Gianna Nannini – Amore Gigante Tour

Abbiamo assistito al concerto dello scorso 29 novembre all’RDS Stadium di Rimini, nell’ambito dell’anteprima nei palasport di quattro città italiane per il nuovo tour della cantante toscana.

Gianna Nannini - Amore Gigante Tourdi Giancarlo Messina

Il tour vero e proprio – che si chiamerà Fenomenale – inizierà soltanto a marzo del 2018. Ma in questo fine anno, il management ha comunque voluto sondare il terreno e promuovere i brani del nuovo disco – “Amore Gigante” per l’appunto – uscito il 27 ottobre.
Noi andiamo a dare un’occhiata alla produzione a Rimini in novembre, dove troviamo un team di lavoro in buona parte formato da professionisti che ormai non possiamo non considerare degli amici, visto che frequentiamo gli stessi campi di battaglia da almeno 20 anni... tanto che a qualcuno viene in mente un servizio dal titolo “Il live non è un mestiere per giovani”... sul quale, almeno al momento, preferiamo sorvolare!
Essendo al completo con la nostra potenza di fuoco intervistatrice – che si esprime al top con la triade Morelli-Cole-Messina – poco dopo la fine del sound-check tutte le dichiarazioni degli addetti ai lavori sono già nei nostri storici registratori digitali, non più nuovissimi ma ancora altamente efficaci.
Disponendo anche di posti a sedere, come raramente accade, decido di gustarmi il concerto ben comodo da un posto in platea insieme a qualche amica, come ad esempio una ottima corista di molti importanti tour italiani.
Certo che, a proposito di canto, Gianna Nannini è un esempio vivente di come la tecnica possa diventare un aspetto non essenziale quando è compensata da una grande personalità e da una voce affascinante. Diciamo così perché la Gianna nazionale non sembra del tutto a proprio agio con intonazione ed attacchi... ma questo aspetto, che in una debuttante sarebbe imbarazzante, diventa quasi divertente, una caratteristica del personaggio sul palco. Perché sono proprio il carisma e la personalità dell’artista a dare emozione e a creare l’incredibile coinvolgimento del pubblico, insieme ovviamente ai tantissimi successi in scaletta che rendono impossibile restare seduti sulle apposite sedie.
La scenografia di Ronchese e Campana ci piace moltissimo, a cominciare dalla scelta di non usare un grande schermo LED con gli i-mag. Rimaniamo infatti sempre del parere che, se non strettamente necessario, la televisione si guarda meglio da casa. Quando c’è un’artista come la Nannini, è su di lei che devono essere calamitati gli sguardi. Per il resto il concerto si snoda su tre quadri principali, che seguono i tre momenti musicali del concerto, in equilibrio fra teatro e tecnologia, con il solito ottimo lavoro di Jò alle luci. Non mancano i LED video, ma sono inglobati con la scenografia e, al pari delle luci, servono a creare le giuste atmosfere sul palco.
Di audio ce n’è abbastanza per far ballare tutto il palazzetto – non pienissimo, a dire il vero – e per essere una data zero la diffusione è decisamente già ad un buon livello: la voce timbricamente perfetta è regina e protagonista come deve essere, ma più per un discorso di frequenze che di volume, con il mix del resto della band piuttosto inusuale: compatto e presente ma mai stancante, specie sulle frequenze medio-alte. Certo la voce di Gianna va dinamicamente domata e Marco Monforte ha avuto il suo da fare dietro la console per tutta la serata.
Da segnalare anche l’ottima band, di cui forse si sarebbero potute sfruttare meglio negli arrangiamenti le voci delle coriste, con il lavoro del giovane batterista ben in evidenza per sound, precisione ed energia.
Insomma una serata piacevolissima che ha entusiasmato il pubblico accorso: anche questo, come sa chi almeno una volta è andato ad un concerto della Nannini, in buona parte piuttosto folcloristico.

