Tedeschi Trucks Band – European Tour 2017
Ogni tanto ci capita di assistere ad un concerto che si avvicina alla perfezione sotto l’aspetto puramente musicale e che non ha bisogno di altro per essere un grande show.
di Douglas Cole
Da un po’ di tempo aspettavamo l’opportunità di assistere ad un concerto di questa band. L’ultima volta che il gruppo è venuto in Italia, un infortunio meteorologico ha imposto l’annullamento della data padovana, lasciandoci a bocca asciutta: sia io sia il direttore siamo infatti dei fan. Così, quando è stata annunciata da Barley Arts una data all’Alcatraz – dove si rischia la pioggia molto meno – avevamo subito deciso che non si poteva assolutamente perderla.
Per chi non conosce questa band, originalmente nominata Soul Stew Revival, diremo che si è formata circa sette anni fa dalla fusione di “The Derek Trucks Band” e la band di Susan Tedeschi. Tedeschi e Trucks, per la cronaca, sono marito e moglie dal 2001: si sono conosciuti nel 1999, quando Tedeschi e la sua band facevano da gruppo spalla per la Allman Brothers Band, di cui Derek Trucks era chitarrista. Già prima di conoscersi, entrambi erano considerati dei prodigi nei loro rispettivi generi musicali – Susan nel blues classico e nel R&B, Derek nel jam-rock tinto di fusion diffuso negli stati meridionali degli USA dagli anni ‘90. Prima di compiere 35 anni, Tedeschi aveva già fatto tournée come spalla a B.B. King, Taj Mahal, Bob Dylan, Buddy Guy, John Mellencamp, Rolling Stones, oltre agli Allman Brothers, e aveva un disco d’oro: 500.000 copie vendute, cosa piuttosto rara per un disco blues. Trucks, invece, è stato classificato da Rolling Stone Magazine il 16mo miglior chitarrista del mondo nel 2011, ha due Grammy Award per dischi nel blues contemporaneo (uno dei quali insieme a Tedeschi) e condivide un Grammy per la carriera come membro dell’Allman Brothers Band... e deve ancora compiere quarant’anni.
Essendo molto fuori degli schemi radiofonici di oggi, la Tedeschi Trucks Band è uno di quei complessi musicali che vive di live, facendo un numero impressionante di date ogni anno. Conseguentemente, questa impresa familiare è diventata una macchina da guerra in termini musicali e di organizzazione.
La tournée primaverile del 2017 include una tranche negli auditori e nei rock club europei, toccando appunto Milano il 19 marzo.
La produzione locale
Considerando la reputazione di questa band, arrivati alla venue abbiamo fatto una singola domanda a Claudio Trotta, General Manager di Barley Arts.
Come mai una sola data in Italia?
Il motivo per cui abbiamo fatto quasi 1800 paganti è stato proprio l’unicità dell’evento e la nostra buona promozione. Dopodiché, come ben sai, una buona parte dell’immenso ed eterogeneo mondo internazionale della musica di qualità di derivazione roots, world, blues, jazz, rock and roll, cajun, zydeco, surf, rockabilly, eccetera, non ha nel nostro paese alcun reale sostegno da parte dei media e del sistema informativo, sempre che ce ne sia uno.
Visto che siamo qui per scrivere un apposito servizio, noi non ci sentiamo certo fra i media rimproverati da Trotta! Così andiamo a fare il nostro lavoro incontrando i responsabili di produzione per Barley Arts sul posto, Andrea De Matteo, Marco Ercolani e Francesco Comai.
Ci raccontate il vostro lavoro per organizzare questa data?
Si tratta di una data abbastanza tranquilla. I primi contatti sono iniziati nella primavera del 2016, poi avvicinandosi alla data è stato concluso tutto il lavoro circa dieci giorni fa, questo grazie alla grande professionalità sia del service tedesco, che segue tutte le date europee, sia del management e della produzione della band. Fanno un numero impressionante di date all’anno in giro per il pianeta, quindi si sanno muovere e sono organizzati molto bene.
