Giorgio Ioan - Direttore di produzione

L’Unipol Arena di Bologna ha ospitato i Måneskin, e non abbiamo perso l'occasione di intervistare i protagonisti di un tour così internazionale.

Giorgio Ioan - Direttore di produzione

Il "giornalista" Mirco Bezzi e Giorgio Ioan, direttore di produzione.

Abbiamo assistito a una delle prime date italiane del Loud Kids Tour, e le aspettative erano molto alte. Alla fine dello show, ci siamo resi conto di aver assistito a uno spettacolo imponente. Con l'aiuto di Mirco Bezzi, abbiamo intervistato i protagonisti di questa produzione.

Giorgio, secondo il mio parere tu sei uno degli autentici innovatori di questo mestiere e sei uno dei pochi che porta in giro per il mondo le produzioni italiane. Come ci si interfaccia con le altre realtà? 

In effetti sono diversi anni che porto gli italiani in giro per il mondo, se consideri Ramazzotti, Laura Pausini, Jovanotti e, adesso, i Måneskin. Sicuramente nei primi anni abbiamo imparato molto, confrontandoci con le produzioni americane e inglesi. Per quanto riguarda gli altri mercati, tutto sommato ce la giocavamo. Oggi ti posso dire che alle prime due nazioni non abbiamo niente a cui invidiare, anzi in alcune situazioni i nostri tecnici segnano qualche punto in più.

Raccontaci la nascita di questo progetto.

Innanzitutto mi sento il dovere di evidenziare un ringraziamento a Vivo Concerti e Clemente Zard per avermi dato la possibilità di lavorare bene su questo progetto. L’idea è partita un paio d’anni fa. Nel mio studio stavo sviluppando un’idea che avevo in mente da un po’ di tempo: ho finito di disegnarla al computer e la pensavo già appesa con i motori a velocità variabile in movimento. Ho mandato il disegno a Jordan, chiedendogli di inserire le luci e pensare qualcosa di molto rock. Quando anche lui mi ha fatto vedere quello che aveva pensato, anche se solo su un monitor, mi sono gasato ulteriormente, perché il lavoro era incredibile. Eravamo tutti gasati e pronti, sia il management sia gli artisti, quando il Covid ci ha obbligato a un altro stop. È solo dopo che, nonostante i tanti impegni, nei ritagli di tempo abbiamo avuto il tempo di rifinire ulteriormente, concentrandoci anche sul più piccolo particolare.

Vi portate dietro questa produzione anche all’estero? 

Assolutamente sì, e non solo in Europa: anche oltre oceano. È possibile perché abbiamo pensato a tutto nei minimi particolari, a partire dal montaggio, allo show, allo smontaggio e al trasporto. Tutto il progetto è pensato in modo da trasportare i pezzi pre-assemblati. Abbiamo usato pochissimi bauli perché tutti i fari e i motori rimangono all’interno delle truss, che trasportiamo in nove bilici.

All’estero le commissioni come funzionano?

In certi paesi la burocrazia è tutto sommato più snella, non vorrei dire più superficiale. Ci sono delle prescrizioni a cui i promoter devono attenersi, e noi portiamo le documentazioni per consegnarle al promoter, non a una commissione esterna. Lui si prende tutte le responsabilità del caso. Solo in Germania e in Francia fanno qualche controllo in più sui motori e sulla teleria.

Con una produzione del genere, quanto tempo ci vuole a montare tutto?

Qualche anno fa, per far entrare una produzione del genere nella venue ci volevano due giorni. Oggi ci riusciamo in dieci ore, prezzo di una forte organizzazione. È una macchina incredibile, che deve girare bene come gli ingranaggi di un orologio. Lo studio deve iniziare già dalla progettazione, dato che per stivare bene e ottimizzare il materiale bisogna calcolare al centimetro. La larghezza del cassone di un bilico è di 2,45 m, e quindi se tu progetti dei pezzi che hanno una misura superiore a 61 ne puoi affiancare solo tre e non quattro. Questo vorrebbe dire usare dei bilici in più. Prova a immaginare cosa significa portarsi in giro dei bilici in più per oltre cento date in giro per il mondo: anche il centimetro in più o in meno può fare la differenza. In questo allestimento poi abbiamo molte truss pre-assemblate da movimentare, così abbiamo adottato diversi cassoni con un piano elevatore in modo da creare un doppio pianale di carico. Una soluzione che ci ha fatto risparmiare soldi e tempo. Per ottimizzare tutto, abbiamo iniziato ad assemblare luci e collegamenti nei magazzini di Agorà, poi ci siamo trasferiti in Olanda per montare tutti i motori, poi di nuovo a Roma all’Atlantico per il primo assemblaggio e infine a Pesaro per la verifica finale. Puoi finalizzare il lavoro solo se lavori con una squadra capace e che si muove all’unisono. Per questo voglio ringraziare le aziende che ci stanno seguendo: Agorà per suono, luci e movimentazioni – gestite dagli olandesi di Frontline; Italstage per il palco; Mothergrid per i trasporti e STS Communication per gli schermi. E devo ringraziare naturalmente Jordan Babev ed Emiliano Bitti, senza i quali tutto questo progetto non sarebbe stato possibile. 

