Mezzogiorno di Suono
Interferenza e la diffusione in array lineari.
Nella puntata precedente abbiamo esaminato alcune soluzioni, anche un poco fuori dalle righe, per la riproduzione del suono in grado di garantire buoni risultati nei luoghi di culto che presentano un tempo di riverberazione non superiore a tre secondi. Purtroppo in Italia, come pure nel resto d’Europa, la maggior parte delle chiese – anche di dimensioni ridotte – è caratterizzata da un T60 decisamente superiore, tipicamente intorno a 5 ÷ 6 secondi sino ad arrivare ai 10 ÷ 20 secondi delle grandi cattedrali; quando l’acustica si fa impervia, i sistemi con singoli diffusori, mono o multivia, a radiazione diretta o a guida d’onda, devono cedere il passo alla dominatrice dei grandi spazi riverberanti: la linea di suono.
Con questo termine, che come vedremo non è del tutto proprio, si intende una serie di altoparlanti disposti lungo una linea geometrica, equidistanti tra loro o intervallati da spazi calcolati secondo certe regole matematiche. L’origine delle linee (o colonne) di suono, come pure del resto quella delle antenne direttive, dei sonar ecc. – tutti parenti stretti – non è riconducibile con certezza ad un singolo uomo di genio (come, ad esempio, la stereofonia o la formulazione matematica dei parametri di un carico bass-reflex) ma è piuttosto frutto di osservazioni e di esperienze collettive. Per quanto attiene al campo acustico, troviamo un’estesa descrizione delle principali tipologie di linee di suono già nel classico testo di Olson, Acoustical Engineering, scritto a metà degli Anni Trenta del ‘900. Per lunghi decenni le linee di suono trovarono vastissima diffusione in tutti i luoghi dove l’acustica è difficile e la buona intelligibilità della parola prioritaria. Senza mai debordare dal loro specifico campo di applicazione; anzi, acquistando una non lusinghiera fama di scarsa qualità timbrica, risposta in frequenza telefonica, distorsione elevata. In realtà, la cattiva fama era dovuta a tanti prodotti di pessima progettazione, spesso costruiti in “cantina”, ed ancor peggiore installazione, piuttosto che ai limiti intrinseci al sistema.
Mentre le antenne elettromagnetiche direttive e il sonar conoscevano un’intensa stagione di continui miglioramenti ed innovazioni, la controparte audio languiva quasi nell’oblio. In carenza del grande mercato delle trasmissioni radio, e delle conseguenti risorse destinate alla ricerca, o dei budget dell’industria militare, i progressi (come, ad esempio, i diffusori Bessel), furono veramente pochi. Il vento cominciò a cambiare con l’avvento delle tecnologie digitali e la disponibilità di processori per l’elaborazione di segnali audio, utilizzati soprattutto per gestire linee di ritardo elettroniche. In breve tempo si assistette quasi ad una rivoluzione nel settore, e a moltissime innovazioni che consentirono prima di migliorare la flessibilità d’uso e la qualità del suono riprodotto nei sistemi a radiazione diretta e poi l’approdo alla sonorizzazione dei grandi concerti e dei grandi spazi all’aperto per quelli a guida d’onda. Oggidì le linee di suono rimangono un must nei luoghi acusticamente difficili e in più offrono una versatilità d’impiego e di collocazione nell’ambiente assolutamente impensabili sino ad una quindicina di anni addietro. Come contraltare, persiste una certa difficoltà da parte degli operatori nel comprenderne appieno le caratteristiche fisiche e quindi di assicurare un’adeguata collocazione del diffusore nell’ambiente. Perché, è vero, la fisica di una sorgente sonora di questo tipo non è intuitiva e, soprattutto, è lontana dall’esperienza accumulata con i diffusori acustici tradizionali. Per questo motivo, prima di illustrare l’impiego pratico delle linee di suono nelle varie tipologie di luoghi di culto, ritengo indispensabile sintetizzarne in breve i principi di funzionamento e di impiego.
