Bruno Dedoro
Pioniere delle tecnologie lighting ed ex-presidente di Coemar.

di Alfio Morelli
Ho incontrato Bruno Dedoro, per tutti “Zio Bruno”, nella sua casa di Castel Goffredo, nel cuore della pianura mantovana, dove vive circondato dall’affetto della sua famiglia e da un giardino curato al dettaglio.
Mi permetto di chiamarlo per nome solo perché la nostra conoscenza risale a tanti decenni fa: Zio Bruno è stato un pioniere degli effetti da discoteca, e ha portato l’ingegno italiano del marchio Coemar sui palcoscenici internazionali. Il nostro incontro è un’occasione per ripercorrere insieme una carriera straordinaria, che ha segnato un’epoca, e che ha attraversato tante fasi diverse del mondo del lighting e dell’intrattenimento professionale.
Bruno, è bello rivederti. Per cominciare, ripercorriamo l’inizio della tua storia professionale?
Tutto è iniziato a Milano, quando avevo sedici anni ed ebbi il mio primo impiego in una ditta che produceva profilati in alluminio. All’epoca la mia famiglia gestiva la portineria di un grande stabile di proprietà della famiglia Marcucci. All’epoca la famiglia possedeva delle aziende che costruivano materiale professionale per l’illuminazione e la proiezione, e da lì venne l’acronimo COEMAR – Costruzioni Ottiche Elettriche Marcucci. Passarono gli anni e arrivò per me, come per molti altri a quel tempo, il momento del servizio militare: al mio ritorno purtroppo l’ingegnere Marcucci ci aveva lasciato, e la Sig.ra Marcucci mi propose di andare a lavorare in ditta come persona di fiducia, vista la stima che riponeva in me e nella mia famiglia. I colleghi mi proposero così di entrare a far parte dell’ufficio tecnico, per portare avanti alcuni progetti rimasti incompiuti: all’epoca la ditta lavorava per l’esercito e per le Ferrovie dello Stato, costruiva fari subacquei per Fincantieri, e lavorava inevitabilmente anche per il cinema e la televisione. Già da allora Coemar deteneva delle quote anche in un’altra azienda che produceva ottiche per il mercato della fotografia, la Lobre di Carpenedolo, che ancora esiste e produce ottiche di precisione.
In azienda succedeva spesso che si creassero dei tempi vuoti, quando c’erano grosse commesse, per via di certificazioni e burocrazie varie. In quei momenti io non riuscivo a oziare, e così passavo il tempo a sperimentare, per esempio colorando delle lampade, mettendoci degli specchi davanti o delle ruote colorate. Questa sperimentazione mi ha dato modo di conoscere più a fondo i poteri e i segreti della luce, ma solo per un mio arricchimento personale, senza nessun reale obiettivo finale. Passato un breve periodo, la famiglia Marcucci si rese conto che non era interessata a proseguire la gestione dell’azienda, e così mi propose di rilevarla. Con molta incoscienza, con l’aiuto di altri quattro soci, ci tuffammo in quell’impresa!
Visto che i miei soci erano di Castel Goffredo, spostammo la produzione in un ex deposito di cereali appena fuori del paese. Come a volte succede, con l’incoscienza e tanta fortuna, appunto, la cosa funzionò. Erano i primi anni Settanta, la gente cominciava ad avere voglia di divertirsi, e così cominciavano a nascere le prime sale da ballo, i nightclub e naturalmente la televisione e il teatro. Si cominciava ad avere l’esigenza di fari sempre più performanti. Forte della mia conoscenza degli estrusi in alluminio, raccolta negli anni precedenti, e della collaborazione della Lobre, che produceva non lontano da noi, cominciammo a proporre dei fari un po’ più evoluti. Il primo fu un faretto con una lampada alogena da 150 W e 24 V, dotato di un condensatore ottico e di un obiettivo per la messa a fuoco, che emetteva un fascio concentrato; dal trasformatore prelevavamo anche la corrente che faceva girare dei dischi con dei vetri colorati, poi con dei liquidi. Era un’epoca in cui bisognava avere tanta fantasia per sopperire alla mancanza di tecnologia. Poi arrivarono gli anni Ottanta, con l’esplosione delle discoteche, e in quel frangente possiamo dire di aver fatto il primo vero effetto, nato e pensato per l’uso in discoteca: Explorer. Poi da lì tanti altri, che possiamo considerare storia moderna.
Nei primi anni Ottanta a Rimini nacque anche il SIB, il Salone Internazionale delle Attrezzature e Tecnologie per Discoteche e Locali da Ballo. Quella fiera diede il via alla moda delle discoteche e fece conoscere in tutto il mondo la Riviera romagnola.
