Maurizio Gennari

Un fonico romano a Londra...

di Alfio Morelli

Sicuramente questa storia sembra la favola da raccontare la sera ai piccoli fonici prima di dormire: un ragazzo romano, a cui piace lavorare nel mondo tecnico della musica, fa le prime esperienze sulla piazza di Roma e dintorni, poi un giorno vuole provare l’avventura nel Regno Unito, patria delle rental company, e dopo un periodo di difficile gavetta, tutti si accorgono di lui fino ad essere richiesto dai più grossi tour mondiali nel ruolo più ambito: il Sound Engineer.

Ma questa, in poche parole, è la storia (vera) di Maurizio Gennari, attualmente fonico dei Depeche Mode, che noi abbiamo incontrato a metà luglio, durante la data romana del gruppo, allo stadio Olimpico.

Dove hai mosso i tuoi primi passi in questo mondo?

Come molti, ho iniziato con un piccolo service: erano gli inizi degli anni Novanta ed insieme al mio amico Fabrizio Fini, per gioco e per passione, organizzammo una piccola società che si occupava di modesti noleggi audio e luci. Anche se non ci è mai capitato alcun lavoro importante, in quegli anni ci siamo molto divertiti ed abbiamo fatto molte esperienze, alcune molto positive ed altre decisamente negative, sia a livello tecnico sia a livello economico. Comunque posso dire di aver fatto tesoro delle esperienze negative, e questo mi ha aiutato a non ripeterle in seguito. Verso la metà degli anni Novanta ci siamo trovati di fronte ad un bivio: fare un passo importante, e sobbarcarci nuovi ed importanti investimenti, o lavorare come freelance. Entrambi abbiamo scelto la seconda strada e per un periodo ho fatto il fonico ed il tecnico nel giro romano, per poi sentirmi stretto ed insoddisfatto dell’ambiente di quei tempi. In quel periodo anche la mia fidanzata si sentiva insoddisfatta ed aveva voglia di fare nuove esperienze e frequentare dei corsi all’estero. Quindi decidemmo di andare all’avventura a Londra e ci promettemmo di fare un periodo di circa sei mesi di prova e vedere quello che sarebbe successo per poi valutare il tutto e prendere delle decisioni. Appena arrivato a Londra presi in mano tutti i contatti che mi ero tenuto nel corso degli anni e cominciai a telefonare e a presentarmi presso le aziende mettendomi a disposizione per qualsiasi lavoro inerente alla mia qualifica. Dopo vari tentativi e delusioni, tra mille telefonate, riuscii a parlare con Bryan Grant, uno dei soci di Britannia Row, che avevo conosciuto in occasione di un primo maggio a Roma; fortunatamente in quel periodo aveva bisogno di personale specializzato.

Com’è iniziato il rapporto con Britannia Row? Quali sono stati i tuoi primi lavori?

Possiamo dire che ho iniziato dai lavori più semplici: fare cavi, fare collegamenti nei rack, selezionare e preparare il materiale per i vari tour… come il garzone delle vecchie botteghe. Poi arrivarono le prime opportunità di andare a fare dei lavori all’esterno, inizialmente piccoli, poi sempre più importanti, questo perché, giustamente, prima di darmi dei lavori di responsabilità mi volevano conoscere a fondo come persona e valutare se avevo le giuste competenze. Cominciai a fare tutta la trafila e la gavetta del caso, prima come tecnico generico poi come supporto al fonico ed infine come fonico.

Quando hai avuto la possibilità di fare il primo lavoro da fonico?

Non c’è stato un vero e proprio primo lavoro importante: lavorando con Britannia Row, ogni tanto succedeva che c’erano da fare dei piccoli lavori, la presentazione di un prodotto, qualche convention, il teatro… in quelle occasioni cominciai a fare il fonico. Man mano che l’azienda aveva dei feedback buoni sul mio operato, mi assegnava lavori sempre più importanti. Ogni tanto capitavano service in cui si forniva il P.A. per dei festival e come succede spesso in quelle occasioni alcuni artisti arrivano con i loro fonici mentre altri avevano bisogno del fonico residente, anche quello fu un inizio per lavorare dietro il mixer.

Quando hai fatto il primo lavoro importante?