Viaggiano con la produzione completa?
La produzione è praticamente completa... diciamo al 75%. Hanno tutto al seguito, ma nel caso della data di Milano hanno deciso di scaricare tutto tranne le luci, perché il locale ha già un ottimo parco luci installato. Hanno invece insistito per usare il loro audio al completo. Sembrano abbastanza maniacali per quanto riguarda il suono!
Da parte vostra avete messo a disposizione un service a supporto?
È il locale stesso che, in occasione degli eventi, mette a disposizione il supporto di Mister X per completare eventualmente la fornitura. In questo caso c’è un tecnico per l’uso delle luci del locale.
Quante persone hanno lavorato per questa data?
Loro in totale, tra band, produzione e service, sono in 26, mentre noi siamo in tre... ma ad assistere al concerto, che per i buongustai è un evento, saremo molti di più... Claudio compreso!
Kenneth “Skip” Richman - Tour manager
Chiediamo ulteriori dettagli sull’organizzazione del tour e della produzione al tour manager “Skip” Richman.
“Io lavoro a tempo pieno con questa band da un anno e mezzo – racconta Richman – saltuariamente fin dal 2014. L’agenzia negli Stati Uniti fa tutto il booking: lavoriamo con un singolo promoter per tutte le date in Germania, mentre le altre date sono con promoter diversi... Italia, Svizzera, Belgio, Olanda, Danimarca. In questa tranche, abbiamo 14 date in 21 giorni: non male.
“Con l’ultimo tour – continua Richman – nelle diverse configurazioni di produzione, siamo stati fuori 180 giorni con sole 100 date; infatti possiamo fare solo un certo numero di concerti a settimana, a causa dei giorni di viaggio ma anche per salvaguardare le voci.
“In questa tranche, viaggiamo con dodici musicisti e dieci persone nella crew, più quattro autisti. Tre dei tecnici sono qui per conto di Session Pro, il service tedesco, mentre gli altri sono tutti con la band. In America, di solito siamo dodici musicisti più otto tecnici, ma d’estate la crew è di tredici persone perché la produzione è più grande. Viaggiamo con un po’ più produzione rispetto ad altre band che suonano nelle venue di una tournée come questa, perché la nostra produzione è molto specifica.
“Viaggiamo con due sleeper – aggiunge Richman – e due camion. Il camion grande è di Session Pro, mentre abbiamo un camioncino più piccolo per il backline.
“Nelle invernali, in America lavoriamo per lo più nei teatri... che sono venue più grandi, come gli auditori qui. Poi, in estiva, la produzione è adatta più ai pavilion (un tipo di venue comune negli Stati Uniti, spesso ufficialmente nominati con il misnomer ‘amphitheater’, ma essenzialmente si tratta di una grande venue esterna, a forma di teatro romano ingrandito, con il palco ed una parte dei posti a sedere coperti da un tetto. Nel gergo dei tecnici si chiamano spesso ‘shed’, ovvero ‘capannone’ – ndr). In questa tranche alterniamo grandi rock club e qualche auditorio. Preferiamo gli auditori, più che altro per l’acustica, perché questa non è una band da volumi assurdi ed energia grezza, è più per orecchie raffinate.
“Questa tipologia di venue – conclude Richman – quindi non è proprio il nostro ideale, ma questa è molto ben attrezzata e organizzata. Per il suono... vedremo cosa riuscirà a fare la squadra audio stasera, ma di solito riescono alla grande in qualsiasi situazione”.
La squadra audio
Alla regia FoH, dopo il soundcheck, parliamo con i tre tecnici di produzione che si occupano del suono: il fonico FoH e direttore di produzione Brian Speiser, il fonico di palco Bobby Tis e il PA engineer ed assistente alla regia di sala Chris Bedry. Cominciamo facendo qualche domanda a Speiser.
Brian, da quando lavori per la band?