Il management dell’artista è di David Zard, mentre il tour è prodotto proprio da F&P Group, una delle principali agenzie di spettacolo italiane recentemente al centro di una interessante operazione: la quota di maggioranza, precedentemente posseduta da Warner, è stata di recente acquistata da CTS Eventim che adesso ne possiede il 60%. Dal primo ottobre 2018 opererà una società per azioni e si tornerà anche al precedente nome, quindi Friends&Partner S.p.A., con il quale Ferdinando Salzano, che rimarrà CEO della azienda, aveva fondato l’agenzia nel 2001, trasformata poi in F&P Group nel 2008 con l’ingresso di Warner.
Chi lavora nel settore sa benissimo che CTS Eventim è proprietaria in Italia di Vertigo e soprattutto di TicketOne, principale fornitore di servizi di biglietteria nel nostro paese. Non pare una coincidenza che questa acquisizione arrivi nel momento in cui fosse da rivedere il contratto di esclusiva con TicketOne, certamente con un fetta di mercato in gioco molto appetitosa.

Willy Sintucci e Orazio CaratozzoloOrazio Caratozzolo – Produttore esecutivo per F&P Group

Considerazioni finanziarie a parte, chiediamo ad Orazio cosa succederà operativamente nel loro lavoro in seguito alla nuova proprietà: “Dal punto di vista operativo non cambierà niente – ci risponde –; Ferdinando Salzano rimane il nostro CEO e tutto il nostro team rimarrà il medesimo; ci sarà semmai una più elevata sinergia con il circuito di vendita dei biglietti, e potremo guadagnarci in velocità e promozione”.

Parliamo di questo tour: come è stato costruito?
Abbiamo iniziato a lavorare insieme a Gianna col tour di due anni fa e, in occasione della nuova tournée, abbiamo deciso di proseguire insieme il percorso, portando lo show nei palasport.
Il manager e l’artista hanno espresso il desiderio di differenziarsi dagli ormai “soliti” allestimenti nei palazzetti, tutti dotati di grandi schermi e molto video. Abbiamo quindi scelto una linea più teatrale e materica, input che, seguiti ed elaborati da Ronchese e Campana, hanno portato alla realizzazione di questo palco con la presenza di tecnologia affiancata ad elementi materici, come ad esempio dei classici kabuki, nei primi sei brani, sospesi però ad un disegno di americane piuttosto atipico.
Abbiamo comunque utilizzato gli schermi LED, ma con elementi multipli di piccole dimensioni con cui abbiamo costruito dei pod che contengono anche proiettori luci. Inoltre il fondale è uno starcloth, un telo nero che contiene dei piccoli LED di passo 100 mm. Alla fine lo show ha tre scene diverse per i tre diversi momenti musicali dello spettacolo. D’altra parte, oltre l’artista, sul palco ci sono sette musicisti ed una formazione di sei archi che era importante valorizzare anche visivamente.

Qual è la principale voce di spesa per una produzione, artista a parte...?
La fornitura audio, luci e video rimane la voce di spesa più significativa, e questo è ovvio, sia per il costo dei materiali sia perché occorre personale tecnico altamente qualificato.