                                                                        

In chiaro le Bat Truss che si applicano alle americane per il trasporto con i fari all’interno.

Per un direttore di produzione, in uno spettacolo del genere, quanto serve avere competenze “interdisciplinari” tra i diversi settori?

È fondamentale che il direttore di produzione conosca in generale tutti i settori. Non è fondamentale che io sappia fare il suono della batteria, ma che abbia un orecchio sufficientemente sensibile a capire quando l’impianto suona bene e quando male. Non devo essere bravo a programmare uno spettacolo luci, ma devo capire quando una scena funziona o no. Oggi i tecnici hanno una preparazione molto specifica per il loro ruolo, e io sono un po’ l’allenatore della squadra: devo poter gestire al meglio lo spogliatoio e fare anche un po’ lo psicologo. Devo andare a cena con l’artista, saper parlare anche di cose frivole, parlare dell’audio, del video, del pedale della chitarra, insomma devo riuscire a parlare un po’ di tutto. E per farlo devi aver scaricato e movimentato parecchi bauli. 

Tu che disegni palchi emozionali, devi comunque tenere presente anche i costi di produzione, i tempi di allestimento e il personale necessario.

Certo, mentre nasce un progetto devo avere sempre sotto controllo anche i costi e i tempi, e mi devo confrontare con i colleghi e i fornitori. Fatto un progetto di massima, vado a verificare sul campo la fattibilità e a cercare tutte le ottimizzazioni. Ti faccio un esempio: se per scaricare questa produzione chiedo al promoter 80 facchini e 2 muletti, mentre potrei fare lo stesso lavoro con 4 muletti e 40 facchini, ho risparmiato tempo e denaro. E questo esempio può essere ripetuto per diversi altri reparti. Il mio piano di lavoro è ben scadenzato e, dopo un paio di date per fare andare tutto a regime, i tempi diventano quelli. Devo calcolare anche tempi leggermente più lunghi, perché l’imprevisto è sempre dietro l’angolo. I turni dei facchini sono di cinque ore: questa mattina a Bologna ho diviso i facchini in due gruppi, uno che iniziava alle sei e finiva alle undici e uno che iniziava alle sette e finiva a mezzogiorno. Questo mi ha permesso di organizzare in modo più fluido, non ingolfare il montaggio e non sforare negli orari, altrimenti rischiavo di pagare uno slot in più ai facchini. Queste possono essere delle riserve di budget che magari servono nell’imprevisto. 

Il 2022 è stato un anno massacrante, in cui tutto sommato non si sono visti grossi problemi. Come immagini il 2023?

Per la stagione del 2022 eravamo stati molto previdenti e avevamo previsto quello che sarebbe successo. Con il nostro team non siamo mai stati fermi, abbiamo lavorato per creare una struttura molto più performante. Fortunatamente siamo riusciti a bloccare i personaggi più importanti e a incastrare tutti i lavori. Nel 2023 ci sarà un’estate ancora più pesante per gli spettacoli: noi siamo molto più organizzati e preparati, ma nonostante questo abbiamo dovuto dire di no a diverse produzioni. 

Se si volesse entrare in questo mondo, quale percorso è consigliabile e che professionalità di base servono?

Tutto sommato è un percorso abbastanza standard, come in un lavoro normale. Chi ha esperienza di questo ambiente è avvantaggiato rispetto a uno che ha fatto il barbiere, ovviamente. Il percorso è sempre quello, si comincia dai lavori più semplici e piano piano si impara tutta la procedura e la burocrazia, infine ci si specializza in un ruolo.

Con quali competenze digitali? 

Come minimo deve sapere usare il computer, ma oggi chi non lo sa fare? Non deve essere per forza un nerd, io per esempio non uso assolutamente i social, che mi sembrano tempo e risorse sprecate. Quando lavoro, io uso Sketchup per i progetti, Dropbox per tenere tutte le documentazioni, Excel per il budget, Word per scrivere e le mail per comunicare. Poi, se ci sono anche altre conoscenze tanto meglio.