Uomo e macchina - 2 parte

Console luci

di Aldo Visentin

 

Per riprendere il discorso che è stato interrotto nel numero di gennaio: gli operatori luci hanno diversi approcci fisici verso le console, approcci che risultano essere esplicativi di quale “confidenza” l’operatore abbia verso la console stessa, e che costituiscono un vero e proprio linguaggio del corpo.

Continuiamo quindi la nostra classificazione di alcuni di questi “gesti” dei programmatori luci più disperati, e le relative deduzioni che se ne possono trarre.

Non guardo la Consolle, ma mi guardo intorno...

La cosa di rilievo di questo approccio è “come” l’operatore (o presunto tale) si guarda intorno. Normalmente i modi sono due: con aria superiore o con circospezione. Quest’ultima è una delle modalità più gravi e, se ci pensate bene, l’abbiamo già vista molte volte da ragazzi a scuola durante il compito in classe (bei tempi quelli!). L’operatore non sa che pesci pigliare ma questo è l’ultimo dei suoi problemi. Il vero problema è: “Sicuramente qualcuno là fuori se ne potrebbe accorgere, che non so neppure come si accende la cosa (un collega o, peggio, chi mi paga...), e quindi è meglio tenerlo d’occhio”. Chi ha il sospetto ha il difetto! Chi invece si guarda intorno con aria di superiorità in realtà esorcizza al contrario il problema, ossia: “Non so da dove cominciare ma sarò comunque io l’operatore luci che accenderà una lampadina sulla testa del malcapitato famoso”.

Risultato scenico: c’è da sperare che ci siano almeno dei par; meglio se non “gelatinati”.

Programmo modello “macchina da scrivere”

Sono decisamente quegli operatori che seminano invidia (a me compreso...).

Quando si muovono sono seguiti da un crocchio di adepti che ne osservano esterrefatti le gesta, come discepoli apostolici. Tali operatori “fenomeno” non parlano mai e prima di iniziare il loro lavoro indossano dei guanti da lavoro di colore bianco o nero secondo la stagione. Quando devono “comunicare con l’esterno” utilizzano gli apostoli circostanti che fungono da “device esterni” di I/O.

Il rapporto uomo-macchina che esiste presso questa categoria di operatori non è più quello classicamente inteso, ma in realtà la console in questo caso diventa “un’estensione fisica” dell’operatore stesso, ossia il sistema neurale delle due cose è un tutt’uno. Nella mia esperienza di disegnatore luci mi è capitato di incontrare questi programmatori “estremi” e ho notato che bisogna porre particolare attenzione alla sequenza operativa dei comandi a loro impartiti: il rischio è il collasso del sistema! In una mia profana occasione mi capitò che l’operatore mi si bloccò come ibernato... Sconcertato, dopo svariati secondi di inattività (un tempo enorme), risolsi il problema solo dopo essermi accorto che dalla console appariva il seguente messaggio di errore:

Err: 0080 Stack Overflow.

Il Sistema ha generato un errore irreversibile.

Riavviare l’Operatore.

Gli operatori “Matrix” sono macchine quasi perfette ma prive di qualsiasi emozione e quindi necessitano di un’anima esterna.

Risultato scenico: ineccepibile, neppure l’SMPTE è in grado di fare meglio! Non ci resta che sperare che non si verifichi durante lo show qualche errore “non contemplato”.

Ho già finito dopo soli 10 minuti! (e sono a prendermi una birra)

Questi operatori sono della categoria : “...chi m’ammazza a me!?”.

Il loro mestiere è solo un piccolo dettaglio della loro vita; dettaglio già peraltro semi-risolto nella notte dei tempi, ossia da quando si fece “la genesi programmativa”, e sempre con la stessa si campa. Lo sforzo vero di tali programmatori non è programmare ma “adattare” sempre la stessa programmazione attraverso speciali artifizi. Una volta ebbi l’occasione di scrutare a livello intimo le “programmazioni successive” (svariate decine) di un contorsionista operatore, e mi accorsi che solo la sua console sarebbe stata in grado di far girare tali show, perché auto-mutatasi geneticamente.

