Radiofrequenze - terza parte
Appunti sulla trasmissione di segnali audio a radiofrequenza: le antenne
Il segnale trasmesso e ricevuto a radiofrequenza è un campo elettromagnetico, cioè una distribuzione di forze in grado di farsi sentire sulle cariche elettriche.
Le sorgenti del campo elettromagnetico sono le correnti elettriche.
Una caratteristica fondamentale del campo elettromagnetico è che si propaga, ovvero è possibile agire con una forza su una carica elettrica distante.
In pratica, una corrente elettrica variabile impressa in un conduttore (antenna trasmittente) genera un campo elettromagnetico variabile, in grado di agire con una forza, anch’essa variabile, sulle cariche elettriche presenti in un altro conduttore distante (antenna ricevente). La forza così impressa sulle cariche elettriche dell’antenna ricevente genera ai capi di questa una tensione elettrica, ovviamente ancora variabile; questa tensione, in buona sostanza, rappresenta il segnale trasmesso.
È il caso di notare che l’antenna è in genere – ma non necessariamente – un conduttore aperto ad un’estremità per cui non è in grado di sostenere una corrente costante, né peraltro dovrebbe farlo: la corrente che scorre in antenna è ovviamente alternativa; forse si potrebbe a miglior titolo scrivere “cariche elettriche in movimento” al posto di “corrente elettrica”, potendo peraltro considerare tali locuzioni in ogni caso equivalenti.
Può essere interessante approfondire il rapporto tra la forma dell’antenna trasmittente e la direzione di propagazione del campo.
Le antenne rettilinee
Le antenne più semplici, cioè le comuni antenne lineari, trasmettono in tutte le direzioni su un piano perpendicolare all’antenna, ovvero tutt’intorno, mentre non emettono energia nella direzione dell’antenna. Se un’antenna trasmittente lineare è posta in verticale, il massimo di propagazione sarà in orizzontale tutt’intorno, mentre sarà nulla la propagazione in verticale, che sarebbe effettivamente energia persa.
L’antenna trasmittente, come carico del trasmettitore, deve presentare due terminali, attraverso i quali il generatore, ovvero il trasmettitore, esprime la propria spinta.
Una configurazione comune è la cosiddetta antenna a dipolo, costituita da due tratti di conduttore metallico rigido disposti simmetricamente rispetto all’alimentazione, ciascuno connesso ad un polo del trasmettitore. Spesso il dipolo è costituito da un unico tratto di conduttore ripiegato, invece che da due tratti disconnessi tra loro.
Un’altra configurazione comune è quella detta semi-dipolo, costituita da un tratto di conduttore rettilineo e da un piano conduttore chiamato piano di massa. Il tratto di conduttore rettilineo costituisce l’elemento trasmettitore vero e proprio, mentre il piano di massa agisce come riflettore, generando appunto per riflessione l’immagine del secondo tratto conduttore che nel dipolo completo è invece presente fisicamente.
Nelle configurazioni rettilinee appena descritte, la lunghezza del conduttore va accordata con la lunghezza d’onda del segnale da trasmettere1. Per la precisione, ciascun tratto di antenna dovrebbe essere lungo all’incirca quanto 1/4 di lunghezza d’onda della portante da trasmettere. In effetti, la velocità delle cariche elettriche (ovvero la corrente elettrica) sarà massima in corrispondenza del generatore, nulla in corrispondenza dell’estremità aperta: tra un massimo ed uno zero c’è proprio 1/4 di lunghezza d’onda.
Un collegamento radio con antenne rettilinee è massimamente efficace quando le antenne trasmittente e ricevente sono parallele, mentre perde progressivamente efficacia all’aumentare dell’angolo tra le antenne. Quando le antenne si dovessero disporre tra loro ortogonali è facile perdere diverse decine di dB di segnale rispetto alla condizione ottimale.
Le antenne elicoidali
Un’altra tipologia di antenna molto utilizzata è quella elicoidale, in cui il conduttore d’antenna è avvolto ad elica, generalmente in aria. Questo tipo di antenna può comportarsi, dal punto di vista della direttività, in due maniere differenti:
- se la lunghezza del conduttore è molto inferiore ad una lunghezza d’onda, il diagramma di radiazione è molto simile a quello di un dipolo corto, cioè l’antenna irradia in maniera omnidirezionale sul piano perpendicolare all’antenna, mentre non irradia praticamente nessuna energia in direzione assiale;
- se il diametro delle spire ed il passo, cioè la distanza tra una spira e l’altra, sono dello stesso ordine di grandezza della lunghezza d’onda, allora l’antenna esibisce un comportamento decisamente direttivo, con il massimo di radiazione lungo l’asse dell’antenna e alcuni lobi secondari angolati rispetto all’asse.
