Black Sabbath "13" World Tour
La band che compare nella seconda posizione (infilata di taglio tra i Led Zeppelin e Jimi Hendrix) della lista compilata nel 2000 da VH1 dei 100 artisti più importanti dell’hard rock porta la bandiera e le corna alzate in giro per il mondo dal 2012. Noi siamo corsi all’Unipol Arena di Bologna per farci coprire da un po’ di Heavy Metal.
Non so cosa facessero i teenager in Italia negli anni ‘80, ma immagino che non fosse molto diverso da quel che facevamo noi negli States. Io ricordo innumerevoli pomeriggi e serate nelle cantine buie (e spesso fumose) degli amici i cui genitori lavoravano di sera, negli angoli più nascosti dei parchi o semplicemente sulla terra di qualcuno in campagna, con un boombox che riproduceva in maniera appena ascoltabile una cassetta di Paranoid, Master of Reality o Sabbath Bloody Sabbath – dischi che erano già dei “classici” all’epoca. Tra noi c’era ogni tipologia di teenager: quello destinato ad essere un metallaro per tutta la vita; quello sfegatato all’eccesso a sedici anni che, dieci anni più avanti, si sarebbe ritrovato in seminario; quello, come me, che preferiva musica più melodicamente evoluta, ma sapeva godere dell’energia del metal, e (immagino questa categoria sia universale) quello che ascoltava semplicemente perché pensava che il nome del gruppo facesse paura ai suoi genitori e, spesso, aveva proprio ragione.
Nel pieno centro della “Bible Belt”, la zona della Bibbia, nel centro-sud degli Stati Uniti, trent’anni fa, nonostante gli enormi problemi sociali che prendevano piede all’epoca e nonostante quanto fosse effettivamente positivo (o, al massimo, provocatorio) il messaggio dei testi di questo gruppo, non c’era modo più veloce per un teenager di finire in un istituto di “intervento preventivo e riabilitativo” (leggi: “riprogrammazione psicologica del figlio a pagamento”) che cominciare ad ascoltare Ozzy Osbourne o Black Sabbath. Infatti, la preoccupazione per il Satana caricaturale del Metal ha spesso fuorviato i genitori di quella generazione tanto da impedire loro di riconoscere i veri demoni in agguato per gli adolescenti di quegli anni.
Perdonatemi la divagazione ma concedetemi le reminiscenze, perché il punto di tutto questo è che mi ha dato soddisfazione non solo poter fare una cosa che (a causa dei cambiamenti nelle formazioni della band) era impossibile fare quando ero teenager – assistere ad un concerto con Ozzy, Iommi e Geezer sullo stesso palco – ma anche vedere genitori con i figli al seguito fare la stessa cosa.
Tornando a noi e alla tournée, alla fine del 2011 i membri fondatori della band avevano deciso di riunirsi per un tour e di registrare un nuovo disco. Per motivi legati alla salute di Tony Iommi, i progetti erano stati rimandati di qualche mese, durante i quali il batterista, Bill Ward, aveva abbandonato il progetto. Nonostante il linfoma di Iommi, la band, con l’aggiunta di un nuovo e giovane batterista, è comunque riuscita a fare tre concerti nel corso del 2012: giocando in casa a Birmingham, con un O2 Accademy sold out per beneficenza, al Download Festival a Leicester e a Lollapalooza a Chicago; come dire, tre date per soli intimi...
Anche il disco è stato registrato tra agosto e la fine dello stesso anno, facendo il debutto a giugno del 2013 tra i plausi di critici e pubblico. Ad ora, l’album ha venduto più di un milione di copie e la band ha aggiunto alla collezione un altro Grammy per il brano God Is Dead?, incluso nel disco. Quando il disco è uscito, comunque, la prima tranche della tournée (nove date in Oceania e Giappone) era già conclusa. Con o senza disco, questo Reunion Tour era una scommessa sicura: finché ci sarà chi porta i jeans rotti, la maglietta nera e nutre la perfetta miscela di pensieri liberali e sdegno per l’ipocrisia della società, Ozzy, Iommi e Geezer insieme venderanno biglietti. Lo show design di Baz Halpin è stato semplicemente la ciliegina sulla torta.
