Che due sfere!

Quando due o più onde sonore arrivano da diverse direzioni, passano l’una attraverso l’altra senza modificarsi. Lo sperimentiamo ad ogni istante. Le onde sonore fortunatamente si propagano in quel modo. Pensate che disastro se non fosse così...

di Stefano Cantadori

Quando due o più onde sonore arrivano da diverse direzioni, passano l’una attraverso l’altra senza modificarsi. Lo sperimentiamo ad ogni istante. Le onde sonore fortunatamente si propagano in quel modo. Pensate che disastro se non fosse così.

Si dice che soddisfano il principio di superimposizione lineare. Di cui, per carità, non ci occupiamo.

Noi però siamo partiti dalle sorgenti semplici, le nostre sferette, e abbiamo approfondito il loro comportamento esaminandone una coppia. Abbiamo esaminato il fenomeno delle cancellazioni e rinforzi a determinate frequenze e sappiamo che i suoni (che sono appunto trasmessi nell’aria da onde di compressione e rarefazione) interagiscono tra loro. Abbiamo anche visto il caso di suoni uguali e diversi combinarsi fra loro. E imparato come sommare le pressioni di sorgenti coerenti e in fase e le pressioni di suoni fra loro diversi.

Le interferenze ci sono sempre, non importa cosa abbia generato i suoni o i rumori.

A certe frequenze le pressioni che si incontrano si sommeranno, interamente o parzialmente, ed ad altre si sottrarranno. Già visto e rivisto. La vuoi smettere?

Se volessimo indagare sulle interferenze in un campo sonoro tipo il rumore quotidiano che ci circonda, dovremmo ricorrere a metodi che comportano una serie di analisi con finissima risoluzione in frequenza e comunque otterremmo un’immagine solo dell’istante in cui si è eseguita l’analisi. L’istante successivo produrrebbe qualcosa di diverso.

Quelle evidenti e riconoscibili sono le interferenze generate da sorgenti coerenti o che hanno relazioni di fase.

Se abbiamo ad esempio due sorgenti che emettono con continuità sulla stessa frequenza con una relazione di fase fra loro, queste genereranno uno schema ben individuabile di interferenze spaziate in modo costante (come il filtro a pettine di cui parlammo nella prima puntata). La nostra fotografia istantanea coglierebbe lo schema di interferenze, facilmente riconoscibile, e lo coglierebbe sempre uguale ad ogni scatto in cui le sorgenti sono accese.

Non potendo scrivere su tutto in un colpo solo, mi si pone la domanda: adesso da che parte vado? Colgo al volo il fatto di avere introdotto la separazione fra onde sonore e pressione? Oppure la meno ancora sulle interferenze? Ci sono interferenze eccitanti, per cui per dieci minuti ci chiuderemo in una stanza con loro.

Interferenze eccitanti

Andiamo in una stanza ed eccitiamola con il nostro altoparlante ad una singola frequenza qualsiasi. Mmm… mugolio di piacere. Girando per la stanza avvertiremo uno schema di interferenze che non cambia nel tempo (stazionario) dato dalle riflessioni delle pareti.

Indovinato, siamo di fronte ad un’onda stazionaria.

Poi, ci sono alcune frequenze che suonano particolarmente forte, la cui lunghezza d’onda non è troppo piccola rispetto alla dimensione minima della stanza. Sono le frequenze di risonanza.

Il loro schema di interferenza si “inscatola”, si rapporta bene alla stanza, come un pisello nel suo baccello. Quello schema di interferenza è detto “modo di risonanza”.

Se i rapporti fra le pareti della stanza sono sfigati (sfigati si può dire) puoi trovarti dei mallopponi di frequenze in risonanza tutte vicine e che danno luogo ad un basso lungo brutto e rintronante. Se fai le pareti non parallele, sposti in frequenza i modi di risonanza[1] visto che allunghi o accorci alcune dimensioni ma l’intervento più efficace è assicurarsi che i rapporti fra le dimensioni della stanza siano benevoli (ad esempio rapporti primi).

