Sicurezza e Spettacolo
Parola ad Alessandro Bellucci, presidente di Assomusica.
Il settore della musica e in particolare dell’organizzazione dei concerti dal vivo è “estremamente professionale e sicuro”, ma certo mancano normative ad hoc per la sicurezza, “ruoli e figure riconosciute, con compiti e responsabilità definite”, così come, fra le altre cose, si potrebbe promuovere un maggior coinvolgimento di coloro ai quali tutto gira intorno, ovvero gli artisti che, invece, nella maggioranza dei casi, “non hanno idea di cosa accade e di come funziona il meccanismo che li porta ad esibirsi su un palco”.
È articolata l’analisi di Alessandro Bellucci, presidente di Assomusica, che ci aggiorna su una serie di incontri e percorsi che l’Associazione sta mettendo in campo, dando seguito all’esigenza da tempo emersa di un serio confronto all’interno dell’Associazione stessa e con le istituzioni, non solo sul tema della sicurezza ma più in generale sul futuro del live. Un’esigenza diventata ancor più urgente dopo i drammi di Trieste in dicembre e di Reggio Calabria in marzo, dove due ragazzi hanno perso la vita montando il palco rispettivamente per i concerti di Jovanotti e di Laura Pausini.
Ho letto tempo fa che Assomusica sta pianificando per i suoi iscritti incontri di formazione e altro: a che punto siete?
Il 19 aprile a Bologna sono cominciati i corsi di formazione per promoter e direttori di produzione in merito alla sicurezza nei luoghi di lavoro. A breve verrà costituito un tavolo di lavoro per l’elaborazione di una o più check-list per la tutela dei lavoratori e del pubblico.
Stiamo lavorando ad un censimento che porti ad un archivio di tutti i luoghi che utilizziamo per spettacoli nel nostro Paese, che ricordo non ha una sola struttura costruita per ospitare non voglio dire “solo”, ma “anche” la musica popolare contemporanea dal vivo; gli stessi verranno censiti con caratteristiche tecniche e di agibilità, un lavoro che vorremmo fare di comune accordo con il Ministero degli Interni, Ministero che abbiamo incontrato congiuntamente a quello del Lavoro, chiedendo di concordare regole e norme che tengano conto della peculiarità del nostro settore e delle figure professionali che ne fanno parte.
Inoltre stiamo lavorando ad una serie di corsi di formazione in collaborazione con INAIL, oltre alla realizzazione di un’assemblea di “Stati Generali della Musica” da tenere il prossimo ottobre.
“Meno effetti speciali e più sicurezza” la tua dichiarazione apparsa su qualche quotidiano dopo Reggio Calabria, mi spieghi meglio?
Il concetto finiva in questo modo ma aveva una premessa che non è stata richiamata ed è invece fondamentale: fermo restando che il concetto di spettacolo negli ultimi anni ha subito una forte accelerazione più nella direzione dello spettacolo che non in quella del concerto, anche per la legittima richiesta del pubblico, che vuole un prodotto all’altezza dei tempi e dei biglietti che paga, peraltro non sempre popolari, è evidente che stiamo assistendo anche negli spettacoli indoor ad una graduale ma apparentemente inarrestabile corsa al “sempre più grande”. Non voglio però con questo demonizzare la ricerca della produzione complessa, anche se non sempre a questa corrisponde una più elevata qualità dello show; certo che a questa ricerca deve corrispondere una più accurata attenzione alla sicurezza, a cominciare dalla prima fase della progettazione, alla vendita dello spettacolo, che deve necessariamente tenere conto delle fasi di montaggio e smontaggio, evitare i back-to-back e tenere conto delle peculiarità dei vari palazzi in cui uno spettacolo preconfezionato a tavolino si deve inserire.
Ritengo che nel nostro mestiere ci siano questioni irrisolte che posizionano il limite del rischio più in alto di quanto dovrebbe essere, circostanze che vanno affrontate e risolte il prima possibile per salvaguardare la nostra filiera e rendere il settore della musica popolare contemporanea dal vivo in Italia sempre più sicuro e prospero possibile, coniugando la ricerca di un prodotto di livello da proporre al pubblico ed all’artista, cercando di eliminare o limitare tutti quegli elementi di criticità che concorrono ad alzare l’asticella del rischio.
Inoltre non c’è in nessun campo del nostro settore una normativa dedicata: non c’è dal punto di vista della sicurezza, visto che mutuiamo norme che fanno riferimento all’edilizia; non c’è in materia fiscale, o relativamente alla licenza di rappresentare uno spettacolo, poiché il più delle volte sottostiamo alla regolamentazione prevista per le manifestazioni sportive; insomma la mancanza di un riconoscimento professionale e, di conseguenza, di norme dedicate, è alla base di problematiche che si riescono così ad affrontare solo con maggior difficoltà.
In ogni campo ci sono ruoli e figure riconosciute, con compiti e responsabilità definite: penso al settore edile; noi non siamo stati messi nelle condizioni di delineare incarichi e professionalità, con la conseguenza immediata di una gran confusione anche nella gestione della sicurezza.
Per quanto riguarda il cantiere, spesso i direttori di produzione o gli assistenti vengono investiti de facto di ruoli di cui non sono né competenti né consapevoli, vengono mutuate regole e disposizioni che il legislatore non ha pensato per il nostro settore.
E poi, come già detto, non c’è un solo posto in Italia fatto e pensato per la musica popolare contemporanea dal vivo; noi allestiamo spettacoli nei palasport e negli stadi progettati per eventi sportivi, nei teatri che comunque non stati pensati per la musica ma per il teatro, e anche le strutture più belle e moderne, di recente costruzione come il Palasport di Torino, per fare un esempio, non sono stati concepiti per ospitare anche la musica dal vivo, nonostante i concerti siano regolarmente programmati.