Dopo il margine Pacifico, la tournée è andata avanti con 29 date estive in America e 16 date in Europa, chiudendosi alla fine del 2013. Siccome l’appetito del mondo per l’Heavy Metal è apparentemente insaziabile, si è deciso di estendere il tour con 12 date primaverili nel Nord America, seguite da una seconda tranche per la stagione dei festival estivi in Europa con 15 date in configurazione mezza-produzione.
La data all’Unipol Arena di Bologna in questa tranche è stata programmata per recuperare una data annullata per motivi logistici a dicembre all’Arena Fiera di Milano. Oltre ad essere una serata con i pionieri del Metal, questo è un vero e proprio smorgasbord del rock duro, portatoci da Live Nation: il concerto si apre con ben due gruppi di spalla, i giovanissimi Reignwolf seguiti dal terremoto chitarristico di Zakk Wylde e dalla Black Label Society.
La produzione locale
Ad accoglierci all’Unipol durante il soundcheck è il direttore di produzione locale, Giulio Koelliker, che ha risposto a qualche domanda sull’organizzazione della data.
Giulio, ti vediamo un po’ più rilassato del solito...
Ormai conosciamo abbastanza bene le produzioni straniere, perché alla fine non siamo in tantissimi a fare questo lavoro, e può capitare di lavorare spesso con le stesse persone, quindi le conosci e cerchi di anticiparne le esigenze. Con gli stranieri, se cerchi di organizzare tutto prima e cerchi di soddisfare al massimo i loro bisogni, lavorare diventa molto più facile e ci si può rilassare. È già la quarta volta che lavoro con loro, quindi li conosco già.
Pensavamo di trovare una produzione completamente inglese, mentre è una classica mezza produzione...
Questa era una data che doveva essere fatta l’anno scorso a Milano in fiera a Rho, dove era prevista la produzione completa, ma poi hanno avuto degli slittamenti, quindi questa data è stata recuperata dal vecchio tour. Visto che i tour estivi si appoggiano quasi esclusivamente sui festival, anche loro, visto lo slittamento del tour, hanno deciso di partire con la mezza produzione. Mi sembra che solo la data italiana sia singola e non inserita in un festival, quindi abbiamo dovuto preparare tutta la produzione in loco. Sono arrivati con cinque bilici e si sono portati tutto il backline, le regie, il monitoraggio, uno schermo LED abbastanza grande e gli strumenti delle due band spalla.
Come sono organizzati loro?
La carovana è arrivata ieri sera; si sono messi comodi, il loro direttore di produzione è venuto a fare un sopralluogo e a parlare con i vari reparti, ma, visto che era tutto in ordine, si sono ritirati nelle loro stanze. La mattina dopo, alle otto hanno iniziato a montare il loro materiale finendo attorno a mezzogiorno. Nel pomeriggio ci sono stati i vari soundcheck delle band spalla e dei Black Sabbath.
Mentre il vostro lavoro?
Noi siamo arrivati un giorno prima, nella giornata di ieri abbiamo montato il palco, i motori, l’audio e le luci, organizzato i camerini, messo in funzione il catering, insomma tutto quello che era previsto.
Di quante persone sono composte le varie produzioni?
Noi siamo quattro in produzione e due ai camerini. In parte tecnica per Mister X sono una decina, mentre nella produzione in tour sono in parecchi, mi sembra che siano in 25 circa, che, per quello che c’è da fare in questa data, non sono proprio pochi. Quando c’è sintonia ed ognuno fa il proprio lavoro come stabilito e con professionalità, il lavoro scivola via a meraviglia.
Roberto Giglioli, responsabile audio per Mister X
“È una produzione ormai come tante altre – racconta Roberto – senza niente di strano. È arrivata una richiesta di fornitura di audio e luci per questa data. La proposta nostra era di un impianto audio d&b audiotechnik Serie J – che i gruppi rock generalmente prediligono – composto da un main PA da 15 diffusori per lato con altri otto side per lato e i relativi sub. Il progetto è stato accettato subito senza nessuna variazione, più che sufficiente per una location al chiuso come l’Unipol Arena di Bologna.
Loro cosa hanno portato?