In effetti grazie al SIB siamo riusciti a farci conoscere in tutto il mondo: era una fiera globale, dove tutto il mondo del divertimento si dava appuntamento a Rimini. È stato un periodo bellissimo, dove tutto era possibile, perché bastava un po’ di competenza e tanta fantasia, e tutto si vendeva. Ricevevo clienti e richieste da ogni continente, e grazie a quella manifestazione abbiamo cominciato a esportare in tantissimi paesi nel mondo. È stato un periodo che è durato abbastanza a lungo, ma poi piano piano le cose sono cambiate e il giocattolo si è rotto.
È allora che c’è stata la parentesi russa?
Anche quella è stato un colpo di fortuna. Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta: a cavallo della caduta del muro di Berlino, mi arrivò una telefonata da parte dell’ICE – l’Agenzia per la promozione all’estero delle imprese italiane – per dirmi che da lì a qualche mese si sarebbe aperta una manifestazione a Mosca per promuovere i prodotti italiani. Bisognava illuminare una mostra di modelli in scala di progetti e di macchine di Leonardo da Vinci, e sarebbero serviti dei fari e uno studio di fattibilità. Accettai l’incarico e facemmo l’installazione. Era una manifestazione dove gli espositori erano Piaggio, Fiat, Eni e i più famosi marchi d’abbigliamento; insomma, un evento importante. Chiesi all’architetto responsabile della manifestazione se potessimo esporre qualcosa anche noi. Di uno spazio ufficiale non se ne parlava, ma con molta gentilezza mi mise a disposizione un angolino che non serviva a nessuno, vietandomi di esporre materiale ma dandomi la possibilità di distribuire dépliant e appendere qualche foto. In quell’occasione conobbi un dirigente, che mi chiese il progetto di fattibilità di una sala da ricevimento nella sua struttura, che era poi la sede della casa degli architetti. Facemmo una visita alla struttura e parlammo delle sue esigenze: doveva trasformare quella grande sala in uno spazio adatto a ricevimenti e a riunioni, con un impianto luci e suono. Visto il luogo strategico, gli ho fatto una controproposta: gli avrei fornito in uso l’impianto luci e audio in cambio di un ufficio presso la casa degli architetti. Fu una mossa molto azzeccata, perché da lì arrivarono molti lavori in teatri, hotel e discoteche. Nelle varie commesse, per la parte audio coinvolsi anche i miei amici della Outline di Brescia e della Peecker Sound di Reggio Emilia.
Venendo ai prodotti, quali consideri le tue pietre miliari?
Come dicevo, il primo effetto in assoluto per la discoteca è stato Explorer. Poi molti altri: una tappa importante è stata creare il primo effetto intelligente, Robot. Si chiamava così perché era programmabile tramite centralina e montava servomotori passo-passo a corrente continua, che erano già usati nel modellismo, e che ai tempi erano una tecnologia futurista. Un’altra innovazione fu la presentazione di CF 1200, una testa mobile con la scocca in fibra di carbonio. Oltre all’ufficio R&D, che sfornava continuamente idee e innovazioni, sono molto orgoglioso anche della parte produttiva: siamo stati i primi ad avere macchine con taglio laser, che oltre a tagliare la lamiera facevano anche da punzonatrici. Il lavoro era fatto con molta precisione e in un tempo molto breve, gestito da dei programmi all’avanguardia costosissimi. Per un certo periodo, ai miei soci non sono stato molto simpatico: avevamo fatto investimenti veramente pesanti! Poi fortunatamente si sono ricreduti e hanno apprezzato i miei azzardi.
Quando è arrivato Gerard Cohen?
Conoscevo Gerard Cohen perché faceva parte dell’organizzazione che distribuiva i nostri prodotti negli Stati Uniti, ed era già titolare della Stanton, famosa casa costruttrice di testine per giradischi. Lui aveva da poco acquisito Cerwin Vega, voleva inserire nel suo portafoglio anche una ditta di luci, e aveva scelto noi. A fine Duemila, eravamo all’apice del successo, con distribuzione in tutto il mondo, produzione in Italia e in Bielorussia; eravamo veramente un marchio di prestigio e apprezzato in tutto il mondo. Lui arrivò con un’offerta che non si poteva rifiutare, ci pensammo pochissimo tempo per poi accettare. Nel 2001 avvenne il passaggio di quote, dove i miei soci si fecero liquidare della loro parte mentre io rimasi azionista con una quota minima, perché mi vollero ancora come direttore. Passò un primo periodo di conoscenza, finché non arrivò una delegazione di americani che mi imposero molte regole, che non accettai. Allora misi a disposizione le quote che mi rimanevano e uscii definitivamente da Coemar.
Immagino sia stato un distacco difficile. Come sei andato avanti?
Uscito da Coemar provai di nuovo a fare qualcosa, ma con scarso successo. È come quando finisce la storia più importante della tua vita: sei stato molto innamorato, e le altre donne non ti danno le stesse sensazioni, e capisci che è ora di fermarsi. Ora mi sono ritirato nella mia casetta, con mia moglie, e posso godermi le mie figlie e le nipotine che mi hanno dato… con qualche hobby e il mio giardino, ovviamente!