Questo aspetto mi sembra ben evidenziato anche nel manuale tecnico d’uso per lo spettacolo dal vivo curato e distribuito proprio da Assomusica; molti problemi derivano dal mancato esame degli aspetti relativi alla sicurezza in fase di progettazione. Non pensi che questa “gigantomania” diventi irresponsabile e colpevole quando progetta allestimenti faraonici da costruire in luoghi non adatti e in tempi di lavoro funzionali solo all’abbattimento dei costi?
La gigantomania di per sé non è un elemento di pericolo se la fase di progettazione dello spettacolo viene seguita non solo dai creativi o dai direttori di produzione, ma anche da un progettista che cura il processo diciamo di scrittura in ogni sua parte; inoltre il fatto che di volta in volta una progettazione debba subire delle modifiche per adattarsi ai diversi luoghi in cui viene programmato lo spettacolo è un aspetto che indubbiamente crea elementi di pericolosità, e anche in questo caso l’istituzione di un Direttore dei Lavori certamente aiuterebbe in termini di sicurezza. Poi, se vogliamo entrare ancora più dentro la materia, possiamo anche dire che la progettazione di uno spettacolo deve avere la predominanza sul booking dello stesso, e come sai non sempre questo è possibile, colpa di un mercato dove ormai si lotta per dei margini che a raccontarli all’esterno potrebbero prenderci per spergiuri o per scellerati, ma che sono la triste realtà.
Nonostante tutto ciò, io ritengo ancora che il nostro sia un settore estremamente professionale, che cerca di comprendere, di imparare e di migliorarsi, nonostante le tragedie avvenute a Trieste in dicembre e a Reggio Calabria in marzo.
Anche io, come altri colleghi, ritengo che nonostante i recenti tristi episodi si lavori in sicurezza e che in ogni cantiere si adottino le necessarie misure di tutela dei lavoratori, ma mi chiedo se non sia arrivato il momento di avviare una riflessione a 360 gradi, oltre la legge e i ministeri competenti. È possibile che Assomusica coinvolga produttori ed organizzatori affinché si adotti da subito un’autoregolamentazione dei tempi di lavoro dei tecnici che montano e smontano anche fino a 20/30 ore senza fermarsi e degli spostamenti nei tour? È accettabile che una produzione media debba affrontare back-to-back di 500 km, oppure un tour di 17 date di cui 14 di seguito?
Non tutte le tournée, anche quelle importanti, hanno dei calendari che prevedono back-to-back rilevanti, però capita che vengano programmati tour impegnativi con pochi giorni di riposo e il mio pensiero è che queste pratiche vadano assolutamente limitate se non eliminate. Sono proprio questi gli elementi che ultimamente concorrono a forzare sull’acceleratore della velocità, e la sicurezza inevitabilmente diminuisce.
Chiunque lavori in questo settore non può negare che fino a cinque, sei anni fa produzioni indoor stivate in cinque o sei bilici erano considerate importanti, mentre oggi una produzione con dieci bilici si valuta come media. Effettivamente non si può trascurare questo aspetto, la tendenza è quella di costruire spettacoli sempre più complessi e impegnativi da un punto di vista tecnico e logistico. Di per sé la cosa non presenterebbe criticità se il mercato di queste produzioni prevedesse dei tempi consoni per il montaggio, lo show e lo smontaggio, cosa che spesso non avviene per due motivi: il primo sempre riconducibile alle strutture che ospitano gli allestimenti e i tempi imposti alla musica all’interno della programmazione sportiva; il secondo riguarda i costi: l’aumento delle spese è direttamente proporzionale al tempo impiegato per l’allestimento e il disallestimento, ed è evidente che il contenimento dei costi è un obbiettivo condiviso.
C’è senza dubbio bisogno di una pausa e di una riflessione che coinvolga i vertici delle produzioni e gli organizzatori ma, ripeto, a questo confronto non possono mancare gli artisti. Una seria valutazione di ciò che sta accadendo la devono fare anche coloro per i quali tutto questo viene fatto.
In qualità di grande appassionato di musica ritengo che l’emozione di un concerto sia un fatto straordinario che a volte, non sempre, ti lascia dei ricordi indelebili, emozioni che si custodiscono per tutta la vita e che sono la straordinaria bellezza di ciò che facciamo; ma dalla mia esperienza di spettatore non mi è mai capitato di legare questo fatto a immagini su uno schermo, a una luce, a un laser: i miei ricordi si fermano alla performance dell’artista, alla forza emotiva che questo sa o non sa trasmettere al pubblico.
Nelle produzioni indoor un ragionamento che porti gli artisti a pensare ai loro spettacoli con un’ottica meno glamour e ricca, e maggiormente basata sul contenuto, secondo me aiuterebbe moltissimo non solo la sicurezza, ma anche la crescita della musica popolare contemporanea dal vivo. Insomma io penso che sia anche giusto chiedersi se sia necessario in luoghi indoor appendere sulla testa del pubblico e degli artisti tonnellate di materiale per fare un bello show.
Mi piacerebbe che questo ragionamento fosse fatto intorno ad un tavolo non solo dai produttori, ma anche dagli artisti che non possono più esimersi dall’entrare nel merito del proprio lavoro e delle proprie richieste, poiché sono il vero dominus del nostro settore senza la cui consapevolezza e collaborazione tutto diventa più difficile. Il problema è che quando si parla di artisti si parla di singole persone e non si parla mai di un’associazione o un ente che possa legittimamente rappresentarli in un confronto.
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