Cinque anni. Noi lavoriamo tutti per la band. Durante le tournée estive, generalmente ci sono dei ragazzi che lavorano per il fornitore delle luci, e ci sono state delle volte che abbiamo portato dietro qualche PA man del service, ma in generale siamo noi.
Per quanto riguarda l’assetto audio, cosa c’è sul palco e cosa arriva alla console?
Abbiamo 42 canali da 12 musicisti. Ci sono due batterie, poi tastiere: organo, Clavinet e tastiera Yamaha. Ci sono tre canali di basso, qualche canale di chitarre tra Derek e Susan, tre ottoni, tre coristi e il tastierista suona anche il flauto. La console è una DiGiCo SDTen
Ci sono proprio due batterie: Tyler, il batterista allo stage left, su certe canzoni suona alcune percussioni, ma in generale entrambi suonano come batteristi. Raramente si capisce che sono due batteristi: sono perfettamente sincronizzati! Per il microfonaggio della batteria stiamo usando una combinazione di Shure e Sennheiser, con dei Neumann sotto i piatti e AKG sugli hi-hat. Un particolare interessante sono i supporti microfonici Lonestar Percussion che usiamo sugli hi-hat. Il microfonaggio delle batterie è piuttosto standard, ma molto ravvicinato.
I tre canali di basso cominciano da una DI Noble, che include un preamplificatore valvolare. Poi c’è un microfono Beyerdynamic in un isolatore guitaRF della SE Electronics. Poi, come backup, prendiamo un’uscita di linea dall’amplificatore Ampeg.
Per le chitarre, l’ampli di Derek viene ripreso con un Sennheiser MDS1 – cioè la versione originale del Sennheiser MD409, marchiato Grundig GDSM200, che è essenzialmente una coppia stereo del 409 i cui canali si possono separare per avere due 409. Poi c’è un BF509 sull’ampli di scorta di Derek.
Per l’ampli di Susan c’è una capsula di MD409 alloggiata nel corpo di un e609 Silver. Negli Stati Uniti usiamo quelle piccole palle Grundig/Sennheiser su tante cose.... ne abbiamo tre incorporate semi-permanentemente nella cassa Leslie; qui, invece, per quello usiamo una barra stereo su un telo.
Sugli ottoni abbiamo dei Sennheiser MD441 e un MD421 sul sassofono, perché il sassofonista tende a sbattere in giro i microfoni e non possiamo usare il 441.
Tutti i microfoni per le voci sono Beta58A e Beta57A.
C’è moltissimo volume sul palco – 16 monitor a terra – così la chiave per me e Bobby è l’isolamento. Per questo usiamo quasi completamente microfoni dinamici. Gli unici microfoni a condensatore sono quelli sotto i piatti, puntati direttamente alle campane... poi per gli hi-hat e sotto i rullanti.
Per quanto riguarda le tastiere abbiamo una Clavinet, amplificata da un Fender DeLuxe, che esce su uno Speaker DI della Palmer. Poi c’è l’organo con il Leslie, microfonato come detto prima, mentre la tastiera è in DI.
Bobby Tis, il fonico di palco, ci descrive il suo setup.
“Sul palco – spiega Bobby – anch’io sto usando una DiGiCo SD8. Negli Stati Uniti di solito usiamo Optocore per sala e palco; qui, invece, dato che lo stage rack è direttamente nella regia monitor, io prendo il segnale MADI, mentre arriviamo tramite Optocore al FoH, tutto a 96 kHz. Lavoriamo sempre con il guadagno condiviso. In America, inoltre, usiamo un registratore JoeCo BBR64-MADI, per registrare gli ingressi direttamente dallo stage box.
“Io passo la maggior parte della mattinata ascoltando il retro dell’impianto, per cercare di capire quale impatto avrà sul suono del palco e, conseguentemente, sui mix dei wedge. Generalmente, questo vuole dire utilizzare moltissimo delle medio-basse e basse della sala e poi, in una venue come questa con soffitto un po’ basso, occorre dare molta attenzione alle frequenze estreme in alto. Deve essere veramente un rapporto simbiotico fra la sala e il palco, occorre ‘riempire gli spazi vuoti’ e creare chiarezza lavorando con il retro del PA.
