Phil Collins - Still Not Dead Yet
Il 17 giugno è tornato per una singola data al Mediolanum Forum il mitico Phil Collins, proponendo una scaletta di oltre due ore di hit indimenticabili.
di Douglas Cole
Una breve “tournée del non-addio” che doveva toccare tre città europee nel 2017, questa produzione era originariamente battezzata con l’autoironico titolo Not Dead Yet (“Non ancora morto”). Quando poi è diventata un giro del mondo inarrestabile, il nome ha preso ulteriore enfasi: Still Not Dead Yet (“Eppure non ancora morto”). Infatti, la quinta (sesta, contando le date originali) tranche di questo tour si è svolta di nuovo in Europa, dopo Sudamerica, Nordamerica e Oceania, mentre sono già in vendita biglietti per un’altra tranche nordamericana prevista in autunno. Già dopo l’iniziale tour europeo, la produzione ha preso slancio e spessore allo stesso tempo come una palla di neve, allargandosi dalle dimensioni originali per riempire gli stadi dell’America Latina e dell’Australia nel 2018 e, in questa tranche, dell’Europa. Nonostante il calendario del tour sia composto di brevi e intense raffiche di concerti inframezzate da periodi di riposo, è già arrivato a contare oltre 80 repliche, e arriverà ad un centinaio di date entro la fine di quest’anno.
Portato in Italia da Claudio Trotta e la sua Barley Arts, storico promoter nazionale di Phil Collins, questo concerto vede Collins circondato da una band fenomenale di 14 musicisti – compresi Leland Sklar al basso, Daryl Stuermer alla chitarra e il figlio di Collins, Nicholas, alla batteria – e inquadrato da una scenografia grande e raffinata. Il disegno della produzione è stato creato da Woodroffe Bassett Designs, con scenografia di Misty Buckley e contributi video di Sam Pattinson e Lizzie Pockock di Treatment Studios. Il disegno luci è firmato da Patrick Woodroffe con Roland Greil nel ruolo di associate lighting designer, programmatore ed operatore luci in tournée. Dal lato audio, al FoH c’è lo storico fonico live di Collins, Michel Colin, con il sound design di Ben Philips e con Jono Dunlop alla regia di palco.
Nonostante la crew internazionale – tra professionisti inglesi, francesi, americani, australiani, tedeschi e neozelandesi – per i fornitori tecnici del tour, la produzione è rimasta fermamente piantata in Inghilterra: audio di Britannia Row, luci di NegEarth e video di Matrix Solutions, con Ruary MacPhie alla regia camere.
A gestire la tournée sono il tour manager Steve “Pud” Jones e il direttore di produzione Howard Hopkins.
Ci dice Cristina Trotta, di Barley Arts: “È sempre un piacere ospitare una produzione di Phil Collins, ogni concerto è un momento unico. È un artista che, nonostante sia veramente leggendario, rimane umile e sereno a livello umano. E abbiamo sempre detto: come è l’artista… è tutta la produzione!”. E questo l’abbiamo verificato. Innanzitutto, però, chiediamo al promoter locale qualche informazione sulle richieste della produzione itinerante.
La squadra di produzione locale per Barley Arts (da sx): Francesco Comai, Stefano Dal Vecchio, Jacopo Rossi, Giada Santel, Cristina Trotta e Andrea De Matteo.
Andrea De Matteo - Direttore della produzione locale per Barley Arts
“La produzione – spiega Andrea – ha chiesto sul posto il palco, le transenne, le pedane per le regie e per i seguipersona, più la fornitura elettrica. Per il prerigging sono stati richiesti 107 punti per 51 tonnellate di appendimento. La grossa sfida è semplicemente fare entrare questa produzione nel palasport. Il palco è stato fornito da Electra Service, mentre il gruppo è di CME.
“La distribuzione elettrica è piuttosto importante e abbiamo portato due bigruppi da 600+600 kVA ciascuno, perché la richiesta elettrica era di quattro linee powerlock da 400 A più tutte le piccole derivazioni per il rigging.
“In termini di chiamate – continua Andrea – innanzitutto servivano 24 rigger sia per il montaggio che per lo smontaggio. Come forza lavoro, servivano 80 uomini al load-in e 115 per il load-out, compresi rigger e skaff.
“Per lo show in arena arrivano con 13 bilici belli pieni, poi ci sono i trasporti nostri, i camion del palco, ecc.
“In tour sono 86 persone tra artista, band e produzione. Aggiungendo gli autisti dei vari mezzi – camion e bus – sono in totale 110 persone in tour. Una squadra evidentemente composta perlopiù di veterani… tutti sereni e capaci.