Interferenza è la parola magica che spiega il comportamento dei segnali con andamento ondulatorio quando s’incrociano e sovrappongono. Il suono è un’onda (o meglio: così possiamo considerarlo nella fisica spicciola della vita quotidiana), così come la luce, le emissioni radio e tutte quelle elettromagnetiche; sono onde anche le particelle nucleari. L’onda è caratterizzata da massimi positivi e negativi e da una direzione di propagazione (che può non coincidere con il verso nell’onda, come accade alle onde del mare, che si alzano o abbassano ma avanzano in una direzione ortogonale). Queste variazioni dell’ampiezza dell’onda si alternano a seconda della sua frequenza e della natura del mezzo in cui si propaga. Proprio questa è la differenza fondamentale tra suono e luce: al suono occorre sempre un mezzo di propagazione, alla luce no. La luce si propaga anche nel vuoto.
La distanza geometrica tra due punti omologhi di un’onda è denominata lunghezza d’onda, ed è espressa dalla lettera greca λ (lambda). Il numero di onde che si succedono per un’unità di tempo assume la denominazione di frequenza, ed è espresso in Hertz, abbreviato in Hz. Ad esempio, un suono con frequenza di 1000 Hz è formato da mille onde che si succedono durante un secondo. Poiché la velocità del suono nell’aria è di circa 343 metri al secondo, l’onda di questo suono ha lunghezza:
343/1000 = 0,343 metri.
Mi si perdoneranno queste spiegazioni, un poco noiose se non proprio pedanti. Per capire l’interferenza, e quindi il funzionamento delle linee di suono, occorre aver ben chiaro in mente il concetto di onda. Un concetto al quale non facciamo caso nella pratica di tutti i giorni: installiamo e colleghiamo i nostri microfoni, altoparlanti, amplificatori e mixer senza minimamente curarci della caratteristica ondulatoria del suono. Nella maggior parte delle situazioni operative possiamo maneggiare il suono come se fosse un continuum – come la corrente elettrica continua – piuttosto che un’onda, e non ce ne viene alcun danno. Ma dimenticarsi della sua vera natura quando installiamo delle linee di suono o affrontiamo i problemi acustici che via via esamineremo in Mezzogiorno di Suono significa andar incontro a risultati deludenti se non a fallimenti totali.
Quando due segnali continui si incontrano, semplicemente si sommano tra loro. Lo stesso avviene con due suoni, anche identici purché a larga banda, emessi da due diffusori relativamente distanti tra loro. (Con il termine relativamente distanti intendo separati di alcuni metri.) Se vogliamo, possiamo condurre un interessante esperimento. Collochiamo due altoparlanti all’aperto e lontano da ogni superficie riflettente. Facendo loro riprodurre un qualsiasi segnale musicale, misuriamo con un fonometro prima le emissioni dell’uno, poi dell’altro ed infine insieme, ripetendo la misura a varie distanze dagli altoparlanti. Noteremo che l’ultimo segnale sarà giusto la somma dei primi due (calcolare la somma dei due segnali in dB non è facilissimo: una buona applet è di grande aiuto…). Successivamente, inviamo ai due altoparlanti un segnale sinusoidale puro di frequenza compresa tra 50 Hz e 100 Hz. Ripetiamo il ciclo di misurazioni. Noteremo con sorpresa che il segnale somma misurato dal fonometro varia sensibilmente a seconda del punto di misura. In certi punti sarà assai più della semplice somma dei segnali; in altri addirittura zero, e questa estrema variabilità la percepiremo perfettamente anche ad orecchio. La somma di due o più segnali di natura ondulatoria dipende della coincidenza dei relativi massimi o minimi, denominata fase dei segnali. Se i due segnali si incontrano quando uno si trova in condizione di massimo positivo e l’altro di massimo negativo, si annullano a vicenda. Quando si incontrano entrambi in condizioni di massimo positivo o negativo, le loro ampiezze si sommano. Giova ricordare che il raddoppio dell’ampiezza comporta il raddoppio dell’intensità: un’energia quattro volte superiore.