Risultato scenico: ma sta’ cosa non si era già vista o sbaglio?

Sono riuscito finalmente a programmare tutto! peccato che è l’ultimo show della tournee

Vi identificate in questo caso? Non preoccupatevi, è un male che affligge la maggior parte dei programmatori “normali”. Il tempo che le produzioni dedicano alla programmazione è sempre meno (ove già era poco!) e quindi la tournée diventa il luogo del “work in progress” dello show come lo si era pensato. Siccome il bello viene sempre alla fine, sarà solo l’ultima serata quella in cui veramente si gusterà con orgoglio lo show tanto ambito.

Risultato scenico: “Io l’ho visto lo show, non era un granché...”; “Anch’io l’ho visto, ed era eccezionale!”

Rapporti così conflittuali di amore-odio verso la consolle amata sono tipici di relazioni a due, dove esistono “spiccate individualità” a confronto.

Pensare che le consolle abbiano “un’individualità” vi sembrerà esagerato, tuttavia invito tutti a fare una semplice riflessione: per quale motivo uno stesso tipo di consolle “reagisce” in maniera diversa a seconda dell’operatore? Non è forse il manuale d’utilizzo lo stesso per tutti?

Perché alcuni operatori non riescono a “colloquiare” con una consolle e altri fanno della stessa una superstar irrinunciabile?

Ci sono consolle che sembrano rifiutarsi di lavorare con taluni operatori; i sintomi sono evidenti: si bloccano ogni un per due, si spengono durante lo show, non restituiscono le scene, etc...

Tutti atteggiamenti inspiegabili visto che le stesse poi, con altri operatori, vanno d’amore e d’accordo.

La risposta è semplice: le consolle hanno un’anima!

Voi direte: le consolle sono delle Macchine e quindi, come tali, NON possono avere un’anima.

Secondo la mia esperienza il concepimento di una consolle si basa su una fondamentale linea filosofica di controllo (il suo DNA, in altre parole) sulla quale si costruisce la struttura software. Il software è l’incarnazione di tale metodo, e diventa perciò lo strumento per esercitare il controllo secondo la “linea di pensiero”.

Quando si “scarta” una Consolle per la prima volta, tale filosofia non appare istantaneamente in maniera “evidente”, anzi il più delle volte è ben nascosta tra i rivoli delle centinaia di funzionalità.

Solo l’utilizzo continuativo della consolle consente di far proprio il suo DNA, ossia il metodo conduttore pensato da chi l’ha realizzata.

Se “l’acquisizione” non avviene, si finisce con l’utilizzare l’oggetto solo in maniera “superficiale”, ossia solo attraverso le sue funzioni descritte nel manuale, senza capire il come e il perché di tali funzioni.

I guai veri nascono quando la filosofia fondamentale di una consolle non solo non viene capita ma, peggio ancora, si crede sia di tutt’altro tipo. A quel punto succedono i “disastri relazionali” (liti, volano i piatti, etc) nella totale convinzione di essere “dalla parte giusta”.

In questi casi ne consegue l’inevitabile divorzio: la consolle non funziona!

Non ci si chiede come mai con altri operatori la stessa funziona sempre, si pensa semplicemente che probabilmente gli altri si accontentano o non la usano in maniera “pesante”. In realtà probabilmente è l’esatto contrario (ops!).

Quando si definisce nel suo “intimo” una consolle si è poi in grado di “domarla” anche nei casi in cui “acciacca”. L’oggetto a quel punto non fa più paura.

Quando si definisce nel suo intimo una consolle si è in grado di capire esattamente se “fa per se” oppure no.

Alla luce di questo: non è importante “quante cose” sia in grado di fare una consolle ma come le fa, ed è il come che fa la differenza tra una consolle che risulta essere “attraente” ed una che lo è meno.

Non tutte le consolle possono sempre andar d’accordo con l’intera sterminata schiera di “bruti” operatori!