“Noi siamo entrati a mezzogiorno del giorno prima, per allestire il palco e la distribuzione elettrica. Loro sono arrivati alle quattro del pomeriggio, sempre il giorno prima, per fare il floor marking e hanno portato dentro tre o quattro camion fino alle sette di sera. Poi ci siamo fermati e abbiamo ricominciato alle sei di mattina con il rigging. Dopo lo show, abbiamo finito tutto per le 2:30-3:00”.
Claudio Trotta - Barley Arts
“Questo è il sesto concerto di Phil Collins insieme a noi, cominciando dal Seriously, Live! tour nel 1990, poi il Both Sides of the World tour nel ’94 e il Trip into the Light tour nel ’97 – tutti a Milano – in versione pop, ma anche con il Phil Collins Big Band a Umbria Jazz ’96, insieme a Tony Bennett, e nel ’98 a Cernobbio con Oleta Adams e Gerald Albright.
“Ho trovato questo concerto meraviglioso, perché si vede un’empatia, un’armonia e una voglia di divertire e divertirsi che non è di tutti giorni. Una produzione dove si sente benissimo e si vede altrettanto bene, ma nella quale l’elemento principale è la qualità di quello che viene presentato. Artisticamente è di altissimo livello, il figlio di Phil è fenomenale alla batteria – così simile al padre – e la band è impressionante… dalla sezione fiati, ai cori, a Leland Sklar che è un pezzo di storia della musica.
“Phil ha avuto tanto dalla vita ma ha anche subito tanto. È indiscutibile che sia provato, ma mi pare che abbia ancora molto da offrire. Questo è un concerto che siamo molto fieri di aver presentato.”
Associate lighting designer, operatore e programmatore luci, Roland Greil (sx), con Ben Howell, direttore seguipersona.
Roland Greil - Lighting director & associate designer
Per parlare delle luci, troviamo di nuovo il nostro amico Roland, contemporaneamente anche coinvolto nelle produzioni di Rammstein e Rolling Stones, ma qui in veste di datore luci.
“Alle origini di questa produzione – racconta Roland – io sono l’Associate Lighting Designer… in parole povere sono il co-designer insieme a Patrick Woodroffe e sono il touring designer/director, occupandomi del controllo e delle eventuali modifiche al parco luci dall’inizio nel 2017.
“L’intero design si basa su quello del ‘comeback’ nel 2017, quando Phil ha deciso di fare quindici date: cinque a Cologne, cinque a Parigi e, più importante, cinque alla Royal Albert Hall. Perciò era tutto progettato per entrare nella Royal Albert Hall, poi abbiamo lavorato per creare uno show che funzioni anche nei palasport.
“La tournée ha preso slancio e abbiamo cominciato a suonare anche negli stadi. A quel punto, abbiamo creato un pacchetto aggiuntivo per rinforzare il sistema di base per l’aria aperta e gittate molto lunghe… il parco luci non è piccolo, ma negli stadi serve comunque molto di più per creare un look importante.
“Questa tranche – continua Roland – si alterna tra palasport e stadi. Ci sono quindici date, tutte a giugno, e abbiamo un doppio pacchetto di rigging e un doppio pacchetto di extra luci per gli stadi, perché abbiamo fatto delle cose un po’ ambiziose, come dei back-to-back negli stadi tra Lyon e Stuttgart. In quella giornata, i camion con la produzione sono arrivati allo stadio di Stuttgart a mezzogiorno e le porte si dovevano aprire alle 17:00! In totale sono sedici camion, perciò non è una produzione grandissima, ma non è neanche piccola. Con gli extra per gli stadi già montati e con il rigging già pronto per tirare su le truss con le luci… si può fare.
“Comunque la popolarità di Phil nel mondo non è calata. Abbiamo suonato all’Estádio Maracanã a Rio de Janeiro per 110.000 persone, mentre l’altro ieri e il giorno prima ha riempito lo stadio di Hannover per due giorni consecutivi, nonostante Phil non pubblichi un disco di inediti da diversi anni.
“Tecnicamente – aggiunge Roland – il disegno è molto tradizionale; non è ipertecnologico né molto particolare. Si tratta di un concerto di un artista la cui presenza sul palco non ha eguali, anche se adesso deve rimanere seduto per tutta la durata del concerto. Non nuoce il fatto di essere supportato da quella che è probabilmente una delle migliori band mai assemblate. Con questa combinazione sul palco, non si ha bisogno di molti gag tecnici. Il nostro obiettivo è stato creare un disegno di classe, teatrale, ma che avesse anche la possibilità di creare dei look con un elevato livello di energia. L’altra considerazione è stata che volevamo evitare un look ‘digitale’ o moderno… si tratta sempre di un artista che era al suo apice negli anni ’80 e ’90, e abbiamo cercato di creare un palco che richiami quell’epoca.