“Il monitoraggio – continua Bobby – è completamente dai wedge. In tournée in America uso un paio di PSM1000 per i backliner, più un paio di spare per gli ospiti che arrivano e che sono abituati ad un ascolto in-ear, ma in questa tranche non ci sono radio per niente.
“Tutti gli elementi della band preferiscono un ascolto aperto sul palco, anche un po’ per il genere di musica che tende ad essere ‘nel momento’. Derek non ha neanche un monitor... vive il concerto così: si muove vicino a chi vuole sentire”.
Ma non ci sono solo i wedge: c’è molto backline, due batterie e ottoni. Si trattengono un po’ con i livelli?
Non proprio. Penso che il livello delle sorgenti sul palco sia quello più o meno adeguato ad una band del genere, come se suonassero senza rinforzo, in una sala, per se stessi. Devo anche combattere gli ampli, ogni tanto, ma il lavoro con questa band è tutto nel creare la situazione giusta per consentire ai musicisti di suonare come vogliono. Cerchiamo di non chiedere mai loro un cambiamento nel suono, se non quando abbiamo già provato ogni altra opzione e non siamo ancora riusciti ad ottenere un risultato soddisfacente.
Aggiunge Brian: “Non gli chiederemmo mai di cambiare il modo in cui suonano, ma d’altra parte loro sono super-collaborativi. Si fidano di noi e ci permettono di fare il necessario per risolvere ogni problema.
“In America, giriamo con questi grandi baffle di legno, costruiti da Bobby e dal fratello di Derek. Sono fatti di legno riciclato e assomigliano ai pezzi di recinti agricoli che si usavano una volta nel sud degli USA. Questi vengono posizionati dietro gli ampli, tra gli ampli di Derek e di Susan. Poi usiamo degli Acoustic Shield di Wenger, su stativi, per mascherare i piatti dietro Susan. Davanti agli ampli per le chitarre ci sono inoltre dei baffle in plexiglass ClearSonic, così come dietro l’ampli della Clavinet, per aiutare il bassista che si posiziona lì. Gli ampli sono leggermente rialzati per evitare accoppiamenti con la superficie del palco e, per lo stesso motivo, i monitor per i batteristi non vengono mai messi direttamente sulle pedane della batteria. Questi piccoli accorgimenti, insieme agli isolatori SE Electronics sui microfoni degli ampli, ci aiutano a controllare il suono sul palco.
Bobby, usando solo monitoraggio a terra, quanti diversi monitor mix stai mandando?
Ci sono quattordici mix per i wedge, più due sub per i batteristi. Ogni persona ha il proprio mix, a parte Derek ma, per compensare, Susan ha due mix ed ogni batterista ne ha due. Uno dei motivi per i quali mi piace usare i wedge coassiali con coni da 15” è che la dispersione è piuttosto stretta. Questi sono dei 115xt L-Acoustics e aprono solo 40° in orizzontale per 60° in verticale. Riesco a puntare ogni persona separatamente, anche a poca distanza una dall’altra.
Così, a parte la monofonia, è un po’ come una serie di mix per IEM?
La differenza sta nel fatto che devo considerare sempre le interazioni tra loro e con l’impianto main. Così, più si allontana dal centro del palco, più i mix sono pieni. Il tastierista, il trombonista e la corista più a destra hanno i mix molto pieni, mentre quelli più centrali hanno dei mix più scarni. A parte i batteristi, tutti hanno nel mix principalmente le cose da cui sono più fisicamente lontani sul palco. I batteristi, invece, hanno dei mix molto ricchi, quasi come uno IEM. I sub dei batteristi sono solo per le grancasse... non mi azzarderei mai a mandare il basso o nient’altro, lì.