Oltre, naturalmente, al backline, hanno portato le due regie per i Black Sabbath, le regie dei gruppi spalla e il monitoraggio per le tre band. Per la regia FoH, hanno portato un vecchio Digidesign con qualche outboard e due processori Lake LM 44. Hanno collegato così l’uscita dei loro processori all’ingresso dei nostri, due Lake LM 44 identici ai loro, con cui controlliamo l’impianto audio d&b.
Ma non è eccessivo il doppio processamento, non c’è pericolo che si dia fastidio?
Fastidio non si dà, se tutto è fatto bene. Capisco anche la loro scelta di usare comunque anche i loro processori, l’avrei fatta anche io. Con questo tour si trovano sempre in situazioni diverse e hanno bisogno di certezze. Con questo setup hanno la situazione sempre sotto controllo, sanno sempre ciò che esce dalla loro regia e, se succedesse qualche imprevisto, sarebbe più facile andarlo ad identificare.
In questo ultimo periodo mi sembra che le cose vi stiano andando abbastanza bene, state lavorando discretamente, no?
Devo essere sincero, è un periodo molto proficuo, siamo riusciti ad impostare diversi lavori, tra tour italiani, Renga e Afterhours, e piccoli tour stranieri che arrivano in Italia facendo tre o quattro date. Poi, se aggiungi tanti concerti con la mezza produzione, ci troviamo ad avere la stagione piena. Per esempio, questa notte smontiamo a Bologna e poi via a Torino per la data dei Thirty Seconds To Mars. E così per quasi tutta l’estate. Mi piace molto questa tipo di tabella di marcia: se da un lato è piuttosto impegnativa e stressante, d’altra parte è un lavoro poco ripetitivo, non hai il tempo di annoiarti.
Luca Casadei, responsabile luci per Mister X
A Luca chiediamo di descriverci le richieste della produzione dei Black Sabbath.
Ci hanno mandato un disegno luci abbastanza semplice, penso che sia quello che usano per i vari festival. Probabilmente quando vanno in tour con la loro produzione completa usano un disegno diverso. In totale sono un centinaio di pezzi, 29 Martin Mac 2000 Wash XB con la lente PC, 18 Martin Viper Spot, 22 Martin Mac Aura, 12 strobo SGM, otto Molefay 8-lite, e le immancabili barre con i PAR. Poi ci hanno richiesto sette teste mobili in versione seguipersona da montare su altrettanti seggiolini sospesi su graticcio; per questi abbiamo fornito dei Mac III Performance.
Marca e modello sono state una richiesta oppure avete proposto voi il materiale?
Loro ci hanno fornito un disegno da eseguire con i vari marchi e modelli da montare, e fortunatamente corrispondeva a tutto il materiale di cui noi già disponiamo, quindi abbiamo fatto la fornitura esatta e completa secondo le loro richieste. Loro hanno portato solo lo schermo a LED ed un truss che hanno montato davanti a cui era agganciato il kabuki. Sono arrivati con le loro consolle, una grandMA per i Black Sabbath e una Avolites per i gruppi spalla, con i programmi già fatti, tutto funzionava alla perfezione, quindi è stata una passeggiata.
Michael William Keller, lighting director per Black Sabbath
“Lo show designer per questo tour – ci dice Michael – è Baz Halpin. Per questa tranche della tournée estesa siamo però in configurazione ‘festival’, per cui tutto quello che Baz aveva disposto è più o meno sparito o è stato ridotto all’essenziale.
“Baz è stato il concept designer – continua Michael – poi io ho fatto tutta la programmazione. Seguo Ozzy da circa 15 anni, così Baz mi ha dato dei suggerimenti su quello che avrebbe voluto vedere per ogni brano a livello di colore. Oltre alla creatività del disegno, il design di Baz ha prodotto un effetto collaterale: ci ha fatto crescere il budget per le luci di circa il 400% rispetto a quel che avevamo immaginato!
Di base è lo stesso rig che abbiamo usato per le date del tour dell’autunno scorso, anche se la scenografia è semplificata e tutto l’aspetto asimmetrico del design originale sarebbe impossibile da chiedere per i festival.
“Per i festival – spiega Michael – facciamo una lista di fixture che sappiamo più o meno di poter avere ovunque e con le quali sappiamo di riuscire a fare lo show. Se si chiede sempre troppo, si creano solo grattacapi... non ha senso. Questo è il tipo di show dove la musica regna. Le luci sono molto belle, e mi piace il lavoro, ma Black Sabbath non è luci... è musica.
