Gli incidenti elettrici

Quante volte avete sentito questa espressione, dite la verità? Quante volte vi siete chiesti cosa esattamente volesse dire?

di Marco Mocellin

Gentile lettore, attirato fin qui dal titolo a dir poco enigmatico, ti starai appunto chiedendo: cosa vuol dire?

No, non ho intenzione di parlare delle collisioni tra veicoli a trazione elettrica e delle possibili ripercussioni causate dai campi elettromagnetici scatenati dall’urto.

Semplicemente il titolo è il modo in cui in gergo si definiscono tutti gli incidenti che portano alla fulminazione più o meno grave di persone e cose.

Cioè, in lingua volgare (cioè a cui sono avvezze le orecchie del volgo) parleremo dei rischi connessi con il prendere la scossa e come evitarli, realizzando bene gli impianti utilizzatori.

È noto che, in alcune regioni d’Italia, la parola stessa “scossa” indica in senso lato anche l’alimentazione elettrica in toto.

Come ricorderete, l’argomento non è nuovo a queste pagine, ma credo giovi ripetere qualcosa: in generale possiamo dire che la pericolosità di una corrente elettrica sul corpo umano è data dalla intensità della corrente stessa e dalla durata dell’esposizione.

A questo proposito esistono dei grafici che forniscono in maniera molto semplice la correlazione tra l’intensità della corrente e la sua durata per ottenerne un dato effetto nocivo. Ora, ad essere franco, spero che vengano utilizzati al contrario, nel senso di consultarli per prevenire il danno, e non a posteriori per sapere quanta corrente è passata osservando il fumante residuo.

Tralasciando le macabre considerazioni, procediamo con l’analisi del problema.

Per completezza, nella prima figura trovate un esempio di tale grafico: noterete come in realtà alle tensioni normali di esercizio dei sistemi elettrici, considerando una resistenza del corpo umano convenzionalmente fissata in circa 1000 Ω, non sia per nulla difficile far passare correnti pericolose già per esposizioni brevissime.

 

Addentrandoci maggiormente nella natura dei contatti tra corpo umano e parti in tensione, dobbiamo fare una prima importante distinzione, utile in quanto non è solo un dettaglio concettuale ma una categorizzazione utilizzata in maniera estensiva anche dalle normative di sicurezza (Norme CEI, ad esempio ma non solo).

Vengono definiti “contatti diretti” quelli che si verificano tra una parte del circuito elettrico normalmente in tensione, ad esempio un conduttore nudo o un morsetto, ed il corpo umano. Sono definiti “contatti indiretti” quelli che si verificano tra una parte del circuito normalmente non in tensione, ad esempio la carcassa metallica di un apparecchio utilizzatore, ed il corpo umano.

La distinzione è importante, perché se i contatti diretti sono generalmente molto più pericolosi, almeno dal punto di vista delle intensità di corrente, sono anche i più facili da prevenire.

I contatti indiretti invece sono di solito causati da guasti accidentali o danneggiamenti degli isolamenti e si presentano con una varietà ed ampiezza di forme e manifestazioni che non sempre ne rende agevole l’eliminazione, anche se di contro è più facile renderli evidenti, ad esempio connettendo a terra le parti statisticamente interessabili dal guasto.

Protezione dai contatti indiretti

I sistemi di protezione dai contatti indiretti si possono dividere in due categorie principali: sistemi attivi e sistemi passivi.

I sistemi attivi sono quelli che in caso di anomalia levano alimentazione al circuito; si tratta essenzialmente dei noti interruttori differenziali, anche se lo stesso compito potrebbe essere compiuto da un magnetotermico opportunamente tarato o da controllori di isolamento coordinati con l’impianto di terra.

Un vecchio metodo, ora proibito dalle norme per ragioni di sicurezza, è la messa al neutro delle masse metalliche: questo causa un violento cortocircuito in caso di guasto dell’isolamento principale. È un metodo che riporto per amor di completezza ma che non ha alcuna valenza pratica.

In realtà nella pratica impiantistica corrente, l’unico metodo che è efficacemente utilizzabile nella realizzazione degli impianti mobili è l’installazione degli interruttori differenziali. Questi sono efficaci anche in caso di impianti di terra ad alta resistenza o di impianti che mutano quasi quotidianamente la loro struttura.

Protezione dai contatti diretti

La protezione dai contatti diretti si ottiene invece in maniera essenzialmente meccanica, interponendo cioè opportuni materiali tra le parti attive e gli utilizzatori.

L’isolamento di un cavo è di fatto funzionale anche a questo, oltre a formare il cavo vero e proprio. Ricordo che tra le parti attive di un impianto deve essere considerato anche il conduttore di neutro, tranne nel caso in cui vengano resi unici il conduttore equipotenziale ed il neutro (PEN), ma non è una realtà interessante per i nostri fini.

Per estensione, anche i differenziali ad alta sensibilità (cioè fino a 30 mA di soglia) sono annoverabili tra le protezioni dai contatti diretti. Notiamo quindi come negli impianti di fatto, siano essi realizzati per l’intrattenimento ma anche per l’impiantistica civile, le due categorie di protezioni vengano rese uniche a beneficio della sicurezza globale degli utilizzatori finali.

Riporto nella prossima figura una schematizzazione relativa ai circuiti in bassissima tensione: le distinzioni che caratterizzano i tre schemi sono relative essenzialmente allo stato della terra rispetto al circuito elettrico. Purtroppo si tratta di circuiti utilizzabili solo in casi molto particolari, che non si adattano all’impiantistica di cui si occupano le aziende del nostro settore se non per aspetti limitati delle installazioni fisse.

L’impianto di terra

Come molti avranno notato, l’efficacia di tutte le protezioni descritte è praticamente sempre dipendente dalla bontà dell’impianto di terra. Entrando maggiormente nel dettaglio possiamo analizzare la prescrizione normativa secondo cui, per essere considerato efficiente, un impianto di terra deve presentare una resistenza di terra Rt tale per cui valga la relazione seguente:

Ipotizzando il caso di un impianto protetto da un interruttore differenziale, ed eseguendo il semplice calcolo indicato sopra, per una corrente I di intervento pari al massimo a 30 mA notiamo come la resistenza di terra possa assumere anche valori molto grandi, in questo dettaglio il vantaggio in termini di sicurezza e di costo di impianto degli interruttori differenziali.

Ancora una volta però è evidente come l’adozione degli interruttori differenziali sia una scelta saggia e funzionale solo in coordinamento con l’impianto di terra che deve però sempre e comunque essere presente; questi interruttori non lo sostituiscono affatto, come alcuni credono o più o meno velatamente sostengono in sede di verifica.

Eseguendo lo stesso calcolo di prima, nel caso di contatto diretto, possiamo ricavare una considerazione abbastanza confortante: infatti nel caso di una resistenza del corpo umano di 500 Ω, valore decisamente pessimistico salvo che per il tipico tecnico sudatissimo ed irrigato dalla manichetta a bordo palco in infradito e bermuda, in una rete a 230 V otteniamo un valore di corrente di guasto di 440 mA, abbondantemente sufficiente a far intervenire i differenziali da 30 mA.

In breve ecco perché ormai le protezioni differenziali sono da considerarsi una scelta indispensabile per qualsiasi impianto utilizzatore. Inoltre, come sempre ho ricordato, nel caso degli impianti ad alta disponibilità, come quelli utilizzati nel mondo dello spettacolo, è tassativo proteggere ogni linea con un interruttore separato. Ormai il costo non giustifica più scelte differenti.