Lettera aperta agli operatori dello spettacolo
Riflessioni e, perché no, qualche polemica per affrontare un momento d'emergenza.
di Alfio Morelli
Cari amici,
il mio compito, come molti sanno, è quello di dirigere l’unica rivista italiana dedicata al mondo tecnico e professionale dello show business, soprattutto nel settore del live, a oggi fra i più colpiti da questa crisi epocale.
Voglio confrontarmi con voi, magari muovendo qualche riflessione e, perché no, qualche polemica.
Tutti noi ci troviamo o fermi o in grande difficoltà, con prospettive molto poco chiare per il futuro. Probabilmente, ma spero fortemente di sbagliarmi, questa situazione durerà ancora per diversi mesi, forse fino alla primavera del prossimo anno, e probabilmente quando tutto ricomincerà ci troveremo ad affrontare un nuovo tipo di mercato, con regole diverse: di tutto questo dobbiamo farcene una ragione.
Nonostante ciò, stiamo vivendo un momento mediatico di euforia, con una grossa visibilità mai avuta prima, visto che quasi tutti gli artisti in televisione, sui social e in mezzo alle interviste parlano del mondo sommerso dei servizi e dei tecnici come un popolo da salvaguardare e proteggere: chissà... forse diventeremo una categoria protetta dall’Unesco, oppure ci accontenteremo dei 600 € che ci daranno?
La realtà, nei fatti, è che continuiamo a non avere alcuna voce in capitolo, e gli appelli degli artisti, certamente meritevoli, mi fanno lo stesso effetto degli appelli verso i bambini africani che muoiono di fame: spinti da puro spirito caritatevole. Ma la nostra categoria, e parlo di tutti, dai tecnici alle aziende, non ha bisogno di carità, ma di avere voce in capitolo dove conta, al pari dei produttori che, tramite la loro associazione, riescono a interloquire e presentare le loro ragioni direttamente al Governo. E proprio Assomusica, ad oggi, è l’unica che ha difeso in qualche modo la categoria dei lavoratori dello spettacolo: ma è come se l’operaio della FIAT aspettasse che i suoi problemi vengano risolti da Confindustria.
Ma perché accade ciò? La colpa è sempre degli altri? No. In realtà non dipende da altri ma dagli stessi lavoratori che in periodi di vacche grasse, pieni di impegni con lavori sufficientemente remunerativi, ho sentito sì lamentarsi del lavoro poco tutelato e poco riconosciuto, ma che ho visto anche spesso più concentrati a farsi le scarpe l’uno con l’altro che ad unirsi, contenti di quello che veniva comunque fuori da qualche servizio al mese. Personalmente ho gestito service importanti fin dagli anni Settanta, e conosco fin troppo bene queste dinamiche.
In questi ultimi giorni si è poi scatenato un pandemonio di iniziative, ci siamo accorti ancora una volta di essere senza tutele, ma vorremmo che, come per incanto, tutte le anomalie di questo ambiente si risolvessero in pochi giorni. Ovviamente il Governo non solo non discute con noi, ma non ci fa neanche entrare nel palazzo.
Allora, se vogliamo veramente dare un senso a tutto questo, dobbiamo muoverci in maniera seria e coordinata, per creare una grande associazione, o sindacato, o chiamatelo come vi pare, che riunisca tutte le categorie dei lavoratori dello spettacolo. Ma attenzione: per fare questo bisogna anche accettare delle regole da rispettare, tutti, rinunciando per certi aspetti a quello spirito anarchico che fa tanto figo e tanto rock ’n roll ma che nella pratica ci delinea come degli sfigati.
L’unione fa la forza è un’ovvia banalità, ma è anche l’unica verità applicabile: è necessario tutti accettino di pensare agli altri come colleghi e non come concorrenti, perché, semmai, la concorrenza andrà fatta entro determinate regole. Finché ci si beerà di essere cani sciolti, liberi come l’aria, si dovrà anche accettare di non contare nulla, e la sterile lamentela rimarrà l’unico sfogo, catartico quanto vi pare ma sempre inutile.
Tutti dobbiamo fare un passo indietro, dare il nostro contributo, cercare di essere compatti, organizzati istituzionalmente in una realtà con tanto di codice fiscale, sede e segreteria, cercare una vera e unica strada per ottenere dei benefici reali. Darci e accettare le regole da rispettare, che significa, ad esempio, obbligo di iscrizione a un albo senza cui non si può lavorare, salari minimi obbligatori, tariffe minime, orari massimi, niente lavoro in nero... e tante altre cose che conoscete meglio di me. E se già state storcendo il naso vuol dire che siamo senza speranza.
La nostra rivista vive immersa in questo mondo: parla ai tecnici del lavoro dei tecnici, vive grazie alle pubblicità delle aziende che vendono alle rental company che assumono i tecnici per realizzare i lavori commissionati dalle agenzie. Rappresentiamo e parliamo di ogni anello di questa industria alla quale apparteniamo sotto ogni aspetto.
È per questo che, di fronte ad iniziative vere e serie, sentiamo di dover mettere a disposizione la nostra realtà strumento di unione e divulgazione di un lavoro che bisogna senza meno intraprendere.
Se ciò resterà lettera morta, la Lamentela sarà l’unica vuota consolazione.