“Del progetto iniziale sono rimaste la forma e la grandezza determinate dalle costrizioni della Royal Albert Hall, perciò abbiamo un floor arcuato e americane a forma di ‘U’. Tutta la pedana della band è arcuata e segue la forme del palco dell’Albert Hall. Non volevamo usare troppo video ma, visto che la musica è pop, ci sta. Così abbiamo messo una fascia sul gradino più basso della pedana e un LEDwall piccolo, da 2 m, intorno e dietro la band. Poi ci sono un grande schermo centrale e due schermi per I-Mag, a destra e sinistra, che vengono utilizzati anche per dei contributi”.
Quali proiettori avete scelto?
Non c’è niente di straordinario in termini di luci d’effetto, il disegno è basato sull’illuminazione della band e su dei beam a mezz’aria. Ci sono circa 120 testemobili nella configurazione per i palasport: 47 BMFL Spot di Robe per spot e frontali, e 58 Claypaky Scenius Unico, usati per i wash, oltre ai beam. Vengono usati anche 35 Mythos sparsi in giro, grazie alle dimensioni più contenute. È tutto disposto in modo abbastanza standard e simmetrico. Abbiamo 46 GLP X4Bar20 e 45 Solaris Flare, utilizzati però per l’illuminazione e non come eye candy. Gli altri sono proiettori tradizionali, oltre a due Patt2013 Robe al centro della scena su Phil per i primi numeri.
Abbiamo dei look molto teatrali, altri molto intimi, alcuni look poco invasivi che fanno esaltare l’I-Mag e, poi, dei look molto anni ’80 con i ‘ventagli’ fissi. Poi, visto che la musica è molto varia, abbiamo pure dei look rock-n-roll.
Negli stadi aggiungiamo alcune truss verticali ai lati del palco con più BMFL per allargare la scena, e dei molefay per illuminare più pubblico.
Per il controllo?
Ho una grandMA2 Full Size principale e un’altra Full Size in full-tracking backup, poi io e Luke (Radin, lighting system head – ndr), come prassi, portiamo dietro anche una grandMA2 Light che serve da console tecnica, per portare sul palco, controllare e puntare al mattino. Stiamo usando cinque MA3 NPU per la gestione, che mandano una quarantina di universi per il controllo di tutto il parco.
Per me, al momento, non c’è motivo per spingere per la grandMA3. In questa produzione non ci avremmo neanche pensato, perché la produzione gira da molto prima dell’annuncio della MA3! Le MA2 fanno tutto quello che ci serve qui, ma anche su Rammstein stiamo usando le MA2.
Usi il timecode?
L’intero show si svolge senza timecode, gestisco io le luci manualmente nel modo classico. Non c’è TC neanche sui contributi video e la band suona senza nessun click. È veramente old-school.
Io credo ancora che quando si può evitare il timecode per un concerto in tournée, sia meglio. La considerazione è che, quando ci sono dei musicisti di questo calibro sul palco, ci si può permettere di non usare timecode o click. Con una band come questa, una delle cose più affascinanti è che il tempo fluttua con l’energia della band e del pubblico. La musica di questo tipo non è clinica, né industriale… è espressiva e artigianale, e ogni serata è un ‘pezzo unico’. Secondo la mia opinione, con un operatore luci che ha una conoscenza musicale adeguata, il 98% dei concerti in tournée potrebbero essere controllati manualmente. Ovviamente ci sono eccezioni per concerti con grandi parti di sequenze, più basati su ballerini che su musicisti e con milioni di cue in ogni brano.
Chi fornisce le luci e la crew?
Le luci sono fornite da Neg Earth, e ho la fortuna di avere con me di nuovo Luke Radin come crew chief e gestione del sistema. Non mi devo mai preoccupare di ciò che succede all’altra estremità del cavo. Io continuo ad aiutare, scaricare, caricare, cablare… voglio essere coinvolto e su produzioni così non ci dovrebbe essere mai spazio per uno con i guantini bianchi.
