Orlando Ghini
Da tempo un riferimento nel mondo italiano del PA manager...
di Giancarlo Messina
Quarantasei anni, alto ed asciutto, proprio come il suo carattere, più propenso ad ascoltare che a parlare, Orlando Ghini è da tempo un riferimento nel mondo italiano del PA manager, e dobbiamo ammettere che, pur sforzandoci, non ci riesce di ricordare un concerto in cui l'impianto audio da lui montato suonasse male.
Ma attenzione: riservato e di poche parole sì, ma antipatico no di certo, perché quando si chiacchiera insieme, Orlando è sempre garbato ed acuto, direi a volte ammiccante, dietro il sorriso sornione.
Ci siamo fatti raccontare la sua storia, ed abbiamo scoperto molte cose che non immaginavamo...
Come sei arrivato in questo settore?
Ho iniziato alla tenera età di venti anni, lavorando alla Cabotron, a Parma, la mia città natale. Lì ho cominciato ad occuparmi di impianti e di tutto ciò che concerne l'audio professionale. Era l'epoca di Cabotron JBL, dei primi mixer Midas, copiati da Cabotron, dei primi crossover analogici e dei primi amplificatori a transistor a “Classe A” più o meno fasulla dopo le valvole. Dopo un paio di anni ho avuto l'occasione di lavorare con la Trident Rent dove c'erano anche Willy Gubellini e Billy Bigliardi. Allora la Cabotron lavorava direttamente per i Pooh, gruppo di riferimento di quell'impianto. Noi facevamo assistenza, perché le apparecchiature si rompevano spesso! Erano insomma le prime esperienze in quel settore. Poi assieme a Cantarelli, famoso personaggio della RAI per programmi come SanRemo, Domenica In, facevamo i service in queste trasmissioni che duravano due o tre mesi, nei teatri oppure negli auditorium della RAI. Così ho iniziato a fare il fonico a SanRemo: al tempo c'era il microfono di Baudo, quello della valletta, le famose tracce left e right con le basi e basta, era tutto in playback, non c'era un cantante neanche a pagarlo; quindi era tutto abbastanza semplice. L'unica cosa impegnativa era seguire il conduttore: all'epoca si usavano dei grandi impianti, non adatti a quel tipo di installazioni, ed i microfoni erano i Lavalier, quindi c'erano molti problemi di risonanze e feedback. Mi sono fatto le ossa proprio in queste situazioni. In seguito sono stato chiamato dalla Trident a fare il fonico per i Rockets, con cui sono stato in tour per più di due anni e mezzo. Questa esperienza mi ha dato molto, ed è stato anche un periodo molto piacevole e divertente.
Questo era il periodo in cui iniziavano a vedersi i primi impianti stranieri?
Sì, possiamo dire che l'esterofilia è sempre stata abbastanza sentita nel nostro settore. Qualunque cosa venisse dall'estero, direi anche a ragione, era sempre guardata con molto interesse. Si vedevano i primi impianti Martin, JBL e pochi altri. Tutte cose interessanti, anche sotto il punto di vista elettronico: mixer, riverberi, unità digitali, amplificatori e tutto ciò che concerne nel nostro mestiere il lato tecnico. Iniziavamo ad affrontare il nostro lavoro con un mixer in sala, un mixer in palco, uno splitter attivo e le DI Box, allora una cosa assolutamente innovativa.
Con Trident qual è stato il tuo percorso? Quali esperienze ricordi in particolare?
Ho conosciuto poco di Trident, ho fatto il tour ma allora la produzione non esisteva, esistevano solo i tecnici che andavano in giro in camper con gli effettini al seguito. La produzione era identificata in qualcuno che vedevi ogni tanto venire a prendere i soldi dalla cassa, niente di più. Nessuno si preoccupava del carico o dello scarico dei camion, degli orari... niente di niente, faceva tutto il service, gestivano tutto i tecnici.
In quei periodi l'esperienza si faceva provando, sbagliando e riprovando. Come si partiva per risolvere i problemi?
Rispetto ai problemi non è cambiato poi tanto! Ancora oggi non c'è una grossa conoscenza tecnica nel risolvere i problemi. Se si sente un ronzio, si iniziano a cambiare delle cose finché, casualmente, non smette. L'approccio è, ed era, abbastanza empirico, anche perché alla fine una vera e propria scuola che ti insegni queste cose non c'è. Noi vecchi veniamo tutti dall'ambiente musicale e ci siamo poi buttati in questo settore.
Anche tu hai un'estrazione musicale?
Sì, ho studiato al conservatorio e mi piace molto il jazz. Infatti mentre facevo il fonico continuavo la mia attività di musicista, con i miei gruppetti. Mi capitò l'occasione di suonare con un artista italiano che molti ricordano, Franco Simone, e con lui cominciai un tour come bassista. Restai nella sua band per circa otto o nove anni, suonando molto anche in Sud America, dove era abbastanza famoso, mentre in Italia facevamo molte feste di piazza. È stata un'esperienza molto bella ma, finito questo lungo capitolo da musicista a circa 33 anni, mi sono riavvicinato al mondo del service, ho rincontrato vecchi amici e sono tornato in carreggiata.