La vostra agenzia è oggi quella che organizza più tour di fascia alta in Italia, ed utilizzate quasi sempre lo stesso fornitore, cioè il service Agorà, senza dubbio un’eccellenza impeccabile per uomini e mezzi. Un rapporto così esclusivo però non comporta dei rischi per entrambi?
Non credo: avere un rapporto continuativo penso sia ottimo per entrambi: a noi consente estrema velocità nell’organizzazione, e quindi un risparmio, e contemporaneamente riusciamo a dare una continuità credo rassicurante per chi fa degli investimenti e vuole essere sempre all’avanguardia. Per noi un rapporto così non è pericoloso, sappiamo al contrario di avere un partner che ci dà molta sicurezza sotto ogni punto di vista. Ciò non toglie che lavoriamo anche con altre aziende. Bisogna anche tener conto di un elemento da non sottovalutare: molti artisti che lavorano con noi sono legati agli uomini di Agorà; questa è stata un’ottima intuizione di Wolfango De Amicis, cioè investire nella professionalità dei suoi uomini. Non a caso spesso, pur cambiando agenzia, il service viene trascinato da un’agenzia all’altra. Io in questo rapporto non ho mai ravveduto un ricatto da parte dell’azienda fornitrice, e viceversa; si tratta insomma di una reciproca sinergia, una partnership che non esclude discussioni dialettiche fra cliente e fornitore, come è normale che sia, ma sicuramente nessuno dei due si approfitta dell’altro.

C’è spazio per altre realtà italiane in questo contesto di fascia alta?
Il nostro resta un mercato piccolo. Anche rivolgendoci all’estero, abbiamo trovato costi più alti, non consoni con la nostra realtà, anche se ultimamente aziende straniere stanno iniziando a ridimensionare le loro richieste in Italia. Sinceramente non credo che in Italia al momento ci siano le capacità per quei forti investimenti che sarebbero necessari per creare aziende all’altezza; semmai esistono aziende che lavorano in altri settori, come quello televisivo, che probabilmente possiedono quantità di materiale notevoli, ma magari mancano di quel know-how che nel live è indispensabile e che non si può improvvisare.

Basta divagare... chi sono le aziende impegnate in questo tour ed i tuoi collaboratori?
Agorà per le tecnologie e Massimo Stage per palco, strutture e gruppo elettrogeno, mentre i trasporti sono misti fra Rock Road e GM Gamund. Abbiamo in tutto otto bilici, direi troppi!
Io, avendo una certa età, cerco di restare ormai in ufficio. A seguire il tour saranno infatti Giulio Koelliker con la sua fedele assistente Gioia D’Onofrio, affiancati dal site coordinator Matteo Chichiarelli per il coordinamento tecnico. Fra i principali professionisti in tour abbiamo inoltre l’ottimo Marco Monforte al mixer audio e Jò Campana alle luci.
Questi concerti di presentazione sono molto importanti a livello promozionale: le date primaverili sono già aperte e sono già cominciate le vendite, ma grazie al passaparola mediatico del pubblico che viene a questi concerti otteniamo sempre un’ulteriore spinta; inoltre possiamo capire se è necessario aggiungere altre date.

Giulio KoellikerGiulio Koelliker - Direttore di produzione

“Come nel tour teatrale dell’anno scorso – ci dice Giulio – il management è Zard, cioè Saludo Italia, mentre la produzione del tour è di F&P Group.
“Il disegno e il concept sono stati un lavoro a quattro mani, tra Jò Campana ed Igor Ronchese di Tekset, partiti da alcuni input dati da Orazio e da me dopo un confronto con l’artista e il management.
“Si voleva evitare di fare ‘il solito’ – continua Giulio – cioè il grande video. È stata una precisa scelta artistica. I LED ci sono, ma in una configurazione molto particolare e vengono scoperti solo in un secondo momento. Infatti tutta la prima parte dello show è realizzata con dei kabuki e delle proiezioni, ma si tratta più che altro di frammenti di proiezioni, un po’ particolari come l’illuminazione.
“Tutta la configurazione del palco, con il calpestio e il posizionamento dei musicisti, è stata fatta pensando a dare centralità a Gianna, lasciandole quindi un ampio spazio centrale, e volevamo inoltre che dietro di lei non ci fosse nessuno. L’idea è simile a quella sviluppata col tour nei teatri, ma adattata agli spazi più importanti dei palasport.
“Abbiamo scelto – spiega Giulio – di posizionare le sedie perché tendenzialmente il pubblico di Gianna Nannini, ma anche di molti altri artisti nostrani, è più felice se si propone un parterre con posto a sedere e, in sintesi, compra più biglietti. Lasciando perdere i concerti che esauriscono le disponibilità in trenta secondi, i biglietti che finiscono prima sono sempre quelli più cari. “Poi, chiaramente, con quest’artista, tutti quelli nel parterre si ritrovano in piedi per la maggior parte del concerto!
“Abbiamo fatto l’allestimento del tour qui a Rimini – conclude Giulio – e dopo questa data zero toccheremo solo Roma, due date a Firenze e poi Milano. Il vero tour partirà ad aprile con una produzione adattata alle varie venue in cui si terrà il concerto”.