Non è richiesto che io faccia questa parte del lavoro ma, innanzitutto, bisogna bruciare delle calorie! Poi non va bene annoiarsi e alcolizzarsi tornando nel bus o in albergo troppo presto. Questo, chiaramente, crea anche un ambiente di squadra e, quando il tour va avanti per anni come questo, di famiglia. In questa tranche in particolare, ci sono alcuni ragazzi diversi, perché parecchi dei tecnici luci di questa tournée lavorano con noi anche sui Rolling Stones, e quelli sono già andati in America per l’allestimento della nuova tranche. Io li raggiungerò appena finito questo giro con Phil Collins.
Da sx: Il fonico FoH Michel Colin, l’assistente FoH Rob Waite, e il PA engineer Ben Phillips.
Michel Colin - Fonico FoH
Alla regia audio, ci accoglie il gioviale Michel Colin, fonico francese che lavora dal vivo con Phil Collins da 18 anni, che ci dà un panorama dell’audio cominciando dalle sorgenti.
“Sul palco – comincia Michel – abbiamo una batteria grande, presidiata da Nicholas Collins che ha appena compiuto 18 anni – quando abbiamo cominciato questo tour ne aveva 15. È ripresa in modo molto standard: SM57 sul rullante, Beta52 sulla grancassa, C414 overhead… da manuale. Abbiamo quattro tom più due floor tom, più alcuni trigger per una canzone.
“Poi c’è il percussionista Richie ‘Gajate’ Garcia, con due congas, djembé, bongos, surdo, timbales e tanti giocattoli.
“Alla prima chitarra – continua Michel – c’è Daryl Stuermer, con due piccoli MesaBoogie configurati L/R stereo, ripresi in modo molto speciale: due SM57. Suona anche una chitarra acustica che va direttamente in una DI.
“Il secondo chitarrista, Ronnie Caryl, usa un amplificatore Fender. Su questo la ripresa è ancora più complicata: un singolo SM57. Ronnie usa anche una chitarra acustica a sei corde e una a dodici corde, sempre in DI.
“Il bassista barbuto, Leland Sklar, ha un amplificatore customizzato per se stesso, e io riprendo il basso direttamente tramite una semplice DI Klark•Teknik, che mi dà un suono migliore anche di vari DI ‘boutique’ con valvole ecc. che abbiamo provato. Poi per l’amplificatore utilizzo un SubKick Yamaha. Funziona benissimo e devo solo coordinare il delay per avere i due ingressi perfettamente in fase.
“C’è un pianoforte ‘a coda’ elettronico Yamaha, perciò due DI… per fortuna, su un palco così ‘vivo’.
“Brad Cole con la sua postazione di tastiere passa tutto attraverso Main Stage e ha il suo piccolo mixer, dal quale mi manda quattro coppie stereo: una per le ‘features’ – pedali ed effetti in frequenze gravi –, una per il suo pianoforte, una per i pad che chiamiamo la ‘colla’, che tiene tutto insieme, e un’ultima coppia stereo per il sintetizzatore principale. Brad manda anche dei loop dal rig ma lanciati da un i-Pad, per esempio per In the Air Tonight, che non si può fare senza i loop. Non abbiamo né tracce né sequenze, a parte i loop, e quelli sono lanciati manualmente.
“Abbiamo quattro coristi, ognuno con DPA d:Facto su trasmettitori Shure Axient. Poi ci sono gli ottoni – due trombe, trombone e sassofono – con quattro DPA 4099, sempre tramite Axient. Da tutti i radio, grazie all’uso di Axient, prendo tutto in AES dai ricevitori per ridurre quanto possibile la latenza. Passano in AES3 dal ricevitore, attraverso lo splitter e lo stagebox sempre in AES3, per arrivare qui al S6L. Per me non sarebbe così importante, ma per gli ascolti sul palco è importante.
“Continuando con i canali – dice Michel – abbiamo tre cajòn sul palco per un assolo, ripresi con dei DPA 4099, sempre con Axient per la trasmissione.
“Infine, c’è Phil Collins, anche lui con un d:Facto tramite Axient.
“Arriviamo ad un totale di 60 canali in ingresso dal palco, non contando ritorni, ecc. Questo è ottimo perché lo stagebox Avid arriva a 64 ingressi. C’è un altro S6L al palco, ai comandi di Jono Dunlop, ma abbiamo uno splitter analog ed AES3 prima dei due stagebox, così non dobbiamo condividere i preamplificatori”.
Ci vuoi commentare la scelta dell’Avid?
Ho scelto la S6L tre anni fa per questo tour, quando era ancora molto nuova… mi sembrava molto furba come console e molto facile da usare. Ero indirizzato verso la Yamaha PM10 Rivage, ma non era ancora pronta.