Chi è stato il contatto per tornare dalla nostra parte della barricata?
Fondamentalmente Willy Gubellini di Nuovo Service. L'ho incontrato durante il tour di Baglioni, al Palasport di Parma. All'epoca suonavo in qualche orchestra, nei pub... Le solite cose che fanno i musicisti quando non hanno un tour, così accettai la sua proposta di cominciare a fare qualcosa con lui.
Dopo dieci anni di assenza, cosa hai trovato di diverso?
Il modo di lavorare era certamente differente, c'era tutta la divisione in settori che prima non esisteva; la produzione era arrivata ad avere un grosso peso nei concerti, mentre prima era quasi assente. Tutta la situazione si presentava molto più impegnativa. Gli stessi concerti, a livello di palco e di strutture si erano fatti più complessi.
Era già l'epoca del Turbosound?
Si parla di circa tredici anni fa, era l'epoca del FlashLight, con cui poi abbiamo lavorato parecchio, almeno per sette anni.
Che lavori ti ricordi di quei tempi?
Ne abbiamo fatti tanti: Lorenzo, Eros... Mi ricordo un tour bellissimo con Pino Daniele e Pat Metheny dove c'era Maurizio Magi al mixer, quindi un notevole sound; oltretutto io sono un fan di Pat Metheny e ricordo questo tour con molto piacere. Anche quello con Battiato è stato un tour che mi è piaciuto molto.
All'epoca che ruolo avevi?
Inizialmente mi facevo le ossa, tornavo a conoscere questo mestiere, quindi ero assistente alla regia, al montaggio P.A. e un po' di tutto. Poi ho cominciato a specializzarmi, prima lavorando sul FlashLight, facendo il settaggio del P.A. sia come posizione che come equalizzazione e poi assistenza al mixer. Quando ho acquisito sufficiente esperienza sono stato anche responsabile per quanto riguarda l'audio in generale, ma è un lavoro che ho sempre cercato di evitare: troppo stressante!
Poi hai cambiato ancora: cos'è successo?
Mi sono interessato all'impianto V Dosc, perché l'avevo sentito e mi era piaciuto molto, quindi ho pensato di spostarmi verso un'altra compagnia, pur non uscendo da Nuovo Service, di cui sono ancora socio. Mi interessava avvicinarmi a nuove strutture, aumentare la mia conoscenza e la mia esperienza anche con persone diverse, lavorando con persone e materiali nuovi. È stato per me un passo molto importante ed interessante, ho potuto conoscere persone come Daniele Tramontani e tutti i ragazzi che lavorano per Agorà, persone molto in gamba sia a livello tecnico che a livello umano.
Quindi ti si sono aperte delle nuove porte, hai fatto nuove conoscenze. Hai fatto il corso di ingegnere V Dosc?
No, Daniele mi ha dato una grossa mano per quanto riguarda il settaggio dei V Dosc. È stato sicuramente un buon maestro. Ritengo di essere in grado di fare delle ottime installazioni, nonostante non abbia fatto il corso.
Cosa rifaresti e cosa non rifaresti oggi? Quali sono le cose belle e le cose brutte del tuo percorso?
Io rifarei tutto quello che ho fatto, anche perché se l'ho fatto probabilmente era destino che lo facessi. Se non proprio destino, per lo meno una tendenza. Ho fatto delle scelte perché il mio interesse tendeva a portarmi in quelle direzioni.
Quindi non hai sbagliato niente nelle tue scelte?
Ho sbagliato sicuramente tantissimo, però è grazie a quegli errori che sono arrivato fino a qui. Non saprei dire che cosa sarebbe stato meglio o peggio fare. Diciamo che non mi sono pentito. Penso che anche le scelte sbagliate abbiano avuto la loro importanza.
Tu che hai lavorato anche all'estero, cosa terresti del mondo dello show italiano e cosa vorresti barattare con altre realtà?
Sicuramente cambierei con l'estero l'organizzazione e la professionalità. Chi fa questo mestiere all'estero è più sicuro di sé, ma attenzione, parlo solo dell'Inghilterra e degli Stati Uniti; lì c'è più esperienza e questo lavoro è considerato tale, mentre da noi non è considerato un lavoro vero e proprio e penso che questa opinione non cambierà mai, perché siamo una nicchia numericamente poco importante. Quello che non cambierei con l'estero è il lato umano: gli italiani, in questo settore, lavorano sodo e sono simpatici, degli ottimi compagni di lavoro.
Adesso cosa c'è nel tuo futuro, quali sono i tuoi obiettivi?
In verità non sto pensando molto al futuro. Ho sempre la tendenza a continuare ad aggiornarmi, a guardarmi intorno e a non chiudere nessuna porta. A volte sono stato coraggioso a fare scelte improvvise e determinanti: sono abbastanza avventuroso anche perché mi stanco presto di situazioni che non mi danno più emozioni. In questo momento sto bene, lavoro con persone che mi piacciono, mi trovo bene con l'azienda. I risultati che ottengo, per adesso, mi danno soddisfazione.