Non ci sono dei sidefill, il monitoraggio è molto punto per punto. Abbiamo discusso diverse volte l’opzione di mettere dei sidefill per Derek, ma non siamo ancora arrivati a farlo... e forse è meglio così.
Io, nel mixer, ho una snapshot per ciascun brano. La gestione si complica un pochino, ma il Recall Scope DiGiCo rende tutto molto più semplice. In queste snapshot ho solo le mandate, i fader e i mute. L’EQ viene perfezionato di giorno in giorno, a parte alcuni canali: i due batteristi, per esempio, usano in totale una decina di rullanti diversi, cambiandoli costantemente da brano a brano. Per questo ho le EQ sui canali dei rullanti memorizzate su ogni canzone.
Che ascolto vuole Susan?
Lei ha una coppia di wedge che portano solo il suo microfono vocale. Nella sua posizione usa un mix che è molto simile a quello che ci si potrebbe aspettare di avere in cuffia. Poi ha un secondo mix in un altro wedge, alla sua sinistra, con la band ed i cori.
“Una cosa divertente per me, – ci dice Brian – per cui si crea così tanta interazione tra il suono del palco e quello in sala, è che io e Bobby lavoriamo insieme da circa 17 anni, infatti abbiamo iniziato insieme in un service a New York, SK Systems. Bobby aveva lavorato molto in studio prima di allora, ma nel live siamo cresciuti e abbiamo imparato insieme. Generalmente cerchiamo lo stesso suono: se qualcosa succede in sala, succede anche sul palco, perché cerchiamo un bilanciamento ed un’equalizzazione simili. Quando lavoro con altri fonici di palco, devo lavorare molto di più per trovare un equilibrio con il suono del palco”.
Aggiunge Chris: “Abbiamo tutti e tre una buona sinergia in termini di tono”.
Brian, con questo tipo di livello sonoro sul palco e tutta la cura che mettete per equilibrarlo acusticamente, lavori in sala con la filosofia di usare il PA per rinforzare il suono che arriva dal palco, o preferisci isolarlo completamente e cercare di lavorare dal PA?
Beh, il mio metodo è un po’ un ibrido di queste due opzioni. Quando comincio a lavorare sui suoni, utilizzando il virtual soundcheck dopo che Chris ha sistemato il PA, ho già un’idea del suono con la sala vuota. Preparo quindi una certa quantità di EQ che funzionerà quando ci sarà il pubblico. Ci sono certe cose che cerco di ignorare, ma altre che non posso ignorare nella prima parte della giornata perché danno fastidio alle orecchie... queste ultime le aggiusto prima del soundcheck, sapendo di doverle ripristinare un po’ per la serata. Così, per rispondere alla domanda, durante il giorno lavoro su quello che arriva dal palco e quando comincia lo show porto su il livello da lì. Durante i primi brani, quando sono soddisfatto del mix con la sala piena, Chris gira con il tablet e aggiusta sull’impianto le piccole cose che rimangono nelle varie zone.
Per il virtual soundcheck uso una Waves MGB, per il playback. Quando abbiamo una serata in una venue che risulta particolarmente pulita, registro gli ingressi per usarli come virtual soundcheck. La registrazione che sto usando praticamente sempre in questo periodo proviene da uno show che abbiamo fatto a Chicago poco tempo fa. Probabilmente rimarrò con questa finché non faremo qualche cambiamento sul palco.
Portate dietro qualche outboard essenziale?
Brian: in FoH ho un Waves SoundGrid Server, per la compressione sul master e sul basso, oltre a un paio di riverberi. Stiamo facendo un po’ di IR Reverb per avere i suoni di un tc M5000 e un Bricasti M7. La voce di Susan viene trattata con quelli, per emulare quei processori. Sul basso stiamo usando il dbx 160 plugin, mentre per la compressione sul master uso prima un HEQ, per poi passare ad un C6 e ad un limiter L2. Il resto è DiGiCo: EQ, compressori: tutto sulla DiGiCo è fantastico.
In America, per la voce di Susan, usiamo un preamplificatore API, mentre in questa tranche in Europa gli unici processori outboard che usiamo sono i drive per l’impianto.