“Lo show è più o meno programmato dall’inizio alla fine. Ci sono moltissime cue. Le canzoni, però, sono quelle, e non si cambia mai molto.
“Mi sento veramente fortunato – conclude Michael – la band è costruita dalle persone più simpatiche con le quali si potrebbe mai chiedere di lavorare. Sono professionisti al massimo e ogni giorno ti ispirano a dare il 150%”.
Cosa portate dietro, esattamente?
Stiamo viaggiando solo con la console, una grandMA2 light... poi chiediamo una spare della stessa sul posto. La console mi ha trattato molto bene in questa tournée.
Sto usando il più recente software grandMA, che è uscito la settimana scorsa. È interessante... li ho già dovuti chiamare un paio di volte per capire delle cose nuove, ma va tutto bene. Porto dietro un dongle e carico questa versione anche sulla spare che trovo. Le console grandMA possono supportare diverse versioni del software sulla stessa console. Lo show sta tutto dentro sei universi, perciò esco tutto direttamente in DMX, e non abbiamo bisogno di altri protocolli e dispositivi connessi.
E che proiettori chiedete sul posto?
Chiediamo 21 wash e 12 spot appesi. Chiediamo sempre gli strobo SGM, perché sono RGB... ma su 15 date in questa tranche, ce li danno per quattro. Mister X li ha, ma sono bianchi. Delle volte ci danno degli Atomic... di nuovo, delle volte con i cambiacolori, a volte no. È la fortuna del caso, praticamente.
Noi usiamo solo i seguipersona nei truss, così posso controllare tutto. Facciamo una piccola riunione con i segui locali prima dello spettacolo. Ogni operatore sa chi è il “suo uomo” sul palco e deve semplicemente tenergli la luce puntata addosso. Viaggiamo in tanti paesi e delle volte ci sono gli operatori che parlano inglese, altre volte no. È anche uno spettacolo piuttosto rumoroso, nel senso che il livello sonoro è spesso abbastanza elevato, e negli intercom non è sempre facile capirsi.
Con la tecnologia di oggi, le teste mobili funzionano benissimo per questo. Qui lo stiamo facendo con i Mac III. Nella tournée negli Stati Uniti, invece, abbiamo usato le VL3015LT che sono dei cannoni. La band ha dovuto chiederci di abbassarle: dicevano che si vedeva lo scheletro di Ozzy da dietro.
Alla band non piace aver le luci in faccia. Se usiamo solo le truss spot, Ozzy riesce a vedere il pubblico e aggiunge un po’ di look teatrale con le ombre ben presenti.
Immagino che sia sempre un disastro riprogrammare per i nuovi dispositivi ogni volta...
A questo punto, ne ho viste così tante diverse tipologie che, più o meno, ho già programmato qualsiasi evenienza! Il mio showfile è grossissimo adesso. Quasi quasi, riesco a scorrere e a selezionare tutto tra cose già usate. Abbiamo fatto uno spettacolo dove avevamo sette o otto diversi marchi di luci. Non avevano 21 wash dello stesso tipo... c’erano 14 wash di un tipo e 7 nuovi Mac Quantum. I Quantum erano bellissimi, ma quella situazione lì è stata particolarmente problematica... con diverse tipologie sostituendone una singola.
Sei abbastanza soddisfatto con quello che trovi in tour?
Non chiediamo moltissimo perché è meglio sapere che ci sarà quel che serve anziché programmare per moltissimo e trovarne la metà. In tour con la produzione intera, avevamo tantissimi Sharpy nello show – e forse li avrei dovuti chiedere anche per i festival – ma, delle volte, semplicemente ci si deve aspettare di non trovarli oppure di trovarne delle copie cinesi. Questo vorrebbe dire comunque riprogrammare e non varrebbe la pena farlo per un faro che poi non rende neanche nelle prestazioni che servono.
Qui invece?