Collochiamo il fonometro, per semplificare, in una posizione esattamente equidistante dai due altoparlanti. Con entrambi gli altoparlanti funzionanti, nel caso del segnale musicale il fonometro misurerà +3 dB rispetto alla misura di ciascun altoparlante singolo; nel caso del segnale sinusoidale misurerà +6 dB. Se invertiamo la polarità ai morsetti di un solo altoparlante, il fonometro misurerà sempre all’incirca +3 dB nel caso del segnale musicale; non misurerà invece alcunché quando il segnale è sinusoidale: le due emissioni si annullano a vicenda. Tutto questo può apparire sorprendente ma queste sono le regole del nostro Universo.
Ora collochiamo i nostri altoparlanti uno a fianco dell’altro vicinissimi tra loro, ad una distanza di circa 17 centimetri, corrispondenti a mezza lunghezza d’onda di un segnale a 1000 Hz, che abbiamo visto misurare 34 cm. Se alimentiamo i due altoparlanti appunto con un segnale sinusoidale a 1000 Hz e poniamo il fonometro a filo del lato esterno di un altoparlante, noteremo che l’intensità del segnale sarà poca o nulla. Se invece collochiamo il fonometro esattamente al centro fra i due diffusori, il segnale sarà molto forte, esattamente +6 dB rispetto a quello emesso da un singolo altoparlante. Abbiamo appena creato una linea di suono.
Come è intuitivo, una linea di suono sfrutta la fisica delle onde per creare delle interferenze e dirigere un’elevata emissione di energia verso una ristretta regione dello spazio, riducendo fortemente l’emissione verso lo spazio rimanente. Il comportamento di una linea di suono è molto differente da quello di un diffusore convenzionale. L’emissione di energia di quest’ultimo copre un ben determinato angolo (variabile in ragione della frequenza), si attenua progressivamente al di fuori di quest’angolo ed è simile a una sfera che si allarga progressivamente. Questo tipo di emissione è denominata appunto onda sferica. Una linea di suono emette secondo un fascio (entro il raggio di alcune lunghezze d’onda) più che un angolo, e l’emissione è denominata onda cilindrica. Le importati differenze tra i due tipi d’onda sono:
• l’onda sferica subisce un’attenuazione di 6 dB (riduzione dell’energia ad un quarto) al raddoppio della distanza dalla sorgente; l’onda cilindrica si attenua di appena 3 dB (riduzione dell’energia alla metà)
• Oltre i limiti dell’angolo di copertura, l’onda sferica attenua progressivamente la sua energia; al di fuori del fascio, l’energia dell’onda cilindrica si riduce bruscamente.
Di conseguenza una linea di suono consente di coprire con minima variazione del livello sonoro un’area d’ascolto molto più estesa in profondità di quanto concesso ad un diffusore tradizionale. Un rapido calcolo evidenzia che in un’area d’ascolto posta tra cinque e trenta metri dalla sorgente la differenza del livello di pressione sonora del campo sonoro diretto tra i primi e gli ultimi posti è di ben 18 dB per il diffusore convenzionale e di soli 9 dB per la linea di suono. Una differenza di 9 dB, corrispondenti ad un’energia otto volte superiore per la linea di suono. Dal punto di vista degli ascoltatori, nei primi posti i due diffusori suonano con la stessa intensità ma negli ultimi la linea di suono produce una sensazione di volume d’ascolto doppia o tripla. D’altra parte, il diffusore convenzionale consente una elevata tolleranza nella sua collocazione e orientamento; la linea di suono invece deve essere collocata ed orientata con estrema attenzione, per evitare che una parte dell’area di ascolto rimanga senza copertura. Nelle successive puntate di Mezzogiorno di Suono descriveremo gli accorgimenti necessari per sfruttare al meglio tutte le caratteristiche delle linee di suono, le loro varie tipologie e l’installazione pratica nelle situazioni operative più frequenti.