L’unica macchina esterna che ho è il TC Electronic System 6000, per fare i riverberi per Phil, i cori, i fiati e, più importante, la batteria. Questo processore mi permette di riportare i riverberi della batteria indietro fino agli anni ‘80, con l’AMS “Non-Lin” reverb.
Avendo a disposizione l’Avid, sto usando moltissimo le automazioni della console. Nonostante una scaletta molto lunga e variabile, abbiamo avuto già un paio di anni di tour, oltre ad un ampio tempo di prove e produzione prima di ogni tranche. Così ho praticamente, brano per brano, ogni cosa in total recall, compresi gli effetti. In questo modo riesco ad usare il tempo sul posto per aggiustare il mix alla venue. Anche perché ogni sera la band suona diversamente.
Ti facilita anche la registrazione, forse?
Dopo due anni dello stesso tour, non faccio più le registrazioni multitraccia per ogni data… uso solo un PC per fare una registrazione stereo.
Con il solo System 6000 outboard, presumo che tu faccia grande uso dei plugin.
Uso parecchi plugin a bordo della console, molti direttamente Avid. Poi ci sono alcuni Waves immancabili, tipo il C6, che abbiamo aggiunto appena possibile… quando siamo partiti con il tour, ancora non era possibile l’uso di plugin di terzi all’interno della console.
Sulla voce di Phil applico dei plugin Sonnox Oxford, SuprEsser e Inflator, e poi un Waves C6. Il riverbero sulla voce è quello del TC 6000.
Ho anche dei gruppi, per fare la doppia compressione ogni tanto. Perciò, su un altro gruppo per la voce, che posso mixare con lo stereo, ho un altro C6 e un plugin Aural Exciter – mi piacciono gli effetti vecchi – che rende un po’ più brillante la sua voce.
Per i cori, faccio più o meno le stesse cose: C6 più Sonnox. Inflator fa un po’ da “colla”, e tiene insieme tutto, nessuno riesce a dirmi esattamente cosa faccia, ma mi piace.
Su rullante e cassa uso il Transient Designer e sulle uscite master utilizzo il noto compressore SSL, oltre ad un C6, per fare un po’ di “mastering”.
A proposito di uscite… cosa mandi al PA?
Il mio mix in uscita è complicato quanto il nostro microfonaggio: esco dalla console con un L/R. Che viene passato al mixer LV1 Waves prima di andare all’impianto.
Questo passaggio aiuta in particolare quando ci sono degli artisti di spalla, perché così la mia console e qualsiasi impostazione dell’impianto stesso non vengono disturbati dall’aggiunta di altri canali. Rob Waite è l’assistente FoH che gestisce questo per me. In questo punto nella catena, essendoci un altro mixer Waves, Rob può anche aggiustare l’equalizzazione sui main con un F6 Floating-Band Dynamic EQ plugin quando, per esempio, i 3000 Hz sono troppo duri negli anelli.
Questa postazione in mezzo serve anche per dividere i segnali in L/R/FF/Sub, per poterli equalizzare separatamente – se necessario – e poi duplica tutto in analogico e AES per passare tutto al mondo L-Acoustics che è un mondo grande… in particolare negli stadi.
Ben Phillips - System engineer
A spiegarci qualcosa su questo “mondo molto grande” è Ben Phillips.
“Il sistema – ci dice Ben – comprende una barca di L-Acoustics: principalmente K1, ma con K2, KARA, ARCS, X8, KIVA II per i vari fill, e un bel po’ di KS28 per le basse frequenze. La configurazione era leggermente diversa in precedenza perché, per questa tranche, si tratta di un sistema per gli stadi che con il calzascarpe si può anche far entrare nei palasport.
“Qui abbiamo montato 12 K1 più tre K2 per i main, rinforzati nelle basse frequenze da sei KS28 sospesi dietro i main. I side, invece, sono composti da otto K1 più tre K2. Poiché il palco è abbastanza largo e c’è il cluster centrale di KS28, e per mantenere un equilibrio per le prime file centrali, davanti ai sub centrali c’è un clusterino di sei KARA che punta quasi verticalmente verso il basso.
“Con il sistema principale tutto in alto – dice Ben – diventano molto importanti i vari fill. Infatti, portiamo dietro praticamente l’intero catalogo L-Acoustics. Abbiamo quattro ARCS che servono come infill, ai lati del palco. Sopra i sei sub a terra ci sono dei KIVA II frontfill classici, mentre agli estremi come outfill abbiamo degli X8. Ognuno di questi serve non così tanto per equilibrio, ma per riportare il punto focale del pubblico vicino giù al palco anziché in alto.
