e quelle del pubblico, tenendo sempre in conto di progettare uno spazio dove si sarebbero alternati musica rock e teatro, opera lirica e cinema. Per raggiungere questo risultato ho utilizzato le idee di alcuni pilastri dell’acustica applicata, come Oskar Heil, Harry F. Olson e Manfred Schroeder, oltre all’esperienza che ho accumulato in decine di realizzazioni e confronti con grandi professionisti italiani, come Daniele Tramontani, Orlando Ghini e Antonio Paoluzi.
Partendo dall’inizio…
Pensare a un teatro significa sempre risolvere l’equilibrio tra la scena e il pubblico. È un argomento che si presenta sempre, un tema onnipresente che permea il progetto. Tecnicamente, l’involucro interno deve essere fatto con una certa armonia: deve vibrare, risuonare, riflettere e assorbire, e lo fa tramite i materiali e il loro modo di essere disposti e poi fissati.
Per quanto riguarda il lato più emotivo, ho preso come punto di partenza l’impressione che ho avuto la prima volta che l’ho visitato. Era uno spazio vuoto. Sono partito da lì, e poi ho ricomposto l’idea come uno sviluppo per parti, come una partitura: ho diviso le soluzioni formali, ognuna con una sua specifica regola formale e funzionale. Nessuna integrazione diretta, nessuna apparente comunione, ma uno sviluppo in contemporanea.
Hai cercato un equilibrio visivo, prima che acustico?
Questo rapporto di equilibrio e armonia visiva è commentato dalla luce che, come una pioggia, scende e riverbera la sua umidità sulle superfici delle pareti e del parterre. È un insieme di elementi che si condensano intorno allo spazio vuoto, il teatro: uno spazio umano, sacrale, che è sorgente di rapporti e invenzioni, fuori dal tempo eppure parte e autore del suo tempo. In questo luogo, spesso un interrogativo è motivo di meraviglia. In particolare, questo teatro è destinato a perseguire la qualità di tutte le musiche e di tutte le parole, per dimensione e posizione.
L’obiettivo era chiaro nella tua mente. Ma come ci si arriva?
Il risultato ottenuto è l’interpretazione di questi obbiettivi e di tutte le loro differenti necessità. È una fusione di idee, tecnica, tecnologia, materiali, arredo. La buona riuscita è dovuta, fortuna rara, dall’essere stato ben supportato da coloro che lo hanno realizzato e da coloro che lo hanno voluto.
Il palco è privo di divisioni all’italiana, senza boccascena e proscenio. Ho pensato a soluzioni che abbattessero il tempo di riverberazione da 1,8 a 0,8 secondi, cercando di ottenere riflessioni a pettine senza incroci e riducendo al contempo le interferenze. Il fondo del palco è diffondente e amplificante, sfruttando la metodologia di Schroeder per ottenere un mega rifrattore da 120 Hz a 800 Hz. Questo coadiuva le frequenze nella diffusione ottimale in sala, in assenza di amplificazione. Inoltre sono presenti delle “finestre” riflettenti e fonoassorbenti che hanno lo scopo di arricchire l’area dell’orchestra ed eliminare le riflessioni laterali.
Il soffitto della sala è stato risolto con un sistema dinamico fatto da due facce, con una soluzione che coniuga estetica e funzionalità. È una geometria che ricorda le vele, con una faccia in legno e ferro e l’altra in materiale fonoassorbente. Avendo la possibilità di essere orientati meccanicamente, i pannelli diventano degli “specchi rifrangenti” verso il pubblico. Permettono un guadagno di +3 dB e mantengono un ritardo di 80 ms rispetto al suono diretto. Questa soluzione è frutto degli esperimenti e delle soluzioni adottate al Mandela forum di Firenze, al Koreja di Lecce e al teatro Rasi di Ravenna.
Grazie alla diversità dei materiali, alla loro diversa risposta acustica, è possibile una grande capacità riflessiva delle superfici, in modo che la sorgente sonora, quando non amplificata, arrivi comunque dalla prima fila fino in cima alla tribuna. Sul lato opposto, realizzato con pannelli assorbenti, si lavora invece per gestire al meglio le sorgenti amplificate elettronicamente.
Questi accorgimenti coniugano estetica e funzionalità, permettono di adattare la sala in tempi rapidi e ottenere le migliori performance acustiche. In assenza di amplificazione elettronica si esaltano le qualità di diffrazione ottenendo un rapporto di potenza e una densità del suono uniforme. Allo stesso tempo, in caso di sorgenti audio amplificate, sono apprezzabili anche le capacità di assorbimento.
Insomma, non ci saranno problemi di intelligibilità.
In ogni caso dal palco proviene sempre, nitida e forte, ogni nota della musica e ogni sillaba della frase. Musica e parola sono state al centro di ogni mio pensiero.
Sono tutte considerazioni su un modo di sentire lo spazio e vedere la sua musicalità, sono l’espressione immediata dei sentimenti che vengono suscitati ogni sera, quando la sala spegne le sue luci. Con il metodo di Manfred Schroeder, è possibile diffrangere nella sala, mantenendo sempre inalterata la potenza e la densità del suono.
E allora, non vediamo l’ora di assistere a uno spettacolo in questa nuova venue. La conclusione, il risultato finale è la realizzazione di uno spazio dove la rappresentazione di ogni tipo di evento è possibile, e sempre con una qualità ai massimi livelli. Un punto di arrivo, dopo vent’anni, che è frutto dell’ingegno e dell’esperienza di professionisti di alto livello.