Vertical Line Array: una moda o attuale Stato dell’arte nel Sound Reinforcement?
Parte X
“Everything should be made as simple as possible, but not simpler”.
“Tutto dovrebbe essere fatto nel modo più semplice possibile, ma non più semplice”.
Questa è una frase attribuita ad Einstein e mi pare che, senza essere geni come lui, tutti possiamo trovarci d’accordo con essa.
Credo che i lettori anche in questa specifica serie d’articoli abbiano potuto cogliere una riprova di questa affermazione e dell’applicazione pratica di questa “filosofia”, con riferimento al miglior compromesso che un dispositivo per medie ed alte frequenze, adatto all’impiego in VLA, dovrebbe adottare riguardo alla dispersione verticale.
Certo, un tale dispositivo generalmente non è “semplificato” rispetto ad altri definibili “standard”, né dal punto di vista della progettazione né, di solito, dal punto di vista della costruzione e quindi richiede, o ha richiesto, un maggior impegno in tutti i sensi per il fabbricante, costi inclusi; ma, del resto, credo che tutti sappiano bene che per qualunque manufatto, in qualunque campo delle attività umane, ad una crescita del livello qualitativo corrisponde una crescita dell’impegno per realizzarlo, tanto più esponenziale quanto più è alta la qualità raggiunta.
Con riferimento ad un VLA moderno, quest’assunto vale anche per la parte meccanica necessaria a consentire la realizzazione delle condizioni geometriche e fisiche dell’insieme degli elementi che lo compongono; condizione necessaria per l’ottenimento di risultati acustici complessivi adeguati alla qualità propria d’ogni singolo elemento.
In altre parole se si ha un elemento per VLA, costruito secondo il miglior compromesso, utile ad ottenere le massime prestazioni acustiche che tale tipologia di sistema consente, non si può non dotarlo di un sistema meccanico di sospensione e d’angolazione reciproca tra gli elementi stessi, tale da non consentire il grado di libertà adeguato alla realizzazione delle condizioni fisiche e geometriche necessarie per il corretto accoppiamento acustico, pur essendo questo diverso secondo le diverse necessità di sonorizzazione.
Infatti, poiché un VLA, generalmente, è impiegato in condizioni sempre diverse, per soddisfare necessità diverse di copertura verticale, è evidente che il sistema di regolazione degli elementi debba di volta in volta adeguatamente adattarsi senza limitazioni che compromettano il risultato.
Mi pare logico quindi e facile da comprendere che, tanto più fine sarà la regolazione dell’apertura angolare tra gli elementi di un VLA, tanto maggiori saranno le possibilità di regolarne con precisione la dispersione verticale allo scopo di ottenere la più omogenea possibile copertura sonora dalla prima all’ultima fila dell’audience; questione centrale in un sistema di sonorizzazione professionale come il VLA, che nasce proprio per trarre vantaggio più d’ogni altro sistema da questa prerogativa. Come più volte ho fatto notare, in compagnia di tanti altri autori qualificati, il VLA nasce per risolvere (il più possibile aggiungo, perché la perfezione non è di questo mondo), i grossi, irrisolvibili problemi d’interferenza che affliggevano ed affliggono, allo stato attuale dell’arte, il cosiddetto “Point Source Array”, un’altra tipologia di sistemi di sonorizzazione ad alta potenza in piena auge per circa un decennio prima della comparsa dello stesso VLA.
Lo scopo di un sistema di sonorizzazione professionale d’alta potenza è sempre quello:
sonorizzare spazi ampi in larghezza e profondi in lunghezza con la massima omogeneità di copertura e d’alto livello sonoro tra la prima e l’ultima fila dell’audience come si richiede ad esempio in un concerto Live.