“Abbiamo solo sei KS28 a terra, proprio per coprire solo le prime file: non sarebbe giusto per la gente in platea essere schiacciata dalle basse per coprire la sala. Quelli a terra coprono solo i primi 15 metri dal fronte-palco, dove cominciano a coprire la platea quelli sospesi.
“Abbiamo fatto i disegni di preproduzione per questa tranche con SoundVision alla fine dell’anno scorso. La configurazione su questa tranche è molto simile ad una tranche precedente in Australia, che abbiamo usato come base. I cambiamenti principali, rispetto a quel giro, sono dovuti a considerazioni per gli stadi più grandi e, in particolare, per i tempi di allestimento: questa tranche è molto fitta di date, compresi degli stadi back-to-back. Per esempio, forse per i palasport erano più adatti i K1SB ma, nell’allestimento, richiedono la preselezione degli angoli, dove i KS28 in cluster vanno su in un blocco più velocemente.
“Per l’amplificazione – continua Ben – usiamo tutte le cose più recenti: LA12X come finali e il processor P1. Stiamo lavorando con una release beta di LA Network Manager che, oltre all’integrazione con il P1 e il nuovo software di misura M1, incorpora qualche altra caratteristica nuova. Principalmente, però, stiamo mettendo alla prova M1, che dovrebbe andare a sostituire altre piattaforme di misurazione ambientale. L-Acoustics ci ha dato per prova un preset per i sub un po’ diverso e stiamo giocando anche con questo”.
Come matrice state usando praticamente una console di produzione tra la S6L e il PA…
Questo passaggio in mezzo con il mixer eMotion LV-1 Waves è una pratica ereditata dal passato… abbiamo cominciato a fare questo anni fa perché avevamo bisogno di alcuni plugin di equalizzatori dinamici sui main. All’inizio, la funzione veniva svolta da un laptop e da una scheda audio, e abbiamo deciso che si doveva fare a regola d’arte. Perciò abbiamo tirato fuori un paio di server e un rack di I/O. Eventualmente, però, si è evoluto proprio in questo mixer virtuale Waves, che non è solo in grado di applicare i necessari plugin ai main, ma riesce a gestire tutta la musica ed annunci preshow e, più importante, serve come matrice e distribuzione per qualsiasi console di un eventuale gruppo di spalla o altre situazioni. Questo è molto utile in tournée, per esempio, in Sudamerica, dove i fornitori non erano in grado di darci le opzioni di matrice che ci servivano.
Abbiamo due server Waves SoundGrid Extreme con due DiGiGrid IOC e due ThinkCentre M Series Lenovo, per una ridondanza completa. Uno degli IOC prende un segnale analogico e l’altro AES, ed entrambi inviano i segnali al P1 in analogico e in AES, per il PA. C’è un controller Icon Platform M, cosicché ci sono dei fader per gli ingressi locali.
Utilizziamo i plugin integrati nella LV1: il filtro Waves eMo F2, il generatore eMo, l’equalizzatore eMo Q4 e l’eMo D5 Dynamics. Inoltre, utilizziamo principalmente il Waves F6 Floating-Band Dynamic EQ sugli ingressi dall’S6L.
La matrice viene realizzata dalla LV-1, che poi manda i vari segnali al drive rack, che da lì vengono distribuiti agli amplificatori in Dante, AES e analogico.
Com’è gestito il backup?
I segnali dal drive rack vanno in digitale ad ogni amplificatore, ma ovviamente questo deve passare per vari switch. Ma dietro il drive rack abbiamo un line driver analogico costruito anni fa da Brit Row che dà un percorso ininterrotto in analogico verso ogni amplificatore. Nel caso uno switch si impallasse o ci fosse qualche altro guasto, gli ampli si commutano automaticamente al segnale analogico. Per forza questo deve svolgersi senza un intervento umano agli ampli perché, per mantenere i cablaggi più corti possibile, tutti i rack degli ampli sono sospesi insieme agli array. Perciò, ogni segnale critico ha diversi backup.
Raymond Gwilliams - Operatore media server
“Io lavoro per Ruary MacPhie – ci spiega Ray – e Matrix Solutions, il fornitore dei sistemi video. Usiamo D3 – ormai diventato disguise – come media server. Sono due server 4x4Pro, con le nuove schede HDMI e un paio di uscite SDI per distribuire alle postazioni dei vari operatori per il monitoraggio. Controllo tutto dalla postazione al FoH tramite KVM e degli switch appositi, con main e backup. Lo show è molto pulito e ‘old-school’.
