Il preamplificatore, questo sconosciuto - seconda parte

Analizziamo alcune tra le modalità realizzative ed il relativo impatto sulla qualità sonora...

di Livio Argentini

Nel numero scorso di Sound&Lite abbiamo iniziato questa breve introduzione ai preamplificatori microfonici con una descrizione delle configurazioni più tipiche per i circuiti di ingresso e di uscita. Qui analizziamo, invece, alcune tra le modalità realizzative ed il relativo impatto sulla qualità sonora.

La realizzazione

Così come l’oste dice che il suo vino è il più buono, ogni costruttore reclamizza la sua tecnologia.

Facciamo un poco di chiarezza in merito. Stiamo cercando di parlare di un argomento serio, a tecnici seri su una pubblicazione seria per cui tralasceremo di parlare, come abbiamo già fatto per i microfoni a carbone, di soluzioni troglodite (valvolari o ancor peggio miste) perché, anche se assurdamente reclamizzate, sono assolutamente non compatibili con i nostri intenti di ricerca qualitativa.

Molti produttori usano ancor oggi la soluzione a componenti discreti oppure mista (componenti discreti + circuiti integrati). Questa soluzione era decisamente valida fino a 5/10 anni fa, soprattutto perché la tecnologia produttiva dei circuiti integrati (IC) era ancora in fase di sviluppo ed abbastanza grezza. Nell’ambito della tecnologia a componenti discreti, una scelta da fare riguarda l’utilizzo di transistor BJT, FET o MosFET. I FET, senza dubbio vantaggiosi quando si lavora con impedenze alte, trovano scarso impiego in un amplificatore microfonico dove si lavora con impedenze basse, ma vengono generalmente impiegati su apparecchi hi-fi, equalizzatori, canali di mixer ecc. I MosFET, che non offrono buone caratteristiche per i circuiti di ingresso, potrebbero offrire ottime performance sugli amplificatori di uscita: speriamo vengano utilizzati in un prossimo futuro (oggi vengono utilizzati con ottime performance in alcuni amplificatori di potenza).

Occorre comunque tenere presente che ormai sono anni che i produttori non sviluppano più tecnologia sui componenti discreti ma sono indirizzati quasi esclusivamente sulla tecnologia IC. Un IC, da molti considerato ancora come un piccolo mostro misterioso, non è altro che un gruppo di componenti discreti messi in un solo contenitore (chip). Questa tecnologia offre moltissimi vantaggi: tutti i componenti (transistor, FET, resistenze ecc) sono progettati dallo stesso produttore con la medesima tecnologia o quanto meno con tecnologie compatibili tra loro. Tutti i componenti sono ricavati dalla stessa placchetta di silicio con le stesse tolleranze ma soprattutto, essendo tutti i componenti disposti in una piccola area dello stesso chip, questi saranno destinati a sopportare le stesse vicissitudini termiche. Da quanto detto sembra evidente che l’unica via da seguire oggi, e ancor più in futuro, sia la tecnologia IC, considerando anche che i circuiti IC di ultimissima generazione offrono delle prestazioni veramente eccezionali che non potranno mai essere ottenute con componenti discreti.

In attese di nuovi sviluppi tecnologici, che francamente penso abbastanza improbabili, almeno nel breve periodo, la miglior soluzione per un preamplificatore microfonico è l’ingresso a stadio solido IC.

Qualità sonora

Il suono di un amplificatore è determinato da molti fattori, principalmente la distorsione e la linearità. Ci sono varie forme di distorsione: armonica, intermodulazione, crossover, fase ecc. La distorsione armonica deve essere inferiore a 1/1000 nella banda 20/ 20.000 Hz ma questa caratteristica ormai è reperibile su qualsiasi apparecchio, anche su quelli più economici. È invece molto importante testare la distorsione a frequenza molto alta, dell’ordine di 50/100 kHz, anche perché i costruttori normalmente non forniscono questo parametro che è molto importante per la timbrica. La distorsione di intermodulazione, che ha messo in crisi per molti anni tutti i produttori, classica delle valvole, è praticamente inesistente con i semiconduttori. La distorsione di crossover, che è senz’altro la più fastidiosa, si trova solamente in amplificatori non progettati bene, specialmente al variare della temperatura di lavoro se la compensazione termica non è esatta. La distorsione di fase, che influisce specialmente sulla timbrica, è direttamente connessa alla linearità e non dovrebbe superare 5 gradi tra 10 Hz e 50 kHz. La linearità deve essere estesa circa 10 volte la cosiddetta gamma audio per cui un buon amplificatore deve poter garantire una risposta lineare ed indistorta fino a 200 kHz. È assolutamente inutile, anzi deleterio, estendere la risposta oltre i 400/ 500 kHz perché non porta nessun miglioramento nel suono ma rende l’amplificatore molto più sensibile ai disturbi in alta frequenza.

