Veronica Iozzi - Caposarta
Il musical Priscilla torna al Teatro Arcimboldi di Milano per i suoi primi dieci anni: intervistiamo i protagonisti di questo spettacolo.
Per molto tempo abbiamo inseguito questo spettacolo, senza mai avere l’opportunità di incappare in qualche data. Finché il primo di marzo, al Teatro Arcimboldi di Milano, ce l’abbiamo fatta.
Una sola figura deve gestire oltre cinquecento costumi, ricchi di piume e paillettes, sessanta parrucche, centocinquanta paia di scarpe, e duecento cappelli. Veronica, come fai?
Il mio lavoro è incentrato sugli abiti e su tutti gli accessori che servono alla compagnia. È un lavoro che inizia qualche mese prima del debutto. Tutti i costumi e gli accessori sono stati acquistati, insieme al resto della scenografia, dalla compagnia inglese che detiene i diritti del format. È stato fatto un grosso lavoro di pulizia e ripristino di tutti i materiali che sono arrivati. Per citare un caso, le calzature: non a tutti i performer sono arrivate scarpe buone e della misura giusta. Per molti ruoli abbiamo dovuto comprare delle calzature nuove e adattarle al costume, nel colore e nella forma. Qualche volta abbiamo dovuto adattare il costume alle calzature: un lavoro tutto sommato semplice, ma che ci ha portato via molto tempo. Poi, con la regia, una volta definito il ruolo di ciascun performer, abbiamo adattato i vari costumi e creato un guardaroba personale per ognuno. Una volta superata questa fase, abbiamo organizzato ogni cambio scena e messo a disposizione una serie di assistenti per ogni cambio di costume.
I costumi hanno delle particolarità che aiutano il processo?
Assolutamente sì, altrimenti sarebbe impossibile. Il costume deve lasciare liberi in tutti i movimenti e deve essere pratico durante un cambio veloce. Vengono usate cerniere lampo, ganci particolari, o addirittura dei costumi multipli che, togliendo una parte o aggiungendone un’altra, permettono di avere già il costume successivo indossato, tipo quelli di Arturo Brachetti.
I costumi vengono fatti con stoffe tradizionali o particolari?
Usiamo stoffe tradizionali per i costumi e stoffe un po’ più particolari per i copricapo. In molte scene i performer usano dei cappelli molto vistosi e voluminosi, che vengono confezionati con materiali poveri e molto leggeri. In una scena finale, per esempio, i protagonisti indossano dei copricapo che sembrano delle parrucche pesanti del settecento, mentre in realtà sono leggerissimi e modellati con tappetini di foam da cucina.
E durante lo spettacolo come siete organizzati?
Siamo una squadra di otto persone che si dividono i vari compiti: tre sarte si dedicano esclusivamente ai tre personaggi principali, poi due persone per parte gestiscono tutti gli altri performer e io supervisiono tutto.
Bisogna anche dire che il nostro è anche un lavoro da psicologo: si crea un rapporto molto intimo con i performer: durante il cambio di costume, nella frenesia, sei costretto a mettergli le mani addosso, quindi deve nascere per forza un rapporto intimo e di rispetto tra le parti.