Bobby: Io non ho nessun outboard, sto usando solo l’elaborazione interna alla console. I rullanti sono gli unici canali sui quali uso dei compressori normali; su tutto il resto preferisco il Dynamic EQ oppure i compressori multibanda.
Brian, chi sono i fornitori per questa tranche?
Qui usiamo diversi fornitori: Captured Live fornisce il backline, ma anche regie, console e loudspeaker management, che sono di una rental company che si chiama TDA. L’impianto FoH, i wedge e il parco luci sono di Session Pro. Entrambi i batteristi sono endorser di Sakae, perciò le batterie sono fornite da Service Unlimited.
Chris, cosa ci puoi dire del PA che portate?
Portiamo 12 KARA per lato, otto K1-SB e frontfill KARA. Abbiamo anche alcune KIVA, per quando serve la copertura laterale. Tutti gli amplificatori sono LA8. Abbiamo un paio di Lake-Lab.gruppen LM44 per l’equalizzazione e per l’allineamento temporale. Per misurazione e allineamento uso un microfono Earthworks M23 insieme a Smaart V7.
Nei Lake, convertiamo in Dante e usciamo in un Dante Bridge CyberTEQ, di TeQsas, che trasporta su CAT5 fino al palco, dove un altro CyberTEQ riconverte ed esce in AES per gli ingressi degli amplificatori. Tutto rimane quindi nel dominio digitale a 96 kHz, sincronizzato con il clock dell’Optocore delle console DiGiCo.
Oggi, per questa sala, ho appeso solo otto KARA per lato, perché non è tra le venue più grandi.
Le dimensioni delle venue europee sono un po’ diverse da quelle delle sale americane, dove usiamo 12 d&b audiotechnik J per lato con sei J-Sub, oltre a diffusori serie Q per outfill e frontfill, pilotati da ampli D12. Come qui, tutto rimane digitale, a 96 kHz, clockato dall’Optocore. In America ci possiamo permettere un sistema più ingombrante. Lì usciamo direttamente in AES dai Lake per trasportare questi segnali su uno snake più tradizionale fino al palco, dove poi vengono risincronizzati tramite due ATI DDA212 clock AES, che, infine, distribuiscono i segnali ai finali.
Brian manda dal banco un L/R+Sub+FF+Side. Questi arrivano in AES dalla console e entrano nei Lake – ed è questo il punto in cui si realizza la sincronizzazione con il clock dell’Optocore.
Brian, perché scegli di uscire con sub, frontfill, ecc separati, una pratica che si vede più con la musica pop o dance?
Innanzitutto la mandata per i sub è semplicemente una somma mono dalla matrice L/R... non il “subs-on-an-aux” che si vede molto con la musica bass-heavy. Per quanto riguarda questa scelta, però, dipende meno dal tipo di musica e più dalle esigenze della produzione. A volte, con altri artisti, uso un mix composto da una singola coppia stereo per l’intero impianto. Qui, però, mi serve controllo. Questa non è una band che abbia bisogno di basse molto potenti o profonde. Occorre anche considerare che Derek non usa monitor e dipende quindi dal suono in sala: troppa energia nelle basse potrebbe distrarlo molto, così devo avere la possibilità di regolare i livelli separatamente.
Aggiunge Chris: “Per chiarire: ogni mandata dalla console verso il Lake è un mix full-range intero dalla matrice L/R. L’unica eccezione è quello per i frontfill, che comprende un mix della band e un mix delle voci, anche questi passati tramite la matrice della SDTen.
Continua Brian: “Così tutto arriva da quello che sto facendo con i fader. Tutti gli strumenti vanno ad un gruppo ‘strumenti-a-frontfill’ e tutte le voci vanno ad un gruppo ‘voci-a-frontfill’. Questi vengono impostati con un rapporto voci /band nei frontfill intorno ai 5 dB. Lo scopo di questo mix con enfasi sulle voci nei frontfill è compensare gli ampli che sono puntati verso il pubblico direttamente dietro i frontfill.