A questo punto si rende necessaria la classica prova del nove, che si può fare molto semplicemente con un segnale ad onda quadra. Bisogna tenere a mente che testando un amplificatore con un segnale sinusoidale lo testiamo con un segnale praticamente inesistente in natura; un segnale ad onda quadra contiene, oltre al segnale fondamentale sinusoidale, un grande numero di armoniche e questo simula molto più efficacemente un segnale musicale composito. Un’analisi con onda quadra, essendo praticamente solo visiva, richiede una strumentazione molto semplice ed economica.

Con un po’ di esperienza, analizzando un’onda quadra si può intuire con sufficiente precisione come suonerà il nostro amplificatore. La Foto 1 (onda quadra a 10 kHz) mostra il segnale originale in ingresso da comparare con le altre immagini relative ai segnali in uscita.

 

 

FOTO 1: L’onda quadra a 10 kHz utilizzata come segnale di test per vari tipi di preamplificatori microfonici.

La Foto 2 mostra l’uscita di un amplificatore di ottime caratteristiche (tempo di salita molto breve ed assenza di autooscillazioni) che avrà sempre un bel suono pulito ed uguale all’originale.

 

FOTO 2: La risposta di un preamplificatore di ottime caratteristiche.

La Foto 3 indica un amplificatore con attenuazione delle frequenze alte e darà un suono piuttosto scuro, con scarsa risposta ai transienti.

FOTO 3: Un preamplificatore con una scarsa risposta ai transienti.

La Foto 4 indica un amplificatore con scarsa risposta alle basse frequenze.

FOTO 4: Un preamplificatore che mostra una eccessiva attenuazione delle frequenze basse.

La Foto 5 mostra un amplificatore con rotazione di fase alle alte frequenze, grande instabilità e tendenza alla autoscillazione, il suono sarà eccessivamente brillante, stridulo e con tendenza al sibilo.

 

FOTO 5: Un preamplificatore con eccessiva rotazione di fase alle alte frequenze.

La Foto 6 indica un amplificatore con grossi problemi circuitali e di scelta dei componenti (classico degli amplificatori a componenti discreti, valvolari e misti), il suono sarà sporco, rasposo e decisamente innaturale.

 

 

FOTO 6: La qualità complessiva di questo preamplificatore è decisamente

Un discorso a parte va fatto per il rumore di fondo, che dovrà, ovviamente, essere piú basso possibile. Purtroppo esistono molti standard per misurare il rumore, molti validi e reali e molti assolutamente no, per cui i dati indicati dai costruttori spesso non sono realistici e per di piú sono assolutamente non paragonabili tra loro. Spesso troviamo amplificatori che sulla carta vantano un rapporto segnale/rumore eccezionale e poi, alla prova, sono molto più rumorosi di altri meno qualificati. In questo caso l’unico test valido, anche se molto empirico, è il paragone diretto o, come si dice, “on the road”.

Per quanto riguarda la componentistica, oggi ha raggiunto una stabilità ed un’affidabilità veramente assoluta, sia sui componenti discreti sia su quelli SMD (Surface Mounted Devices, componenti a montaggio superficiale).

Questi ultimi, se da un lato hanno dei costi di produzione industriale molto più bassi, sono meccanicamente molto più delicati, quindi meno adatti ad apparecchi soggetti a continui spostamenti. Occorre anche tenere presente che è quasi impossibile riparare una scheda in SMD senza disporre di attrezzature molto sofisticate. Un altro problema delle schede SMD è il surriscaldamento dovuto alle minime dimensioni dei componenti ed alla loro alta concentrazione e, come si sa, la temperatura influisce sia sul rumore di fondo sia sulla durata dei componenti stessi.

Sperando che queste poche righe abbiano chiarito un poco le idee ai nostri lettori, non resta altro che augurar loro buone registrazioni.