Per fare questo, secondo l’assunto, è necessario utilizzare più diffusori contemporaneamente, per questioni di potenza da un lato e per questioni di dispersione dall’altro. Per anni a tale scopo si è affinata la tecnica del cosiddetto “Point Source Array”, che è stata portata alla sua massima evoluzione con l’impiego di diffusori a banda intera, o quanto meno larga, strettamente accoppiati secondo angoli orizzontali definiti, in modo che, dalla somma degli angoli di dispersione dei singoli diffusori, si possa ottenere la dispersione orizzontale necessaria; ed ancora sovrapposti verticalmente, eventualmente tra loro angolati per ottenere anche la necessaria dispersione verticale. Per evitare il più possibile le inevitabili pesanti interferenze che in tali configurazioni si formano, si è fatto largo uso della tecnica di ritardare elettronicamente l’emissione d’ogni singolo diffusore nell’array in modo da spostarne il centro acustico come proveniente da un unico punto dietro l’array stesso (di qui la definizione di Point Source Array). Nonostante tutto questo è attualmente impossibile in un sistema così disposto eliminare del tutto le interferenze che si generano sul piano orizzontale, oltre che sul piano verticale, per il semplicissimo motivo che la dispersione in un diffusore, di qualsiasi tipo esso sia, varia in funzione della frequenza riprodotta e qualunque allineamento ottenuto elettronicamente ha effetto positivo solo per il punto di misura o d’ascolto nel quale si è presa la misura stessa che ha determinato l’entità dell’allineamento per ciascun diffusore nell’array. Quindi ammettendo che si possano accoppiare i diffusori angolandoli reciprocamente in modo che ad una data frequenza, o in una data porzione di frequenze, le emissioni si sommino perfettamente rispetto all’ascoltatore o al microfono di misura, e quindi diano luogo ad una risposta angolare omogenea nell’angolo somma degli angoli di dispersione d’ogni diffusore nell’array, a tutte le altre frequenze, o bande di frequenza e in tutte le altre posizioni d’ascolto o di misura, tale somma non è più la stessa e quindi si ha un deterioramento progressivo della risposta. Questa infatti presenterà il classico andamento con filtraggio a pettine nel caso che i diffusori nell’array abbiano caratteristiche omnidirezionali o un andamento irregolare, con picchi o buchi dovuti all’interferenza tra le emissioni, nel caso siano utilizzati diffusori ben più direttivi in un’ampia porzione di frequenze. Nei semplici esempi disegnati più sotto si può notare come le emissioni di singoli diffusori, per quanto questi siano bene angolati ed accoppiati, in qualunque tipo di configurazione si sovrappongano dando luogo ad interferenza. Quando c’è sovrapposizione delle emissioni che riproducono lo stesso programma, la loro somma priva d’interferenze si potrà avere solo in tutti i punti che giacciono sull’asse del microfono di misura utilizzato per l’allineamento temporale del sistema di sonorizzazione: per qualsiasi altro punto, l’allineamento non avrà più valore ed emergeranno quindi le ineluttabili deleterie interferenze. Fig.1
In un VLA, invece, il problema principale di qualunque altro tipo d’array o cluster di diffusori viene completamente a mancare; non ci sono diffusori affiancati per ottenere una determinata dispersione orizzontale qualunque sia la dispersione verticale ottenuta angolando tra loro gli elementi singoli verticalmente sovrapposti. Fig. 2
Questa è la ragione principale per cui i VLA sono diventati ormai lo standard nella maggior parte degli eventi e si sono imposti dal basso per richiesta degli acquirenti, anziché dall’alto del marketing come per decenni è accaduto con i Point Source Array.
Infatti, un sistema con dispersione consistente (senza interferenze) sul piano orizzontale risolve di per sé, la maggior parte delle cause tecniche di un risultato non buono, per non dire spesso disastroso, legato alle oggettive difficoltà d’allineamento di quelli che impiegano numerosi diffusori accostati ed accoppiati; e se qualcuno pensa di ottenere migliori risultati per ampliare la dispersione sul piano orizzontale, affiancando interi VLA tra quelli attualmente sul mercato, ricade inevitabilmente nello stesso problema d’interferenza, ottenendo risultati altrettanto cattivi anche se in porzioni di spazio meno numerose, essendo minori numericamente le sovrapposizioni. Fig. 3
Questo non significa che basti un VLA in senso lato per annullare le differenze qualitative che esistono, e sono grandissime, tra sistema e sistema di sonorizzazione, essendo legate alla qualità costruttiva, alla geometria del singolo elemento, alla qualità e alla tipologia dei componenti attivi impiegati, alle elettroniche di pilotaggio e, perché no, alla bravura del conduttore del sistema, che deve conoscere veramente il suo mestiere e saperne trarre il meglio. È corretto affermare però che un sistema VLA a parità di tutte le condizioni elencate rispetto ad un sistema “tradizionale” Point Source Array, ha una marcia in più.
