Mc Lore
Un’intervista con Giulio Maccarana, per conoscere meglio il settore dei flIght case e la continua ricerca intorno a questi specifici prodotti, prendendo le mosse da un’azienda leader del settore dal 1986.
di Alfio Morelli
Nel mondo degli imballaggi, non esiste ormai altro modo di trasportare materiale in maniera sicura, al di fuori del flight case. Non solo: musicisti e tecnici in prima persona investono tradizionalmente significative quantità di denaro nelle loro attrezzature e hanno imparato a preservare il più possibile i loro investimenti. Vi è poi il mondo delle spedizioni, il mondo del racing auto e moto, eccetera.
Ovunque serva spostare qualcosa di valore, il flight case è diventato una necessità: abbiamo fatto una chiacchierata con Giulio Maccarana, amministratore della bergamasca Mclore, per raccontare come un settore un tempo subalterno sia diventato il terreno di prova di nuovi materiali e nuove soluzioni.
Da quanti anni costruisci flight case?
Siamo in attività dal 1986. All’epoca si era partiti nel settore musicale, ma non tutti capivano l’importanza del flight case, solo chi lavorava nelle produzioni di un certo livello. Poi, pian piano, è diventato di uso comune: all’epoca si usavano soluzioni improvvisate, finché non si è compreso il vantaggio di un imballaggio corretto che garantisse la durata del materiale. Il flight case ha avuto le sue evoluzioni, sia chiaro: noi abbiamo introdotto materiali diversi rispetto al solito legno multistrato, anche perché per spedizioni e trasporti internazionali sono state imposte delle normative molto specifiche. Il flight case classico non contiene molta tecnologia di per sé, ma richiede una produzione attenta e laboriosa, con centri di lavorazione per i pannelli, per l’alluminio, eccetera. Man mano le aziende si sono specializzate per coprire tutto il processo di produzione, e anche il mercato si è allargato. Diventando di uso comune, il flight case è stato impiegato in tante situazioni: ora il settore musicale è marginale, la maggior parte della produzione si rivolge ai settori automobilistico, motociclistico, all’industria medicale. Viene poi utilizzato per la gran parte delle spedizioni professionali: le aziende, ad esempio, si attrezzano di flight case per inviare ai loro punti vendita le apparecchiature per l’assistenza. È diventato un imballaggio “non a perdere”, una vera e propria attrezzatura dell’azienda. Un’industria non può permettersi di viaggiare con semplici cassoni di legno per anni di fiere, perché significa cambiare imballaggio a ogni andata e ogni ritorno, sempre con il rischio di perdere o compromettere il materiale. Il costo iniziale del flight case viene invece ammortizzato grazie alla sua durata, che deve essere per l’appunto di dieci anni o duecento trasferimenti per rientrare nelle indicazioni delle normative ATA.
Dagli anni Ottanta a oggi, cosa è cambiato?
Come ti dicevo, adesso i flight case hanno delle normative da rispettare; penso per esempio a quelle sulla veicolazione di funghi e parassiti del legno: il multistrato deve essere di conifera, resinoso, affinché i parassiti non si attacchino facilmente; inoltre deve essere fumigato. A volte, addirittura, è meglio evitare del tutto il legno, in certe aree come l’Asia o l’America, tant’è vero che molte aziende richiedono solo prodotti in plastica, che a loro volta sono soggetti sempre a nuovi regolamenti. Noi, che lavoriamo in settori dagli investimenti considerevoli, ci concentriamo su bancali di alluminio saldati e usiamo quasi esclusivamente l’alluminio con fibre di vetro, di carbonio, di kevlar. Per questo dobbiamo dare indicazioni sullo smaltimento: il flight case ha una sua carta d’identità, con le percentuali di materiali, riciclabili e no. Questo concetto non è chiaro a tanti costruttori, purtroppo: i produttori devono seguire delle regole, che poi vanno a vantaggio di tutti. Per esempio, qualche anno fa fu importato un tarlo proveniente dalla Cina, che ha distrutto tutti i castagni d’Italia: da qui le regole per evitare che accada di nuovo un problema gravissimo come quello. Tanti parassiti si annidano negli imballaggi di legno, e così girano il mondo.
Nel mondo delle corse, il peso del flight case ha la sua importanza.
Il trasporto si paga in base al peso. I team del motomondiale, per esempio, hanno una certa quantità di chili come bonus in base al piazzamento che fanno, e il resto lo pagano dai venti ai trenta euro al chilo. Se una cassa di un metro cubo pesa cento chili piuttosto che cinquanta, il costo di ogni spostamento può cambiare di molto. Per andare in Malesia, i team italiani possono spendere per i trasferimenti più di duecentomila euro.