Nel passato, neanche troppo remoto, lavorare in Italia era sempre problematico, ma una delle migliori – se non la migliore – situazione che ho trovato in questa tranche è qui a Bologna. Il service luci qui ha fatto un lavoro splendido. Sono arrivato e ogni cosa era proprio perfetta... il che ha reso tutto facile: una giornata proprio fantastica! Il personale sembra proprio in gamba: Luca, Davide (rispettivamente Casadei e Pedrotti – ndr) e tutti i ragazzi sono stati eccezionali.
Negli anni ‘70 non si trovavano cose così in questo paese. Oggi si trova gente preparata al livello dei migliori negli altri paesi.
Essendo una band hard rock anni ‘70 usate molti fari al tungsteno?
No, usiamo pochi PAR, anche perché ci vuole troppo tempo per fare tutti i puntamenti. Quando si usano tante batterie di PAR non è indifferente neppure la richiesta di corrente. Siamo in tournée con una squadra luci composta da me, me stesso e me medesimo. Non ci sono abbastanza ore nella giornata per puntare 300 PAR quando sei da solo.
Gli effetti sono fatti molto sulla falsa riga di quell’effetto, però. Io uso le teste mobili da moltissimo tempo e quando i motori erano più lenti e la tecnologia era tutta nuova, essenzialmente si usavano per quegli stessi effetti.
Ho cominciato con Bill Graham a San Francisco, dove lavoravamo solo con i LEKO, Fresnel e quelle cose lì. Poi è uscita quella novità del PAR... wow! Che cambiamento, e costavano anche relativamente poco. Quando sono uscite le teste mobili, ho cominciato a lavorare nelle tournée con Morpheus, la “altra” compagnia con le teste mobili.
E Morpheus è ancora in tour con Springsteen e usa alcuni di quegli stessi proiettori, se non mi sbaglio...
Beh, hanno aggiornato molto e lavorano ancora molto bene.
Morpheus è diventato molto di più un distributore adesso, no?
Sì... e fanno bene. Se io avessi un service, adesso, sarei sempre sull’orlo del suicidio per via della velocità d’evoluzione della tecnologia odierna. Dopo LDI, ogni anno, tornerei a casa a contemplare cosa fare con le 300 unità appena acquistate di un proiettore che è già stato completamente superato. In particolare con la tecnologia LED c’è una svolta ogni sei mesi, invece di ogni tre o quattro anni. I nuovi Mac Quantum sono bellissimi, ma il Clay Paky B•Eye è spettacolare.
Hai usato questi nuovi proiettori?
Ho dovuto clonare la programmazione per altri proiettori su questi e hanno fatto il lavoro dei washlight in modo fantastico... ma avendoli così, come sostituto di qualcos’altro, non c’è il tempo o la possibilità di usare tutti gli effetti che sono in grado di dare.
L’altro giorno, con il Quantum, mi sono reso conto che la grandMA non lo vede come un singolo fixture, lo vede come un fixture con cinque layer. Cercando di clonare gli effetti dello show su cinque layer, si scopre che ci sono due layer di strobo... e poi si devono mettere quelli nel preset... e poi si impazzisce.
È tutta roba che sarebbe fantastico avere dall’inizio per programmarla nello show. Ho avuto simili frustrazioni con il Clay Paky Alpha Profile 1500; un faro spettacolare, ma ha diversi canali di focus. Normalmente, programmo per un singolo canale di focus, così ci metto tempo solo per regolare la programmazione. È frustrante provare tutti questi nuovi proiettori così performanti, senza il tempo di utilizzarli come si potrebbe.
Greg Price, fonico FoH per Black Sabbath
“Io vengo in Europa dai primi anni ‘80 – racconta Greg –, i sistemi sono cambiati tanto in questi anni e si sono standardizzati dappertutto. Il mondo diventa sempre più piccolo, e si trovano persone con un’ottima formazione in ogni paese. Di questi tempi, quando si viene in tournée in Italia, si trova un PA perfetto. In realtà, io devo semplicemente attaccare la console e tutto funziona da subito come dovrebbe.
“C’è un d&b stasera, ma non fa molta differenza: oggi tutti i sistemi di marca, impostati da professionisti, sono ottimi... diversi ma tutti ottimi. In questa tournée ho usato degli impianti di ognuno dei maggiori costruttori. Questo è un vantaggio del digitale e dei plug-in: sono sempre certo al 100% che quello che mando all’impianto è la stessa cosa che mandavo la sera prima. Rimuove dall’equazione le variabili del mio output e permette di andare da un PA all’altro già sapendo quello che dovrei sentire e ottenendolo solo con quei piccoli ritocchi al PA che dipendono dal gusto”.