Accantonata questa mia affermazione che, sono sicuro, dopo 10 articoli sull’argomento, chiarirà una volta per tutte le ragioni del successo dei moderni VLA, anche di quelli che magari non ne hanno tutti i titoli ma che vivono di luce riflessa, vediamo cosa è rimasto di problematico ed ancora da risolvere nel loro funzionamento.
Devo ricordare ancora che lo scopo di montare molti elementi diffusori strettamente accoppiati e progettati in modo corretto è semplicemente quello di ottenere risultati di direttività e dispersione paragonabili a quelli che si ottengono da un singolo diffusore (che per ora sembra proprio non poter esistere di prestazioni sufficienti; si pensi alle potenze in gioco) che abbia la medesima dispersione orizzontale e la stessa dispersione verticale, corrispondente alla dispersione verticale totale ottenuta con il VLA, nonostante la complicazione che, per quest’ultimo, la dispersione deve poter essere variata discrezionalmente dall’utente del sistema di sonorizzazione, possibilmente senza introduzione di degrado nel risultato.
Questa complicazione non è per niente banale, come chiunque è in grado di capire, e sostanzialmente di fatto è il problema ancora non risolto che penalizza il funzionamento di ogni VLA, specialmente se, come la tendenza dimostra, questo sistema di sonorizzazione è impiegato, molto spesso senza una visione chiara da parte di chi lo setta, per proiettare il suono sia in campo vicino sia in campo lontano: due esigenze legittime per l’utente, il quale ne apprezza la grande semplificazione offerta dall’installazione del sistema a tale scopo – una bella figura di “J” ed il lavoro è fatto !
Purtroppo non è così perché tali esigenze sono assolutamente opposte dal punto di vista del risultato acustico ottenibile per un tipo di sistema come questo che è per ragioni fisiche adatto, l’ho ricordato più volte, per proiettare il suono omogeneamente e coerentemente nel solo campo lontano, dove le differenze di arrivo tra le emissioni dei singoli elementi che formano il VLA diventano ben poca cosa, essendo grandi le distanze e riducendosi così fortemente il cosiddetto “errore di parallasse”.
Per affrontare al meglio la complicazione di utilizzare proficuamente con qualità accettabile il VLA anche in campo vicino, almeno entro un limite ragionevole, come ho gia anticipato all’inizio dell’articolo, è importante la possibilità di variare gli angoli verticali reciproci tra elementi in misura che dovrebbe essere molto più fine di quanto uno possa immaginare, avendo a disposizione un adeguato sistema meccanico di sospensione. Questa peculiarità, infatti, aiuta molto a minimizzare i problemi che ancora in un VLA sono connessi con la dispersione verticale, per l’insorgenza di interferenze tra gli elementi, mai del tutto evitabile anche per modelli allo stato dell’arte; dispersione che, proprio per tale ragione, non è all’altezza qualitativa di quella orizzontale, dove, abbiamo visto, nessuna interferenza sostanziale può penalizzare il risultato.
Infatti, la possibilità di settare piccoli o piccolissimi angoli di apertura tra gli elementi è in realtà molto più utile in campo vicino, contrariamente a quanto qualcuno crede o afferma, pensando che la necessità di settare un VLA con angoli molto piccoli sarebbe legata al fatto che, in distanza, una piccola differenza angolare permetterebbe di distribuire più omogeneamente il suono sull’audience nel senso della profondità.