Il primo lavoro di responsabilità avvenne in occasione del compleanno del principe ereditario alla Royal Albert Hall. In quella manifestazione feci il fonico di palco per una grande orchestra e per tanti artisti importanti; la serata andò bene, tutti furono soddisfatti del mio lavoro e penso che proprio in conseguenza di questa prestazione venni sdoganato come fonico. Anche a me quel lavoro diede molta carica e sicurezza sulle mie possibilità.

Se dovessi fare un parallelo tra un professionista inglese e uno italiano del nostro ambiente, cosa diresti?

È difficile fare paragoni, perché veniamo da due culture di lavoro abbastanza differenti: l’inglese è il vero professionista, nella maggior parte dei casi ha delle buone nozioni e sa far funzionare i propri strumenti, però al minimo imprevisto getta la spugna. Volendo fare un paragone, per farti capire la differenza, ti posso dire che se ad un tecnico inglese si ferma un’apparecchiatura perché non funziona la spina o è saltato il fusibile, si ferma e richiede una nuova apparecchiatura dal magazzino, mentre un tecnico italiano, di solito, fa il possibile ed anche l’impossibile per far ripartire la macchina; questa creatività molto spesso risolve dei problemi, ma se non è gestita in modo appropriato ne provoca anche di più grossi. È proprio questa creatività che spesso viene apprezzata all’estero, questo, ad esempio, mi ha aiutato molto nei rapporti con Bryan, forse perché anche lui come me non è inglese ma neozelandese con una moglie francese, quindi con una mentalità diversa.

Che notizie hai sulla situazione italiana?

Le produzioni italiane all’estero vengono ancora viste un po’ con diffidenza, ho l’impressione che abbiano ancor meno credibilità di quelle spagnole. Mi sembra che singolarmente in Italia ci siano dei professionisti validissimi, spesso migliori dei colleghi stranieri di pari livello, il lavoro in team invece lascia spesso a desiderare. Secondo me è arrivato il momento di proporsi anche all’estero, sicuramente non sfiguriamo, abbiamo interessanti prospettive e con qualche sacrificio possiamo ottenere dei buoni risultati. Per quanto riguarda i service, mi sembra che in questi ultimi anni si siano fatti passi da gigante, d’altra parte quello che si può acquistare all’estero si può acquistare anche in Italia, i tecnici bravi ci sono, quindi si può gareggiare ad armi pari con i cugini europei. Sicuramente un limite per questo mercato è che le produzioni internazionali di un certo peso difficilmente partono dall’Italia.

Anche in Inghilterra la differenza tra piccole e grandi produzioni si fa sempre più netta, questa tendenza è ormai diffusa ovunque: non esistono più artisti o produzioni medie, ci sono grandi produzioni o piccoli tour, le produzioni medie da cinquemila paganti sono sempre meno.

Essere il fonico di un gruppo come i Depeche Mode, significa anche andare in tour per il mondo per un anno o forse più…

Sì è vero, questo lavoro ha una faccia buona ed una cattiva, dipende da come lo vivi. Sicuramente questo era il target di tour che avevo in mente, quindi dire che non sono soddisfatto sarebbe falso. Devo ammettere però che da pochi mesi mia moglie mi ha dato Francesca, una bellissima bambina che mi dà delle emozioni inspiegabili, quindi rimanere fuori per diversi giorni è sempre più difficile.

Quindi mi vuoi dire che stai pensando di tornare in Italia?

Per il momento penso di no, anche perché abbiamo messo su casa a Londra dove ci troviamo bene, però mai dire mai…

Quale sogno professionale vorresti venisse esaudito?

Mi ritengo molto soddisfatto del mio lavoro e di quello che ho fatto, i Depeche Mode sono uno dei miei gruppi preferiti, amo la musica che fanno, quindi poter sedere dietro il mixer e pilotare i loro suoni, a livello professionale, mi riempie d’orgoglio. Se devo proprio dire il nome di un artista con cui mi piacerebbe lavorare direi Peter Gabriel, sia per la sua musica, sia per il livello tecnico delle sue produzioni.

E noi siamo certi che Luca abbia tutti i numeri per raggiungere questo suo obiettivo, tanto che gli stessi titolari del Britannia Row, con cui abbiamo avuto modo di parlare, ci hanno serenamente dichiarato la stima professionale ed umana che nutrono verso questo ragazzo, ormai richiesto da molti degli artisti che gravitano intorno al service londinese.

Un esempio anche per i molti bravi giovani tecnici italiani che devono trovare più fiducia nelle loro possibilità e lanciarsi nell’agone nel mondo della musica che conta.