Jò Campana, lighting designerJò Campana - LD e co-concept designer

“Lavoro con Gianna dall’ultimo tour teatrale – racconta Jò –. Il teatro è un mondo e il palasport è un altro mondo, considerando anche il fatto che Gianna ha fatto un disco nuovo e quindi bisognava seguirne un po’ i concetti.
“Le linee guida date a me e ad Igor Ronchese sono state quelle di creare qualcosa di ‘grande e colorato’... in riferimento all’Amore Grande.
“La mia proposta – spiega Jò – che in effetti faccio spesso ma che raramente viene accettata, è stata quella di creare una struttura in qualche modo asimmetrica, per uscire dal solito schema di americane dritte e schermo impattante retrostante. Quindi, elaborando gli input dell’artista, abbiamo presentato questo progetto che si presta a tre diversi quadri.
“Nella prima parte abbiamo i kabuki appesi sul palco, con quell’effetto vedo-non vedo tipicamente teatrale. Dopo lo sgancio dei kabuki entrano in gioco le barre LED Black Reel, che ricoprono le americane rigorosamente asimmetriche, a forma di ‘Z’ o di ‘V’, con altezze diverse. Successivamente, nell’ultima parte, spingiamo molto con i contributi sui pod di pannelli LED di forme diverse posti sul fondo, ciascuno con dei proiettori all’interno. Questo accompagna tre momenti musicali distinti che potremmo definire elettronico, acustico e rock-n-roll.
“I contributi – continua Jò – sono tutti grafiche, non ci sono telecamere live né video clip, perciò tutto il video rimane nell’ambito dell’illuminazione e degli effetti. È una cosa piuttosto originale. Anche i pod sono volutamente asimmetrici, e dietro questi c’è uno Starcloth che aggiunge ulteriore profondità.
“Nella prime parte i pod si percepiscono poco, perché sembrano delle semplici scenografie geometriche che richiamano la copertina del disco. Sono volutamente pannelli di colore chiaro, così da poterli usare per riflettere le luci e restituire le proiezioni quando vanno a sporcare tutto. Questi LED non stancano, anche perché non sono sempre accesi. Il palco, secondo me, ha una propria identità e si differenzia parecchio da quello che si vede in giro.
“Non nascondo – aggiunge Jò – che il progetto è stato per me tecnicamente molto complesso: non c’è una truss frontale classica; le due laterali sono simmetriche, mentre tutte le americane in mezzo a forma di ‘Z’ e di ‘V’ sono completamente diverse l’una dall’altra. Sembrava di giocare a Tetris! Per questo anche la disposizione dei corpi illuminanti risulta asimmetrica e molto complessa. La programmazione e il raggruppamento dei proiettori sono stati un bel grattacapo.
“Ci sono molti punti luce, anche se ho cercato di ridurre il più possibile le tipologie di proiettori. Ho i vecchi cari Martin MAC 2000 per i key light sui frontali e per i back. Poi c’è un bel numero di DTS EVO, che uso spesso nei miei ultimi lavori. I LightSky Bumblebee sono all’interno dei pod, li ho scelti perché mi servivano proiettori poco ingombranti. I Robe Spiider fanno tutti i colori sulla band, li trovo molto morbidi e molto funzionali in termini di colorimetria, peso e ingombro.
“Uso inoltre delle strobo SGM Q7 e Martin Atomic, oltre a dei DWE. Non ho mai usato così poco gli Atomic ed i blinder... volevo infatti evitare i soliti stacchi e botte di luce, magari usando sul pubblico i Q7 anziché i soliti accecatori.
“I Black Reel, le barre LED, aiutano molto ad evidenziare l’asimmetria delle truss. Ci sono anche due seguipersona da 2500 K, usati con parsimonia nella prima parte per non creare la ‘bollona’ sui teli.
“Il controllo – conclude Jò – è del tutto manuale; sto usando la solita grandMA2 Light: niente sincronizzazione, neanche con i contributi grafici”.