Chiaro, una cassa in vetroresina o carbonio costa quattro volte una in legno, ma ti salva dalle normative sulla fumigazione, pesa la metà, e dopo due trasferimenti già è stata ripagata. Sono calcoli che con i team si fanno ogni volta, e che ci stimolano a fare sempre ricerca su nuovi materiali. Ogni pannello deve essere pensato, disegnato, realizzato, poi occorre inviarne un campione alle società di ingegneria che certificano attraverso i test il rispetto di tutte le normative; in base a tutto questo si struttura poi la produzione. Il carbonio, per esempio, lo stiamo un po’ abbandonando a favore della vetroresina, un materiale più sicuro.
Il futuro del flight case?
È tutto nella ricerca dei nuovi materiali, sempre tenendo presente che si parla pur sempre di un imballaggio e non può avere costi spropositati. Per quanto riguarda le esigenze del cliente, si lavora poi sulla personalizzazione, sui singoli casi. Questi anni di crisi hanno scatenato la fantasia, in tutte le direzioni: i materiali, le personalizzazioni, le strutture diverse, eccetera. Il look anni Sessanta però è duro a morire! Stiamo commercializzando dal 2011 una versione nuova, che a parte essere visivamente diversa, ha un profilo e una struttura del tutto distinguibili. Usando materiali alternativi al legno, non si tratta più di strutture semplici: ci sono sistemi di incastro e di incollaggio che permettono sia la tenuta sia la sigillatura. Non è più il flight case pensato solo per il service, che per sua natura sta attento a coprire le scatole quando piove, per non rovinare il contenuto all’interno; stai pur certo che le compagnie di cargo, nei loro piazzali, non stanno a coprire i flight case quando c’è brutto tempo.
In questi anni abbiamo pensato a un sistema diverso, che permettesse di risparmiare sulla manodopera pur aumentando la produzione, mantenendo uno standard elevato. Abbiamo anche introdotto nuovi sigillanti e nuove tipologie di colle. Nel prossimo futuro la ricerca sarà sempre fondamentale: ora si parla di un alluminio espanso, per esempio, creato soffiando dell’aria nella colata di lamiera di alluminio; dai test di carico si vede che, a parità di resistenza rispetto all’alluminio pieno, pesa un terzo. Questo materiale potrebbe rappresentare uno sviluppo ormai prossimo in settori innovativi come quello aerospaziale; qualora si dimostrasse un materiale valido, non appena diventerà accessibile magari lo useremo per i flight case!
Parlaci della vostra sede.
Un capannone comprende 1.500 m2 dedicati alla produzione in senso stretto, più circa 200 m2 di uffici; un altro capannone qui vicino è il magazzino, dove vengono immagazzinate le materie prime e i prodotti finiti. In questi anni, qualità, costanza e idee nuove ci hanno sempre aiutato. Un grande errore sarebbe fare la guerra agli asiatici, che vincono esclusivamente sul prezzo basso. Nel 2009 abbiamo avuto anche noi un grosso calo nel fatturato, come il resto del mondo: quello è stato il momento in cui ci siamo detti che volevamo morire nel mare, non nella pozzanghera. Abbiamo deciso di cambiare, investendo in questo nuovo tipo di flight case, con cui ho acquisito clienti prima impensabili: siamo fornitori diretti di Ferrari, Honda e Suzuki, ad esempio. Tutti clienti che con il flight case tradizionale non avremmo mai visto.
Altri progetti in corso d’opera?
Sempre nel settore racing, abbiamo sviluppato dei pannelli per i box e per le pit-lane, con i tettucci in alluminio; o ancora, dei pallet per il trasporto aereo, da inserire nelle voliere, necessari per disporre i flight case in tutto lo spazio disponibile nella stiva in fase di bilanciamento del carico. Ogni aereo ha un diverso piano di carico: noi abbiamo dei pallet di base, prodotti in Germania, che adattiamo con la vetroresina in base al data sheet di ciascun aeromobile.
Poi ci hanno chiesto delle cabine insonorizzate, per quei batteristi che non vogliono svegliare tutto il vicinato, o per quei musicisti che registrano a casa nei loro piccoli home studio; poi un’azienda che produce software audio ci ha chiesto un flight case che gli facesse da camera anecoica, per testare i monitor da studio. E mille altre cose ancora, studiate di volta in volta. Di sicuro, non c’è modo di annoiarsi.