Un collegamento radio che fa uso di antenne elicoidali, direttive o meno, è più robusto dal punto di vista del disallineamento di polarizzazione rispetto alle configurazioni rettilinee; in pratica, l’efficacia del collegamento risulta meno sensibile all’angolo tra le due antenne trasmittente e ricevente.
Le antenne direttive
In genere, nel campo dei trasmettitori mobili come quello dei radiomicrofoni (e dei telefoni cellulari) per il trasmettitore conviene usare un’antenna omnidirezionale, dato che la posizione e soprattutto l’orientamento del trasmettitore stesso non sono noti a priori. Le antenne riceventi, invece, in genere possono essere anche direttive, almeno quando la zona in cui si muove il trasmettitore è in qualche modo determinata. Le antenne riceventi direttive permettono tra l’altro di minimizzare la raccolta di rumore e di interferenze, attenuando i segnali provenienti da direzioni diverse da quella di puntamento.
La direttività di un’antenna, in trasmissione o in ricezione, può essere espressa in diversi modi. Il diagramma di radiazione (o, dualmente, di ricezione) è un diagramma tridimensionale in cui si evidenzia la potenza relativa del segnale ricevuto o trasmesso in ogni direzione dello spazio. Per esprimere il concetto con un numero, in sintesi, si definisce direttività in una data direzione il rapporto tra l’intensità irradiata (o ricevuta) in tale direzione e l’intensità che sarebbe generata nello stesso punto da un’ipotetica antenna isotropica che irradiasse la stessa potenza complessiva. Si parla semplicemente di direttività, senza riferirsi ad una direzione particolare, per indicare la direttività nella direzione in cui la stessa è massima.
Un parametro simile è il guadagno d’antenna, anch’esso in ciascuna direzione, in cui al denominatore non c’è la densità di potenza isotropica irradiata ma la potenza (elettrica) assorbita complessivamente dall’antenna, distribuita equamente in tutte le direzioni. Il guadagno tiene conto quindi anche del rendimento dell’antenna, ovvero della frazione di potenza che viene effettivamente irradiata.
Due configurazioni direttive molto utilizzate, oltre alle antenne elicoidali grandi, sono le schiere (array) di elementi lineari e, in particolare, le configurazioni (attive, ovvero necessitano di alimentazione alla frequenza di funzionamento) chiamate Yagi-Uda e log-periodica.
Le antenne Yagi-Uda sono costituite da un dipolo a λ/2 (due tratti da λ/4) alimentato, un dipolo passivo leggermente più lungo dietro (riflettore) e uno o più dipoli passivi (direttori) davanti, tutti allineati. Sono, ad esempio, le tipiche antenne televisive per il segnale terrestre. La Yagi è decisamente direttiva – con otto o dieci elementi si ottengono guadagni di circa 14 dB – e, dato che utilizza dipoli accordati, funziona su una banda piuttosto stretta.
Le antenne log-periodiche, o logaritmiche, sono costituite da una serie di dipoli, tutti alimentati e allineati, in cui sono costanti il rapporto (NB: non la differenza) tra le lunghezze e anche il rapporto tra le distanze di due elementi successivi. Ogni dipolo risuona quindi ad una frequenza diversa dagli altri dipoli della stessa schiera, e a tale frequenza quel dipolo si comporta come elemento effettivamente alimentato mentre gli altri, a causa dell’alta impedenza in ingresso dovuta al disaccoppiamento, si comportano come elementi praticamente passivi e fungono così da riflettori (quelli dietro) e direttori (quelli davanti). Il comportamento complessivo dell’array è quindi simile a quello di una Yagi-Uda, ma su una banda decisamente più estesa. In pratica, l’elemento più lungo determina la minima frequenza di funzionamento, mentre quello più corto determina la frequenza massima.
Note
1 con la lunghezza d’onda della portante, per la precisione. Vedi la parte precedente sulla modulazione.
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