Stefano Ranalli e Daniele D’OnofrioStefano “Flash” Ranalli - Video manager per Agorà

“Abbiamo programmato il video e le luci in quattro nottate – spiega Stefano –. I contributi sono semplicemente media e grafiche di libreria. Poi abbiamo sincronizzato il tutto, programmando per il proiettore e per i pannelli LED in maniera alternata. Il proiettore viene usato da solo per l’intro e per i primi brani, dopodiché vengono usati principalmente i pannelli LED dei pod.
“Per i primi pezzi, prima che cadano i teli, le proiezioni sono mappate sui teli e successivamente vengono usate in alcuni momenti successivi come effetti, appositamente per ‘sporcare’ un po’ la scena.
I pannelli LED sono un prodotto Acronn con passo da 8,9 mm. La difficoltà sta nel mappare i LED in quelle proporzioni di pod. Per creare quelle forme infatti abbiamo dovuto mischiare due diversi tipi di pannello: quelli da 50 cm x 1 m e quelli da 50 cm x 50 cm. In quella serie, le mattonelle quadrate da 50 cm per lato hanno un solo alimentatore e, conseguentemente, sono meno potenti, mentre quelle da 1 m di lunghezza hanno due alimentatori e spingono di più; c’è quindi una differenza significativa nella luminosità e nei colori che abbiamo un po’ faticato ad omogeneizzare.
“I Black Reel – continua Stefano – sono delle barre da 31 pixel che abbiamo montato in gruppi di tre sulle americane in alto. Così, ogni blocco è composto da 31 x 3 pixel.
“Siamo abbastanza impazziti con questi oggetti, perché sono mappati insieme ai pod dietro e, essendo tutti girati a diversi angoli rispetto al fronte palco, è stato molto faticoso creare l’effetto giusto. Tutti i LED, i pannelli e i Black Reel sono mappati come se costituissero un ciclo continuo in senso orario, da davanti a dietro. Così quando passa un grafico sul totale, visualizza uno zig-zag sulle truss sopra e poi passa dietro a fondo palco.
“Inoltre – aggiunge Stefano – quelle barre sono poste a quattro diversi livelli di altezza! Insomma... non è stata una mappatura facile.
“Sto usando un MediaMaster Pro 5 ArKaos, lanciando manualmente i contributi. Su MediaMaster sto usando due Mini MAC e un PC. Il collegamento dalla regia ai LED è tramite fibra ottica, mentre al proiettore sono collegato direttamente, un Christie Roadie HD da 35.000 ANSI lumen.
“In regia con me – conclude Stefano – c’è anche Daniele D’Onofrio”.

b IMG 6749Marco Monforte – Sound Engineer

“Il concerto – ci dice Marco – si divide in tre fasi: i primi brani hanno sonorità elettroniche anni ‘80, diciamo New Wave, quindi con rullantone, campioni, trigger; infatti la batteria ha dei trigger con campioni, tipo casse anni ‘80... Ho qualche microfono aperto nel mix – hi-hat e rullante – ma la cassa, ad esempio, è spenta fuori e pilota un trigger che comanda un campione; inoltre il batterista usa un pad alla sua sinistra con un suono elettronico. C’è anche un assolo di violino molto effettato, volutamente distorto.
“La seconda parte – continua Marco – è caratterizzata dall’ingresso dell’orchestra: una viola, un cello, quattro o cinque archi e un primo violino: i trigger spariscono e inizia a suonare la batteria acustica. Per poi arrivare ad una terza parte più rock, in cui Gianna è più a proprio agio e c’è più dinamica”.