Gli schemi di interferenza delle frequenze alte sono troppo caotici per essere “visibili”, si mascherano l’un l’altro

Per essere gente che non ha ancora studiato come si trasmette il suono, abbiamo fatto un bel po’ di passi in avanti.

Singolo impulso sonar

In genere per comodità si usa illustrare la trasmissione del suono con un pistone che andando avanti e indietro genera onde di compressione e rarefazione in un mezzo elastico[2].

Ci viene in sostanza rappresentato un mezzo tutto percorso da onde, con il pistone sempre avanti e indrè con il suo moto oscillatorio ad alimentare il sistema.

Inoltre, associati alla trasmissione del suono, ci vengono mostrati diapason, molle, corde di chitarra. Il diapason viene percosso con un martelletto e si mette a vibrare, la vibrazione viene trasmessa all’aria come è giusto che sia. Mi sembra ovvio concludere che il suono si trasmette quando l’aria entra in vibrazione. Sbagliato.

Se suono un clacson in un palasport, fin che tengo premuto l’aria è perturbata con onde di compressione e rarefazione (di cui sappiamo ancora poco ma le studieremo una volta o l’altra). Il suono “riempie” l’aria, possiamo dire in qualche modo che questa è in “vibrazione”. Quando rilascio il bottone, il campo riverberato mantiene la “vibrazione” per un po’ fino a che il suono decade completamente e la “vibrazione” si esaurisce. Non vi descrivo altrimenti il fenomeno poiché lo avete nelle orecchie.

Se invece faccio scoccare una scintilla, il cui suono è brevissimo, il suono si allontana dalla fonte ma la perturbazione non è più alimentata.

Singolo impulso sonar, Vassily. Che aspetta? Binnnggg.

Dopo un po’ l’aria, pardon l’acqua, tra il vascello ed il suono che si allontana non è più perturbata a sufficienza. Il suono esiste, si sta allontanando, magari fa il giro dei sette mari incanalato sotto il termoclino ma io sull’ Ottobre Rosso non lo sento più. Non lo sente nemmeno il Dallas, fino a che non viene investito dall’onda di pressione. Sempre che sia la pressione, tra le varie componenti del campo sonoro, ad arrivare per prima.

Adesso batto le mani, leggermente a coppa come dice il Fahy. Le batto davanti alla faccia così sento l’aria che esce. La velocità di uscita è troppo bassa per essere un suono. Da dove arriva il suono? Dall’accelerazione dell’aria circostante che si precipita a riempire il “buco”, cioè la zona di minor pressione e densità atmosferica lasciata dall’istantaneo, e dico istantaneo, cessare del moto di aria in uscita. Il suono che ne deriva è un pacchetto che si allontana, l’aria dietro di lui torna allo stato di quiete appena dopo il passaggio. Difficile parlare di vibrazione. L’importante era separare l’idea suono/vibrazione, non sono cose interdipendenti.

Se batto le mani in un palasport, avrò di ritorno per prima cosa gli echi ribattuti: sono ancora disturbi a “pacchetto” mentre il campo riverberato che ne consegue lo possiamo definire come aria in vibrazione, in moto oscillatorio.

Questo concetto di tempo, che abbiamo introdotto oggi, sarà importantissimo per comprendere il fenomeno sonoro man mano che proseguiremo.



[1] A differenza di quanto si crede comunemente, le pareti non parallele non eliminano affatto le risonanze. Le modificano in frequenza visto che alcune dimensioni della stanza si sono accorciate, altre allungate.

[2] L’aria perfettamente elastica non è, ma per quel che ci riguarda non ci lamentiamo. Niente mezzo elastico, niente suono. Nel vuoto il suono non si trasmette e anche nella segatura fa fatica.