Cosa si è preso e cosa si è perso - prima parte

Normative e musica dal vivo...La storia delle regole ma anche delle beghe....

di Carlo Carbone

 

Ormai è appurato che ogni manifestazione, a meno che non sia politica o religiosa, debba sottostare ad un controllo delle emissioni. C’è stato un tempo in cui non era così. Molti di voi erano nati ma non lo sapevano. Ma cominciamo dal principio, dalle eccezioni.

Campane e comizi di ogni genere e fattura hanno una strada facilitata se non addirittura, massimo della semplificazione nel nostro paese, non sono neppure considerate nei regolamenti emanati in applicazione della legge.

In verità alcuni regolamenti comunali proibiscono nei centri storici l’uso delle campane in orari da certosini ma sono rare eccezioni.

Le eccezioni, di fatto, nel trattamento del fenomeno “rumore” non finiscono qui. Con norme di peso nazionale, hanno tragitto semplificato sorgenti quali ferrovie, strade o aeroporti, ovvero, a detta di uno studio del 2000 del Ministero dell’Ambiente e della ormai defunta ANPA (Agenzia Nazionale Protezione Ambiente), le sorgenti che quotidianamente contribuiscono a produrre oltre il 67 % del rumore e del superamento dei limiti nelle città, su un totale dell’87 % di popolazione esposta.

Lo studio elencava il traffico come responsabile dell’inquinamento acustico nel 56 % dei casi. Seguono i rumori provenienti dalle abitazioni circostanti (16 %), i cantieri (7 %), le fabbriche e le industrie (6 %), gli aerei (6 %), i treni (5 %).

Per queste sorgenti sono state emesse nel tempo norme e contro-norme correttive che, di fatto, non rappresentano una reale risposta al problema, rimasto integro e complesso.

Lo sforzo normativo per il trattamento di queste sorgenti è sintetizzato in non oltre 2 kg di carta. Ricordiamoci, comunque, che non è la quantità ma la qualità il parametro da ricercare. Non si capirebbe, utilizzando il parametro kg/carta, il peso reale degli oltre 3 quintali di norme emesse per il controllo del rumore nei concerti dal vivo all’aperto che, sempre nello studio citato, parteciperebbero assieme alle restanti sorgenti come i cani, animali e attività di vendita su strada, giusto per citarne alcune, con un buon 3 % alla quantità di rumore inquinante che colpisce la popolazione.

Pensare che il padre della legge quadro, On. Valerio Calzolaio, aveva ben presente e opportunamente precisato nella norma l’importanza e delicatezza della musica dal vivo, proponendo per essa un percorso autorizzativo semplificato.

La legge quadro 447/95, sua figlia, dispone che le amministrazioni comunali, emanando i regolamenti attuativi di loro competenza, predispongano aree per la musica dal vivo e procedure semplificate di deroga per autorizzare, da parte del sindaco, questo tipo di spettacoli. Come dire che, talvolta, essere difesi produce l’effetto contrario.

Perché da indicazioni così rassicuranti si passi nell’applicazione della regolamentazione comunale ad accese, contraddittorie e talvolta dispotiche normazioni per questo settore, è fatto degno di indagine.

Si sa che organizzatori e promoter responsabili per il 90 % della gestione di questi eventi non sono persone tanto raccomandabili, e proprio per questo fanno questo mestiere, tra ballerine e cantanti. Nei casi estremi si ingegnano in attività poco serie, come ammette candidamente Massimo Gramigni: “Mi occupo di canzonette, faccio musica, non rumore”. Queste persone sono associate in organizzazioni la cui intenzione egemonica è dichiarata già nel nome: ASSOMUSICA, AGIS – nomi da cui è facile, anche non sapendo il latino, dedurre il ruolo e modo che attuano per la loro affermazione nel consesso sociale.

L’arcano prende consistenza se si considera la frequenza di occasioni di disturbo che tale attività impone alla città. Prendiamo ad esempio, per capire il fenomeno, una città a caso: Milano. Lo scorso anno la città è stata devastata da oltre 22 concerti dal vivo durante l’estate. Per fortuna che a parziale risarcimento di questa aggressione la città aveva disposto un esercito di oltre 2800 esercizi dotati di spazi esterni con un numero imprecisato di manifestazioni di intrattenimento, oltre ai consueti permessi per musica e intrattenimento rilasciati ai locali.

Il comune e la magistratura, in aderenza a esposti provenienti da parte di popolazione talvolta distante oltre 800 m dal luogo dello spettacolo (in fase di controllo dell’ARPA sono stati riscontrati livelli tanto bassi da essere inferiori ai limiti di zona senza alcun attività in esecuzione) hanno lavorato alacremente, mobilitando un esercito di persone tra amministrazione e ARPA, per rendere ancor più discutibile e complessa l’esecuzione di questi scellerati riti musicali.

La preoccupazione è stata così sentita che subito, da settembre, nella città che aveva visto l’emanazione di un codice semplificato di autorizzazione per queste manifestazioni già dal 1998, è stata istituita una commissione nella quale stanno studiando di tutto e di più per fare sì che non si ripetano questi gravi fatti.

Aspetteremo le risultanze di tanto lavoro con il consueto ottimismo.

Quindi, il messaggio è: avanti tutta contro la musica dal vivo e lasciamo perdere asfalti fonoassorbenti, barriere, scuole e asili costruiti con criterio (anch’essi soggetti a norma dal 1997, in questo caso sempre elusa). Questo perché, mentre autorizzare o no un evento è relativamente facile, eseguire controlli sullo stato dei luoghi, predisporre interventi correttivi o solo pensare di indire gare di appalto pubblico in rispetto a queste norme va a toccare nervi scoperti delle amministrazioni centrali e periferiche: capacità professionale e interessi.

Pensate che commissioni sarebbero necessarie per scrivere o riscrivere, controllare e collaudare opere previste dalla legge per il controllo del rumore nelle scuole (nelle mense i bambini mangiano con un livello equivalente di rumore (Leq) di 91 dBA) e nelle strade, riscrivere i protocolli di appalto delle opere pubbliche e delle infrastrutture.

Non si raggiunge la resistenza filologica del settore forse perché, alla fine, una multa o un processo penale per violazione all’art. 659 del CP costano meno dei biglietti omaggio; logica un po’ amara per chi in definitiva fa musica, a cui non può mancare il sapore della disperazione.

Nelle amministrazioni in cui il percorso procedurale per autorizzare queste attività è stato condiviso e studiato assieme agli organizzatori, queste tensioni sono un ricordo. Sono però casi rari e non geograficamente significativi.

L’amministrazione ha il diritto ed il dovere di occuparsi della gestione di questi eventi. Sono fonte di reddito, impiegano la città e spesso lasciano un bel ricordo e qualche amore in più. Non credo che la televisione possa fare altrettanto. Coniugando tutti gli elementi, comprese le predette considerazioni, è facile trovare un quadro di semplificazione autorizzativa nello spirito indicato dal legislatore a tutela anche della popolazione realmente più esposta al rumore.

È un percorso i cui indirizzi e limiti emergono dalle nostre conoscenze coniugando il sapere al rispetto delle regole, come dire: “Daremo il nostro buon esempio ben lavati e stirati”.