Fra archi, percussioni, batteria... ti arrivano molti canali?
La band è formata da una batteria piuttosto complessa, perché arrivano anche i segnali dei trigger generati sul palco; a volte sono sostitutivi al 100%, altre volte si sommano al segnale del microfono, altre volte spariscono completamente per lasciar posto ai tamburi da soli. Poi ci sono sei o sette canali di percussioni: un set piuttosto classico, con due conga – un hi ed un low – due djembe – anche questi hi e low – bonghi e timbales, con due over Akg 414 e i fuochi con SM57 o con le clip Opus. Anche il percussionista, inoltre, ha un pad che usa per completare alcune sonorità elettroniche. Gli archi sono tutti microfonati con DPA 4099. A questi si aggiunge un Hammond vero con il Leslie, microfonato con due SM57 L&R più un Sennheiser 421 per i bassi, più le tastiere. Un secondo tastierista/pianista, di fronte, principalmente suona il piano. Ci sono poi tre coriste – due ragazze italiane ed una inglese – tutte molto brave. I due chitarristi suonano con l’amplificatore sul palco, leggermente inclinato verso l’alto: i livelli non sono elevatissimi, ma il palco non è propriamente silenzioso. Su ciascuna chitarra c’è un SM57 ed un Audio Technica AT4050. Ciascun chitarrista suona anche una chitarra acustica, che riprendo dai pickup tramite DI box. Gianna in questo tour non suona nulla, canta solamente. Poi c’è un bassista che produce una discreta varietà di suoni, alcuni particolarmente ‘elettronici’: c’è uno sweep che sembra un suono di tastiera, e in alcuni momenti suona proprio una tastiera.

Sembra abbastanza complesso, non mi pare il classico set-up rock‘n’roll “pronti e via”...
Già. Nell’ultimo tour non c’ero, ma rispetto ai tour precedenti a cui ho lavorato questo set-up è piuttosto complesso.

Come hai gestito la scene sulla console?
Il balance è quello deciso in precedenza: le prove vengono registrate, come d’altra parte anche i concerti. Poi ogni mattina, in un paio d’ore, insieme al direttore musicale e a Gianna, riascoltiamo la scaletta, cercando di riprodurre l’intenzione iniziale, nel balance e nei suoni veri e propri, ad esempio cercando di chiarire le differenze di sonorità tra le tre fasi che ti ho descritto prima.

DiGiCo SD7 anche sul palco?
Sì. Siamo su piattaforma DiGiCo, collegati in fibra. Come sempre, il palco comanda: lui è il master, attiva l’alimentazione phantom dove serve e gestisce i guadagni di ingresso. Io condivido il guadagno di Gianluca, adeguandomi alle sue scelte.

Il microfono di Gianna?
È una capsula DPA d:facto II montata su un trasmettitore palmare Shure della serie Axient. Finamente ho un’artista che canta dietro il PA, quindi la gestione da questo punto di vista è relativamente meno impegnativa e più rilassata. Abbiamo comunque del plexiglass davanti alla batteria che serve sostanzialmente per proteggere la cantante, anche perché il batterista in questo tour è piuttosto energico: un picchiatore!

Ci sono particolarità nel microfonaggio della batteria?
Per la prima volta sto usando sopra il rullante un Audix i5 che mi piace molto, al posto del solito SM57. Belli anche gli AT 4050 sugli over, che suonano molto bene e rendono i piatti molto morbidi.