“Tutto serve a mantenere l’impressione che il suono abbia origine dal palco e non dal PA. Dato il volume sul palco – e dato che il nostro pubblico non si aspetta un livello da death metal – uno dei motivi per i quali abbiamo cominciato a portarci dietro un PA nostro – in particolare negli Stati Uniti – è che trattiamo il PA un po’ come se fosse backline: lo appendiamo in basso e vicino alla band per integrare il suono che arriva dal palco.
Chris: Puntiamo su un suono ad alta fedeltà, è per questo che scegliamo d&b o L-Acoustics che sono entrambi dei PA molto musicali.
Brian, durante lo show sei molto occupato... devi stare sempre sui fader?
Una volta ero sempre sopra i fader, facendo continuamente piccole correzioni. Io e Bobby abbiamo poi mixato il disco live della band e, dopo quel lavoro, ho cambiato un po’ idea... ho azzerato la console e ho ricominciato da zero con un’altra intenzione. Adesso mi trovo a toccare i fader solo durante gli assoli e quando ci sono le armonie vocali, per arrivare al balance perfetto. Per il resto mi sono reso conto che questa band, se la si lascia fare, si mixa e si bilancia da sola.
Bobby: Per me lo show è più o meno lo stesso. Ritocco per gli assoli e per le armonie vocali. Praticamente mixo l’intero show dai master fader per le mandate di gruppo, i rapporti nei mix in uscita vengono impostati all’inizio e poi controllo i livelli dei vari gruppi seguendo la musica.
Brian Pirrone - Lighting designer/director
“Per le tournée nei teatri e nei club – ci dice Brian – in autunno e primavera, particolarmente all’estero, tendo a lavorare con quello che si trova sul posto, ma con importanti integrazioni.
“Portiamo dietro la console, generalmente una grandMA2 Light, ma abbiamo ricevuto l’upgrade a business class in questo tour, perché il fornitore ci ha dato una grandMA2 Full Size. Può sembrare una console sovradimensionata per questo show, ma ci sono tante persone sul palco e mi servono tanti fader. Quando uso la grandMA2 Light aggiungo sempre una Fader Wing.
“Il pacchetto supplementare che portiamo al seguito comprende per lo più dei proiettori da posizionare a terra, ma anche fino a sei Mac Viper Profile da appendere, poi altri sei per terra e quattro blinder a terra. Portiamo anche dei VL3515 con dei gobo customizzati per le proiezioni sul fondale nero. Per anni abbiamo usato dei teli con delle immagini come fondale, ma questa soluzione è più snella e funziona meglio.
“Porto senz’altro sempre degli hazer. Per questa tranche, il fornitore ha messo a disposizione anche alcuni nuovi proiettori PATT2013 Robe, che sono bellissimi e scenografici. A me piace moltissimo questo tipo di proiettore... quando si possono avere anche dei fresnel grossi, Arri o altro, troviamo sempre dove metterli. Il backline della band fornisce tantissime superfici perfette per riflessioni ed ombre.
“Nelle tournée estive, giriamo con un paio di camion – uno di audio, uno di luci e backline – per i concerti generalmente nei pavilion. Comunque, un parco luci non enorme. Se non si tratta di un concerto una tantum in un posto remoto, abbiamo sempre i nostri truck al seguito. In Europa, Giappone e Australia generalmente giriamo con una produzione completa. Questo tour di 18 show in Europa è un po’ più snello. Stasera è un’eccezione, perché sto usando il parco luci della venue, a parte il fumo. Quello che hanno qui all’Alcatraz corrisponde abbastanza bene alla nostra richiesta minima: nel back servono almeno otto wash e poi 12 profile in aria, con parecchi proiettori ad incandescenza, ERS per i frontali... poi i nostri VL3515 per le proiezioni sul fondale. Tutti i frontali sono molto stretti, perché l’unica persona che si muove sul palco è Derek, che comunque si mantiene all’interno di un’area non troppo ampia. Perciò non servono neanche dei seguipersona. Alla band non piacciano i segui, comunque, ed io preferisco gli angoli più obliqui.