“I contributi si alternano tra I-Mag e grafici e video preprodotti, creati da Sam Pattinson di Treatment Studio. Gli schermi sulle pedane e dietro i musicisti hanno quasi sempre contributi grafici, mentre gli schermi esterni sono quasi sempre I-Mag. Il LEDWall principale al fondo del palco alterna tra I-Mag e grafiche. Il look dello spettacolo doveva essere molto classico, niente di stravagante.
“Per il controllo generale – dice Ray – sto usando Mediolon, e ho creato un’interfaccia mia personalizzata, che è fondamentalmente Art-Net con tutti i miei cue e che può gestire anche tutto il mio routing, commutando tra i monitor, ecc. È molto più stabile che usare OSC o altri protocolli. Art-Net è molto facile e consente anche di interfacciarsi con altri reparti, in particolare con le console luci.
“La regia delle telecamere è dietro il palco. Io sono l’ultimo nella catena: dalla regia viene mandato tutto a me e io faccio le uscite. Ho quattro ingressi dalla regia: il programma con il suo mix, poi prendo dei segnali isolati dalle telecamere remotate, che mando qui e là per miscelare tutto un po’ sugli schermi.
“Nei server – continua Ray – uso anche qualche Notch, per un paio di brani ma generalmente solo per un musicista unico… per tutti è molto difficile trovare un look utilizzabile. Comunque è uno show con un artista storico e il pubblico vuole generalmente vedere I-Mag di Phil sugli schermi. Così, per effetti ci limitiamo a dei grani o filtri fotografici sulle persone.
“Non c’è proiezione su questa tranche, proprio perché ci sono anche degli stadi, per ovvi motivi… ma su delle tranche precedenti abbiamo anche usato dei proiettori, specificamente per l’I-Mag ai lati.
“Tutto il materiale – aggiunge Ray – in questa tournée è nuovissimo e customizzato ad hoc. Matrix ha veramente investito tantissimo in questa produzione. Non solo all’inizio, ma anche strada facendo. Per esempio, io ho cominciato su una tranche precedente in Sudamerica, perché sono specializzato in D3/disguise. Precedentemente la tournée portava server Catalyst, ed è stato deciso di modernizzare il tutto e portare tutta la risoluzione a 4K, nel mezzo di questo tour pluriennale”.
Ruary MacPhie - Project manager per Matrix Solutions e regia telecamere
“Io lavoro con Phil dal 2004 – ci racconta Ruary – infatti il mio primo concerto con lui era proprio qui al Forum… e quello era sul First Final Farewell Tour, tour che ha replicato tre o quattro volte. Matrix ha cominciato due anni fa a lavorare in tour, e sono arrivato io a sviluppare quel lato del business ma, da quando sono arrivato, sono in tournée con Phil. Doveva essere una tournée da tre settimane nel 2017 e adesso siamo sulla sesta tranche, con altre già programmate.
“Oltre a essere responsabile per il sistema video in tournée, gestisco la regia delle telecamere durante lo show. Abbiamo un pacchetto standard per uno spettacolo da palasport, con quattro telecamere presidiate: una al FoH con una lente 90x, due nel pit su track e dolly, e un roving a mano che gira intorno alle pedane sul palco. Queste sono integrate con un paio di minicamere BlackMagic 4K intorno a Nick, alla batteria. Queste sono stupefacenti; abbiamo creato delle boom customizzate per queste per usarle con il nostro sistema. Poi c’è una cueball PTZ sui fiati e sul percussionista, manovrata da me dalla regia telecamere.
“I processori video sono tutti Novastar 4K, mentre gli schermi sono Unilumen 5.9 mm outdoor/indoor forniti a noi da Screen Visions in Germania. Chiaramente la nostra azienda possiede molti schermi, ma quasi tutti sono impegnati in progetti televisivi nel Regno Unito.
“Phil ha sempre insistito perché la band venisse ripresa quanto lui, e questo rende molto facile il mio lavoro, perché ognuno di loro è un veterano e eccellente on-camera – a parte Nicholas che forse l’ha ereditato.
“La recente disabilità fisica di Phil – spiega Ruary – ha cambiato moltissimo lo show dal nostro punto di vista. Invariabilmente era una volta molto attivo e in movimento sul palco, mentre adesso dobbiamo creare molto più movimento con le camere. Il binario con il dolly ci consente di ottenere delle inquadrature che di solito sono impossibili in tour, e il disegno del palco e la pedana della band arcuata, in combinazione con queste camere, ci consentono di avere le riprese in movimento con Phil e con la band sempre dietro.