Qual è la filosofia di approccio di questo mix?
In questo periodo sto cercando di tenere la parte media più calma e morbida; ovviamente è la gamma della voce, infatti uso due master: A per la band e B per la voce. Sul master della band sto cercando di rimanere più morbido in gamma media, perché mi piace l’idea di non affaticarmi. A volte mi pare che la gamma intorno a 800 Hz o 1 kHz sia piuttosto faticosa da sopportare, soprattutto durante le prove nel palasport vuoto, che la enfatizza ulteriormente. Tenere libera la gamma media aiuta anche a tirare fuori la voce, certo, ma non l’ho fatto per questo: sto proprio cercando una maggior gradevolezza, una minor aggressività nel suono della band, eventualmente anche alzando un po’ di più il volume. Anche Gianna sembra apprezzare questa scelta timbrica.
Questo ammorbidimento in gamma media è una caratteristica che ho notato per la prima volta nei Coldplay: loro lo fanno su tutto, anche sulle voci, anche a costo di una resa timbrica un po’ meno precisa, soprattutto nei primi brani. Diciamo che invitano ad un certo tipo di ascolto, mai aggressivo anche con un volume importante.

Daniele Tramontani – System engineer
Orlando Ghini – Ass. Regia FoH

“Abbiamo dodici L-Acoustics K1 main – spiega Daniele – più quattro K2 downfill. Ci sono inoltre dodici K2 per i side. A Roma e a Milano aggiungeremo due casse a main e side. L’amplificazione è tutta realizzata con finali L-Acoustics LA8, controllati tramite LA Network Manager. I frontfill sono KARA, mentre i sub sono i classici SB28, disposti in 10 gruppi da tre, in configurazione cardioide... anche se c’è una certa polemica sulla denominazione “cardioide” di L-Acoustics!”
“Infatti – dice Orlando – adesso vogliono che invece di cardioide si dica gradiente di pressione”.
“Comunque – dice Daniele – nonostante sia un ‘gradiente di pressione’, lo schema polare che viene fuori è cardioide. Questo parlando del singolo grappolo, ma il vero problema è la configurazione complessiva, perché i vari sub ed i vari grappoli di sub interagiscono uno con l’altro nello spazio, si sentono tra loro, nel senso che vedono l’impedenza acustica e il carico creato dagli altri altoparlanti”.
“Per il controllo dell’impianto – dice Orlando – stiamo usando Meyer Galileo, perciò è tutto in analogico. Per misure e previsioni usiamo Meyer SIM, perché ancora non abbiamo trovato qualcosa che funzioni meglio. Dalla console FoH arriva uno stereo della band e uno stereo della voce: in realtà non è una configurazione particolarmente problematica, perché non ci sono passerelle o palchi secondari; ma per Marco è una consuetudine lavorare in questo modo, per avere un controllo diverso della voce in caso di problemi di feedback, anche se penso che qui non servirà.
“In particolare con gli artisti italiani – aggiunge Daniele – è comunque un accorgimento utile, perché viene messa molta enfasi sull’intelligibilità della voce; questa però è una cosa da fonici: noi mettiamo a punto la macchina, ma il pilota che deve correre in gara è il fonico”.

Questo palasport viene utilizzato abbastanza spesso per gli allestimenti, ma non è noto come una sala che suoni benissimo. Questo può avere un impatto sul suono in altre venue del tour?
Orlando: Nella mia esperienza, questo dipende dal fonico. Soprattutto le scelte del mix dipendono molto più dalle prove musicali in sala prove o in studio che dalle prove qui. Ci sono, però, diverse soluzioni per avere un po’ più di tranquillità e sicurezza, come mettere dei diffusori più piccoli qui vicino per le prime prove durante l’allestimento, in modo da sistemare il suono prima di aprire il PA. Poi, chiaramente, Milano, Roma e Firenze suonano in modo diverso da qui. Diciamo che il mix comincia ad essere stabile dopo quattro o cinque date che, nel nostro caso, purtroppo coincideranno con la fine del tour! Però, nei lunghi tour, generalmente funziona così. Capire più o meno velocemente la risposta del PA dipende poi dal fonico: in caso non avesse molta esperienza nel live, forse sarebbe meglio fare le prove in un posto che suona un po’ meglio.
Daniele: Anche perché la maggior parte dei palazzetti italiani è acusticamente simile a questo. C’è qualche accorgimento che si può adottare durante l’allestimento, come spegnere certe casse ed ascoltare quando non c’è il pubblico. Ma dipende sempre tutto dall’esperienza del fonico.