Davide Linzi, che è qui con il service stasera, mi dice che sei uno dei pionieri dell’uso dei plug-in dal vivo...
Siccome io vengo dallo studio di registrazione, mi è sempre piaciuta l’idea di usare degli apparecchi “vintage”, ma poi non li potevo portare in tournée perché sarebbero cascati a pezzi. Nei primi anni ‘90 sono arrivati i plug-in e Pro Tools. Poi, intorno al 2005, la console digitale D-Show è arrivata al live e l’ho adottata immediatamente, praticamente spazzando via tutte le cose che stavo usando prima, perché riuscivo ad avere i suoni vintage che cercavo senza fisicamente portare in giro gli apparecchi. I plugin, usati correttamente, sono degli attrezzi potentissimi.
Per esempio, come imposti la voce di Ozzy?
Ozzy canta con un Beta 58a. Poi uso il SSL Channel Input. Io sono un grande sostenitore dell’utilizzo dei filtri passa-alto e passa-basso all’ingresso. Penso che non filtrare la voce in ingresso prima di cominciare ad applicare dei plug-in o degli insert sulla voce sia uno degli errori più comuni. Io comincio a monte togliendo le frequenze da 250 Hz in giù dalla voce di Ozzy. Questo già porta una presenza naturale prima di fare qualsiasi cosa.
Le mie impostazioni per l’SSL G-Channel cominciano dal preset vocal di Chris Lord-Alge, poi lo modifico per Ozzy. Poi mando la voce al C6 (Waves C6, compressore multibanda, ndr), e rimango sul C6 sempre, modificando la voce di Ozzy per ogni canzone: o tramite una snapshot, oppure la modifico in tempo reale per compensare la sala. Così riesco a mantenere la presenza, anche quando Ozzy si sta sforzando. Ovviamente, conosciamo la sua tessitura vocale: molto difficile da capire anche nelle condizioni ideali, tanto meno in una arena con migliaia di persone che vogliono sentire quello che ha da dire. Senza il C6, non ci sarebbe niente da fare.
Poi, a valle del C6, la mando al Renaissance Vocal Axx per la compressione pura. Io uso solo i plug-in di Waves, con i quali ho sempre avuto una grande fortuna. La registrazione non sarebbe la stessa senza i plug-in Waves. Sul sito di Waves ho una mia rubrica, Greg’s Corner, dove ho approfondito la mia elaborazione per la voce tante volte.
Ci puoi elencare qualche altro plug-in che stai usando?
Beh... sto usando circa 125 diversi plug-in. Uso moltissimo anche NLS (sommatore non-lineare), che mi dà, praticamente, una piccola console analogica dentro la mia console. Mi piacciono molto i processori vintage: il plug-in Jack Joseph Puig’s Fairchild Modelling, Puigchild... sono troppi per elencarli tutti.
Visto che già da tempo è possibile utilizzare i plug-in dal vivo con altre console, è stata tua la scelta di uscire con la D-Show?
Questa tournée praticamente è iniziata nel 2012. Comunque, ad un certo punto ho provato il DiGiCo SD5, ma ero a metà tour e sapevo che stavo registrando tutto e avrei dovuto fare un disco, così non sarebbe stata un’idea molto buona cambiare a metà strada. Questo è il motivo principale. Il D-Show, comunque, funziona ancora benissimo, è comodo per la registrazione, e lo uso già da diversi anni.
Così non usi nessun outboard analogico?
L’unica cosa che ho all’esterno è l’apparecchio per il mastering Rupert Neve Portico MVP sul bus stereo. Il suono per l’assolo del basso viene creato con un MaxxBCL.
Quali microfoni hai scelto?
Ho sempre creduto che ci voglia il microfono giusto per l’applicazione giusta. In preproduzione e nelle prove provo tantissimi microfoni e cose nuove su tutto. Per esempio: sugli ampli per chitarra avrò provato una decina di microfoni per i diversi suoni. Sul canale per gli assolo uso l’AT4047... ricco, grosso, proprio avanti; bellissimo per gli assolo.