C’è molto da aggiustare in termini di colore e di luminosità in una tournée che alterna indoor ed outdoor?
Non più di quanto sarebbe necessario di giorno in giorno in qualsiasi altra tournée. In ogni caso, per ogni venue la procedura è sempre la stessa: sistemare il bilanciamento dei bianchi, poi dei colori e coordinare la luminosità con la luce nella venue e poi quelle dello show. Il bilanciamento dei bianchi qui è complicato soltanto dal fatto che stiamo usando due diversi prodotti tra le pedane e tutto il resto. Una volta che il bianco di quel pezzo è coordinato con gli altri, e abbiamo i guadagni sistemati, è solo una questione di bilanciamento dei colori nelle telecamere.
Le uniche cose che cambiano di data in data sono le dimensioni degli schermi I-Mag ai lati… e queste dipendono sempre dalle quantità che riusciamo a montare sui punti di appendimento disponibili.
Lo show
Partiamo dalla scaletta: si tratta di un panorama di hit provenienti dal lungo plateau all’apice della carriera di Collins come solista – cioè più o meno dal 1980 al 1995 – con qualche chicca dalla discografia Genesis approssimativamente dello stesso periodo. In tutta onestà, l’autore di questo articolo conosceva ogni brano, e conosceva i testi, parola per parola, del 90% – non perché superfan di Collins ma solo tramite l’osmosi e il fatto di aver passato l’adolescenza con la radio (e la primordiale MTV) accesa negli anni ’80. Effettivamente, Phil Collins farebbe esattamente zero fatica a combinare una scaletta composta solo di brani che sono stati primi in classifica, con una serie di bis solo premi Grammy. Con questa scaletta, orchestrata ed eseguita da una band composta di 13 dei migliori turnisti nel mondo – oltre al fenomenale figlio di Collins a sostituirlo alla batteria – si vince facilmente.
La voce di Collins è sempre stata più nota per estensione e timbro che per la potenza e, con gli anni, questa sussiste: non rinuncia alle note più acute, ma il fonico, particolarmente nei primi brani, sembra fare uno sforzo particolare per non farlo sovrastare dalla band che lo accompagna. Si trova rapidamente un equilibrio, però, e il concerto procede con un suono più potente di quanto ci si potrebbe aspettare per questa scaletta mista tra pop/rock e “adult contemporary”. In contrasto a un recente concerto che abbiamo ascoltato con praticamente tutti i diffusori per le basse frequenze appesi in alto, il mix è molto “live” e per niente discografico… le basse qui veramente vengono utilizzate per aggiungere emozione e indurre quell’energia in più sul pubblico. Infatti, nel brano In the Air Tonight, un tono pedale che dura per tutta la canzone fa sonagliare i denti e, poi, nel bis Take Me Home, un operatore della squadra luci, quando ha visto i miei occhi spalancati dall’impatto delle basse, mi ha fatto notare con un sorriso le sedie non-occupate in regia che dondolavano con il colpi di grancassa… un fenomeno che non avevo mai visto prima.
Per quanto riguarda lo show visivo, com’è assolutamente giusto in questo contesto, le luci non prendono mai il ruolo di protagoniste. Per la maggior parte dei brani, il palco è illuminato in modo molto teatrale, senza colori forti – così facilitando l’importantissimo I-Mag – con l’occasionale corona o muro di luce dietro la band creati dai Mythos sopra la pedana. Dai bordi del palco in poi, i look sono quasi sempre costruiti per inquadrare il palco e dargli un contorno, con molti fasci a mezz’aria statici, e l’occasionale gustoso tocco di movimento. La regia dello show e del video è veramente magistrale. Mantenere un’idea di movimento per due ore di show durante le quali il protagonista rimane seduto non deve essere facile e, nonostante il grande uso di I-Mag, lo show non diventa mai “televisivo”. L’unico momento, poi, quando i contributi prendono l’attenzione principale è per un paio di brani dei Genesis durante i quali vengono riprodotti tantissimi filmati storici di concerti, interviste e momenti spontanei della band nelle sue varie configurazioni. La squadra dei visual, tra luci e video, ha fatto anche un eccellente lavoro nello strizzare l’occhio dal vivo al famosissimo video clip diretto da Stuart Orme nel 1980 per In the Air Tonight, con la sua monocromia e fortissimi giochi di luce di taglio ed ombra.
Un concerto indimenticabile, insomma, degno di questo artista leggendario.