Taketo Gohara - Un giapponese a Milano
Alla scoperta di questo professionista che da molti anni si è sempre distinto come fonico e produttore in lavori sempre molto particolari ed interessanti, da Capossela ai Negramaro.
di Giancarlo Messina
Una canzone piuttosto ridicola di qualche anno fa, rilanciata da quei mattacchioni de “Il Ruggito del Coniglio”, si intitolava Una giapponese a Roma ed era un lungo elenco dei peggiori luoghi comuni pensabili sulla Capitale, cantati in compenso nel peggior modo possibile.
Ci torna in mente parlando del giapponese Taketo, anche se a Roma bisogna sostituire Milano ed ai luoghi comuni la ricerca ed il fascino per progetti e sonorità raffinati e di spessore.
Taketo Gohara, in effetti, è più che altro milanese, città in cui è nato nel 1975 ed in cui è vissuto da giapponese non troppo integrato, frequentando le scuole giapponesi e solo suoi connazionali fino ai 14 anni, quando ha deciso di iscriversi ad un liceo italiano. I suoi genitori infatti avevano preferito dare al figlio questa forte impronta nipponica, per quanto essi stessi avessero scelto di vivere nel capoluogo lombardo: il padre Yukio, pittore e designer arrivato a Milano dopo un periodo parigino, suoi i disegni per esempio del Grand Foulard Bassetti, e mamma Hiroko, soprano con trascorsi al Regio di Parma e altri importanti teatri italiani.
Insomma una vena artistica piuttosto familiare.
Una passione per la musica, suonata, ascoltata, registrata, che lo porta a frequentare un corso per fonici al SAE nel ‘95: “Il fratello di un mio amico è un famoso produttore di Tokio – ci racconta – da piccoli ci divertivamo a giocare con mille strumenti in questi studi pazzeschi dove lavorava. Era il paese dei balocchi”.
Finito il SAE Taketo è pronto, ha pianificato tutto per un’esperienza negli US, ma proprio in quel momento arriva la proposta, tramite amici, di sostituire per qualche tempo l’assistente del Metropolis, storico studio milanese, insomma in quel momento il sogno di una vita: il viaggio in America va in fumo e comincia la vita negli studi, in cui rimane per oltre due anni.
Finita quell’esperienza arriva un’altra proposta davvero interessante, da parte di Mauro Pagani che lo vuole con sé alle Officine Meccaniche, altro studio celeberrimo. Qui Taketo passa altri cinque anni, entrando in contatto con gran parte dei maggiori artisti italiani.
Esaurita anche quell’esperienza e quel periodo formativo, Taketo si sente pronto per camminare con le proprie gambe e si propone sul mercato musicale come free-lance.
Comincia a collaborare con molti artisti e a fare diversi lavori: Vinicio Capossela, Banda Osiris, Mauro Pagani, Verdena e Negramaro, solo per citarne alcuni.
Lavora molto anche nell’ambiente cinematografico per cui cura diverse colonne sonore, una tra tutte Primo Amore di Matteo Garrone con le musiche della Banda Osiris, Orso d’Argento al Festival Internazionale del Cinema di Berlino, non a caso per la miglior colonna sonora.
Nel frattempo cresce e diventa davvero strettissima la collaborazione con Vinicio Capossela: Taketo non solo collabora a tutti i suoi particolarissimi dischi ma cura anche lo studio mobile “Mobilis in Mobili”, allestito con macchine piuttosto particolari come il neo acquisto Neve Melbourne del 1970, usato fra l’altro per la registrazione del più recente album Canzoni della Cupa.
Ma i progetti a cui lavora portano spesso Taketo a girare il mondo, dal Giappone agli US, continuando ad aumentare e soddisfare la sua curiosità artistica.
Per partire da uno dei tuoi ultimi lavori, come hai conosciuto i Negramaro?
Li ho conosciuti circa quindici anni fa, quando lavoravo alle Officine Meccaniche in cui loro registravano. Da allora siamo sempre rimasti amici, così, in occasione di un Greatest Hits, Giuliano Sangiorgi mi chiese se mi interessava lavorare a dei brani inediti da inserire nel disco. Ovviamente ho subito accettato. Così abbiamo fatto insieme anche l’ultimo album: per me è stata una grossa soddisfazione professionale, anche per come abbiamo lavorato. Siamo stati un intero mese in una masseria del Salento, registrando con lo studio mobile di Vinicio, con cui abbiamo fatto quasi tutto il disco in presa diretta. Alcune canzoni hanno anche le voci in diretta. È stato un lavoro fantastico: loro sono dei musicisti incredibili, ci siamo divertiti tantissimo e penso che il risultato sia un gran bel lavoro.
Sappiamo che in questo ambiente hai trovato anche la tua anima gemella!
Sì: durante la lavorazione del disco e poi del tour di Vinicio Marinai Profeti e Balene, ho conosciuto Stefania, sound designer. Tra un microfono, un outboard e un equalizzatore è scoppiata la scintilla, ci siamo sposati e ora abbiamo anche due figlie bellissime. Forse solo una persona che fa il tuo stesso mestiere può capire e sopportare certe situazioni. Insieme abbiamo da poco tempo aperto anche una società di edizioni, e come artista abbiamo scritturato per ora Sebastiano De Gennaro e Remo Anzovino, musicisti e compositori eccezionali. Fra l’altro un brano di Remo e Giuliano Sangiorgi è appena entrato nella cinquina finalista per la miglior canzone dell’anno al Premio Tenco.
Per il suo ultimo disco siamo andati a Tokyo a registrare il pianoforte, ad Abbey Road per gli archi, ed anche in Francia, in uno studio vecchissimo con un mixer Neve 3088 BBC, e infine siamo andati a fare il mixaggio in America.
Ci pare insomma che tu viva il tuo lavoro con grande entusiasmo...
Assolutamente: sono consapevole di essere una persona estremamente fortunata e di poter collaborare con artisti di grande talento. Non ho mai la sensazione di lavorare.
Tu sei anche un produttore, come vedi questo ruolo?
È un mestiere che ha mille sfaccettature, possiamo dire che in generale ha il compito di vestire un progetto. Quando dico “vestire”, intendo costruire un vestito su misura, in modo che esprima al meglio la personalità di quell’artista, senza stravolgerlo. A volte su certi dischi esce più la personalità del produttore che dell’artista: ecco, io non voglio essere quel tipo di produttore.
Hai un sogno nel cassetto?
Beh... il primo cassetto penso di averlo già riempito, facendo questa vita; però se ne avessi un altro a disposizione, mi piacerebbe veder crescere la mia casa di produzione e dare la possibilità ad artisti talentuosi di emergere.
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