La ragione è semplicissima: a distanze elevate c’è già un’ottima omogeneità di risposta per la minime differenze di tempi d’arrivo, inoltre una differenza di puntamento dell’asse degli elementi rispetto all’audience si traduce in un fuori asse assolutamente minimo rispetto all’elemento il cui asse appare non precisamente direzionato nel punto di ascolto o di misura, tale da non influenzare affatto la somma di tutte le bande di frequenze che comunque si sommano in un VLA a quella distanza. Quindi anche un grado di errore nel puntamento non provoca differenze apprezzabili nella risposta in campo lontano (solo graficamente può apparire l’errore per la divaricazione maggiore degli assi di puntamento, ma, entro i limiti descritti, acusticamente l’effetto è trascurabile), mentre in campo vicino anche 1/10 di grado può provocare differenze di risposta ben udibili. Per poter gestire questo tipo di regolazione fine tra un elemento e l’altro è indispensabile però utilizzare un software di simulazione vero e proprio che tenga conto degli sfasamenti (complex summation) e che possa “mappare” a colori il livello sonoro con grande precisione a tutte le frequenze sull’area di ascolto considerata e non un semplice software di puntamento, del quale per le ragioni, ormai spiegate più volte, sono dotati i VLA meno sofisticati, anche se molto spesso inopinatamente costosi. Ma questo lo vedremo più avanti negli esempi realizzati con VIP, il software di puntamento e simulazione, gia utilizzato per gli articoli precedenti, che può gestire l’angolazione reciproca degli elementi di Butterfly (per ovvie ragioni è il solo sistema che io possa usare per dare dimostrazione di quanto sopra) con step minimi di 1/8 di grado (0,125°), avendo il sistema una meccanica di sospensione che lo consente e può “mappare” la riposta sulla “mesh” dell’area considerata, rilevando il livello SPL a tutti i terzi di ottava con una risoluzione anche di 10 cm2 di area.
Per dare la massima continuità al confronto tra i grafici, e quindi alla loro comprensione per il lettore, riprenderemo una configurazione gia usata nello scorso articolo, con la risposta, al solito, normalizzata per evidenziare i soli risultati dipendenti dalla intrinseca direttività del sistema e dal suo possibile settaggio meccanico. (Ricordo che normalizzare significa correggere la riposta del singolo elemento per ottenere un livello identico in tutta la banda audio, senza alcuna equalizzazione o preenfasi di compensazione delle allte frequenze, mantenendo intatte le caratteristiche direzionali ottenute dalle misure tridimensionali, “Ballon”). Noteremo quindi che Il VLA mostra, alle alte frequenze di cui parliamo, una perdita progressiva di livello con la distanza, in realtà non dovuta all’assorbimento dell’aria, con le sue caratteristiche che variano secondo la pressione atmosferica, la temperatura e l’umidità, che nel calcolo abbiamo per ora escluso ma che evidenzieremo in uno dei grafici successivi perché tutti se ne rendano conto; perdita invece legata in misura progressivamente più grande in dipendenza dalla quantità di elementi utilizzati. Fig. 4
Più numerosi infatti saranno questi e maggiore sarà l’enfatizzazione delle frequenze medio basse e basse dovuta all’ottimo “coupling” tra le emissioni che si determina a tali frequenze, a tal punto buono che, pur essendo le emissioni assoggettate alle regole del decadimento in campo lontano con la caduta di 6 dBSPL al raddoppio della distanza, il loro livello farà sembrare molto più attenuate le frequenze via via più alte nonostante decadano solo di 3 dBSPL con il raddoppio della distanza per l’effetto array, ma che, non usufruendo del “coupling” tra gli elementi perché volutamente progettati per avere la direttività necessaria ad evitare le deleterie interferenze tra i dispositivi che emettono le alte frequenze, subiranno una attenuazione di livello molto evidente, che aumenterà ulteriormente per la grande attenuazione dovuta all’assorbimento dell’aria.
Per questa ragione nei settaggi dei VLA si possono trovare preenfasi con filtri “Hi-Shelving” in salita anche di 18 dB da 2000 Hz in avanti.
Questo comportamento intrinseco al sistema porta inevitabilmente ad uno sbilanciamento tonale sull’area d’ascolto, cioè ad un eccesso di bassi e medio bassi in campo vicino, accompagnato ad una mancanza di bassi e di alti in campo lontano; in sostanza la più grande limitazione che ancora permane in un VLA di qualsiasi livello qualitativo (con le dovute differenze ovviamente tra un sistema non ben progettato che, oltre allo sbilanciamento tonale, presenta anche forti interferenze ed un sistema invece, ben progettato, che soggiace al solo inevitabile sbilanciamento tonale), non facilmente o in minima misura superabile, specialmente, ripeto, se non si hanno a disposizione meccaniche di puntamento adeguate e soprattutto un software di simulazione capace di mostrare i risultati del settaggio sull’audience con chiarezza e sufficiente precisione da renderne edotto chi sta lavorando con il sistema e può dunque intervenire con cognizione di causa.