Gianluca Bertoldi, fonico di palcoGianluca Bertoldi - Fonico di palco

“Lavoro con Gianna dal 2002 – racconta Gianluca – è una collaborazione di lunga data.
“Sul palco sono in diciassette, artista compresa. Lavoriamo tutti in IEM: dodici wireless e nove via cavo (archi, uno dei due tastieristi, percussionista e batterista). Alle fine sono tantissimi mix: i 17 mix stereo, uno stereo separato di sequenze al batterista, un altro stereo mix del resto della band sempre per lui, poi click e count insieme, poi uno per il suo sub – l’unica cosa che suona sul palco a parte gli strumenti – ; al tastierista dietro mando due mix separati; poi tre riverberi ai coristi, un altro per la cantante, due riverberi per le due chitarre acustiche, un riverbero per il piano, mix per i backliner, mix per la mia cassettina, il talkback... una quarantina di aux. Insomma... diciamo che non è propriamente un lavoro plug&play. Lavoro con una console DiGiCo SD7, anche perché non c’erano molte alternative per un lavoro come questo.
“I radio – continua Gianluca – sono i nuovi Shure AD4D con trasmissione digitale. Sono palmari per la maggior parte, mentre ci sono degli Shure ULXD come radiojack per le chitarre, anche questi digitali.
“Gli IEM, invece, sono dei classici ew300G3 ed EM 2050 Sennheiser. C’è una gran varietà di tipi di auricolari... dagli IE 4 Sennheiser, in dotazione con i bodypack, fino agli Ultimate Ears UE18 di Gianna. Poi i due chitarristi e uno dei tastieristi usano gli UE7, Ballarin usa un Gaia di Livezone41, mentre i due tedeschi al basso e alla batteria usano degli auricolari tedeschi. Io uso quelli che usa Gianna.
“Nelle prove – spiega Gianluca – mi sono fatto un riferimento usando delle cuffie Sony MDR7506, poi sono andato a fare un’equalizzazione per ogni singolo tipo di auricolare, in modo che tornasse simile al riferimento. Una vota che tutti i musicisti erano soddisfatti, ho cominciato a usare gli stessi auricolari di Gianna.
“La cantante mi chiede un mix totale, perché vorrebbe avere un ascolto simile a quello a cui è abituata in studio, ovviamente con l’aggiunta dei click e del count quando servono.
“Abbiamo anche delle sequenze, lanciate dal Mac del tastierista, contenenti dei piccoli riempimenti, perché con tanta gente sul palco servono poche cose.
“Sul palco – aggiunge Gianluca – ci sono tre backliner: Antonello ‘Houston’ Di Battista che segue Gianna, Tagliapietra e uno dei tastieristi; Gherardo Tassi, che segue Ballarin, gli archi e il percussionista; Felice Gosta segue il batterista, il bassista e l’altro tastierista.

Con i radiomicrofoni digitali, non ci sono problemi di accumulo di latenza?
La latenza c’è, com’è normale che sia, ma è veramente molto bassa. Lasciando spenta la funzione di encrypting, che inevitabilmente aggiunge latenza, non ci se ne accorge. L’unico accumulo di latenza deriva dalla conversione per un Manley ELOP esterno, ma per tutto il resto uso solo elaborazioni interne del banco, proprio per contenere la latenza.

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