“Nella produzione piena abbiamo delle americane laterali per i tagli con dei wash e un paio di profile. Qui sono riuscito a far bastare un singolo spot per ogni lato e degli ACL. Nella mia richiesta ci sono sempre dei PAR e dei LEKO in alto, come minimo, oppure dei VL1100. A parte quello, preferisco dei Mac Viper, per me il migliore nella sua categoria: è potente, affidabile ed i gobo di serie sono ottimi. Per il colore, preferisco i Claypaky B•Eye, oppure un numero doppio di Mac Aura”.
“Lo show combina un aspetto molto da blues tradizionale a momenti di estesa improvvisazione... da una canzone all’altra lo show è piuttosto strutturato, ma ci sono momenti in cui la psichedelia viene a galla. Questa però viene dosata con molta moderazione. Più che altro si tratta di evidenziare momenti e persone, colorare la scena e mantenere un po’ di classe.
“Io ho una cue stack come base per la maggior parte delle canzoni, perché usiamo diversi tipi di fixture per diversi angoli e look, ma per quanto riguarda gli assoli ed altre evidenziazioni, sono costantemente sui fader.
“Io sono da solo in tournée in questo giro, per quanto riguarda le luci – aggiunge Brian – perciò il collegamento al rig è alla vecchia scuola, su rame con uno snake DMX. È la cosa più facile in termini di individuazione e risoluzione di problemi”.
Lo show
Avendo fatto la mia piccolissima parte nella scena musicale del sud-est negli Stati Uniti degli anni ‘90, Derek Trucks per me rappresenta una garanzia. Lo sentii suonare dal vivo qualche volta nei club di Tennessee e Georgia quando lui era ancora teenager, e rimasi a bocca aperta. Conoscevo invece il nome della Tedeschi per qualche sua collaborazione nel passato, ma sono stato indottrinato con la sua musica negli ultimi anni qui in Italia proprio dal nostro direttore. Alfio la scoprì anni fa, entrando in un negozio di dischi negli Stati Uniti, cercando della musica nuova e diversa. Ci mise poco, perché la musica che sentì dall’impianto del negozio mise fine alla sua ricerca e chiese semplicemente di comprare quell’album... era Susan Tedeschi.
La band che col marito hanno messo insieme è un’orchestrina composta di sessionisti noti, come Tim Lefebvre al basso ed Ephraim Owens alla tromba, insieme a membri di varie band che dominano la scena nel sud-est da anni, come Kofi Burbridge (fratello di Oteil) alle tastiere e al flauto e Matt Mattison come seconda voce. La musica che creano tende a trascendere gli stili su cui si basa per muoversi in tantissime diverse direzioni, sempre tornando ad esaltare la distinta voce di Tedeschi e il gustosissimo virtuosismo di Trucks. Si perde solo raramente nell’eclettismo da “jam-band”, preferendo invece gli arrangiamenti solidi di canzoni orecchiabili, nonostante le variazioni di stile che riescono ad infilare anche all’interno dello stesso brano.
Il suono risulta del tutto impeccabile. Mantengono un volume potente ma con il buon senso di non esagerare mai, considerando il tipo di sala, il tipo di musica e, in particolare, il tipo di pubblico, che è venuto per sentire tutto, non per uscire sordo.
A proposito di pubblico, possiamo attestare che è arrivata gente da tutta Italia, addirittura dalla Sicilia, per assistere a questa unica data italiana.
La scenografia è formata principalmente dal numeroso personale e dall’ampia strumentazione sul palco, così le luci funzionano in base a questi. Effettivamente, Pirroni fa un lavoro egregio, nell’accompagnare i cambiamenti di emozione che si svolgono nella musica; anche lavorando completamente con un parco luci trovato sul posto, è in grado di dare allo show un carattere distinto.
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