Se dovessi dare un consiglio generale, sarebbe di non provare mai a forzare un microfono, nonostante quello che dice il costruttore o il tuo collega. Infatti, scegliendo i microfoni a seconda di quello che mi dice l’orecchio, ho una channel list con una varietà immensa di tipologie e marchi – dai Royer stereo a nastro, agli Audio-Technica a morsetto accoppiati in parallelo, ai microfoni SE Electronics sugli ampli per chitarra e basso. Questa scelta, però, aiuta moltissimo successivamente: se guardi i miei canali, la maggior parte non è equalizzata per niente nella console.
Tutto il monitoraggio sul palco è tradizionale?
Tutto. Questo è rock-n-roll alla vecchia maniera. Nessuno utilizza gli in-ear.
È difficile combattere il suono dal palco?
No, per niente. In sala ci sono molte più casse e molti più amplificatori! E poi questo non è un pubblico che si lamenta del volume alto! Scherzi a parte, però, particolarmente in una tournée dove metà delle date sono dei festival, adattarsi ogni giorno è normale. Per ogni data più o meno cominciamo da capo: valutiamo l’ambiente. Qui siamo in un palasport di medie dimensioni, mentre lo show precedente era in un festival enorme all’aperto a Vienna.
Cerco di rimanere focalizzato, non mi preoccupo e faccio il mio lavoro.
Cosa ti arriva dal palco?
Ho 64 canali che entrano nel banco: 48 arrivano dal palco, più otto coppie stereo dai microfoni per il pubblico, dagli Audio-Technica 4050ST e Shure VP88. Registro su Pro Tools ogni sera, multitraccia e degli stem stereo.
Dopo il disco 13 dei Black Sabbath, prodotto da Rick Rubin, ho prodotto io un doppio DVD live box-set Black Sabbath Gathered in Their Masses, utilizzando materiale registrato con questo sistema in tour. Questo setup è della mia azienda, Diablo Digital, che ha fatto tantissimi dischi live in tour con Black Sabbath, Rush, Eric Clapton, Fleetwood Mac, Rolling Stones e diversi altri.
Lo show
Innanzitutto, il concerto è cominciato ben due ore e mezzo prima che prendessero il palco i Black Sabbath. Il primo gruppo di spalla, Reignwolf, è una band che è stata trovata dal management di Black Sabbath e che, mi dicono, forse in tutto aveva fatto 25 esibizioni dal vivo prima di partire in tournée. Il chitarrista/frontman, molto talentuoso, è una molla tesissima e la band potrebbe sembrare Nirvana con Alvin Lee al posto di Cobain.
I Black Label Society, gruppo molto celebrato nell’ambito Metal post-millennio, hanno fatto, invece, un vero e proprio concerto a sé. Il chitarrista/frontman, Zakk Wylde, è un vero guitar-hero in questo genere. I testi erano incomprensibili in questa serata ma, onestamente, sembrava una scelta.
Rimpiango ancora di aver dimenticato i tappi, perché le orecchie soffrivano già moltissimo quando l’headliner è andato sul palco. Magari non ho più l’età per i livelli Metal indoor. Però – insieme ad un esercito di magliette nere che riempiva l’Unipol come un uovo – sono stato testimone di un concerto eccellente di una band leggendaria che ancora dà il 100% sul palco. Geezer Butler e Tony Iommi suonano da grandi professionisti e il batterista di questa configurazione, Tommy Clufetos, è uno spettacolo in sé. Magari nella voce di Ozzy si sentono gli anni, ma è ancora un animale da palco. Avrei voluto vedere anche la produzione intera per assorbire un po’ meglio il concetto del set ma, alla fine, i contributi video (alcuni prodotti da Jack Osbourne, figlio di Ozzy) non rubano mai la scena e sono perfettamente in linea con il messaggio della band, senza diventare didascalici. Particolarmente considerando l’impostazione festival e il materiale ridotto, le luci sono state veramente efficaci e molto rock-n-roll. Non penso che sia venuto in mente a nessuno dei presenti che il lightshow fosse una versione ridotta di un design dell’acclamato Baz Halpin... eravamo tutti troppo occupati a goderci una serata con una leggenda.