DI Box RDI B 01
RDI B 01 è una DI box passiva, assemblata dall’azienda marchigiana Reference Laboratory.
RDI B 01 è una DI box passiva, assemblata dall’azienda marchigiana Reference Laboratory. Il costruttore dichiara un rapporto di trasformazione di 10:1, una banda passante estesa da 30 Hz a 50 kHz ed un’impedenza di ingresso tipica di 10 kΩ. Il box presenta da una parte due connettori jack da 1/4 di pollice e un pin RCA, tutti e tre in parallelo tra loro, dedicati al segnale di ingresso (sbilanciato), insieme ad un pulsante che inserisce o disinserisce una rete di attenuazione da 20 dB; dall’altra parte un XLR maschio per il segnale d’uscita, bilanciato, ed un pulsante per il ground-lift. Sulla faccia superiore del robusto contenitore metallico è serigrafato il semplicissimo schema elettrico del dispositivo.
Sul sito Internet istituzionale di Reference Laboratory è riportata anche una tabella con la risposta in ampiezza dettagliata e la distorsione THD, rilevate per una dozzina di toni puri da 20 Hz a 100 kHz. La tabella, riportata in queste pagine, mostra una risposta ben più estesa di quella riportata in forma sintetica all’inizio della pagina web e riporta, tra l’altro, un limite superiore in frequenza (a ‑3 dB) di 92 kHz.
Una DI box passiva, nella sua forma più semplice, è costituita, come in questo caso, da poco più di un trasformatore audio con uscita bilanciata. Reference Lab ha convenientemente inserito in ingresso una rete di attenuazione commutabile, ovviamente passiva, ed un pulsante per il ground-lift.
Un dispositivo di questo tipo serve tipicamente per bilanciare (oltre ad isolare galvanicamente) segnali di linea, come quelli provenienti da una tastiera o da un sub-mixer, per trasportarli fino ad un ingresso microfonico del mixer principale. I due jack in ingresso, direttamente in parallelo tra loro come mostrato sullo schema elettrico, sono utili per inserire la DI box tra uno strumento e il suo amplificatore senza interferire con il flusso del segnale, permettendo così di derivare un feed bilanciato per la registrazione, in studio, o per il mixer di sala in una performance live.
Un vantaggio dei dispositivi passivi, vantaggio che in alcune situazioni può risultare determinante rispetto ai dispositivi attivi, è ovviamente il fatto di non richiedere un’alimentazione elettrica per funzionare.
L’isolamento galvanico sul segnale, realizzato dal trasformatore, può essere completato separando anche il collegamento elettrico tra le masse, in ingresso e in uscita, tramite l’apposito pulsante ground-lift.
Il rapporto di trasformazione 10:1 del trasformatore realizza contemporaneamente un’attenuazione del segnale di 20 dB tra ingresso e uscita (10 a 1, appunto) e un incremento di 100 volte dell’impedenza vista dall’ingresso del trasformatore rispetto all’impedenza di carico dello stesso. Con un’impedenza di carico di qualche kΩ, valore tipico per l’impedenza di ingresso di un preamplificatore microfonico, dall’ingresso del trasformatore si vedrà quindi un’impedenza di qualche centinaio di kΩ. Questa impedenza, evidentemente, è sufficientemente elevata per risultare trascurabile nel parallelo rispetto all’impedenza presentata dal circuito (passivo) in ingresso, circuito che realizza, contemporaneamente, la prima parte della rete di attenuazione commutabile e che di fatto determina l’impedenza di ingresso complessiva del dispositivo.
L’impedenza di ingresso dichiarata, di 10 kΩ, non sembra sufficiente per poter accomodare in ingresso segnali particolarmente delicati come quelli provenienti da strumenti musicali con pick-up passivo, che necessitano tipicamente di impedenze di carico dell’ordine del megaohm per evitare di assorbire una corrente elettrica eccessiva dal trasduttore, influenzandone le caratteristiche tonali. Per ottenere impedenze di ingresso così elevate è necessario utilizzare un circuito di ingresso attivo.
Una DI box passiva, con un’impedenza di ingresso del’ordine delle decine di kΩ, come quella di cui stiamo scrivendo qui, può tranquillamente lavorare con il segnale di una chitarra o di un basso proveniente da un circuito attivo di condizionamento del segnale dei pickup, oppure con un segnale derivato dall’uscita della pedaliera o, ancora, dal retro dell’amplificatore. Occorre notare, comunque, che il segnale elettrico di una chitarra così com’è, soprattutto quando siano presenti sul circuito del segnale effetti tipo overdrive, può assumere colorazioni piuttosto innaturali se non è seguito da un amplificatore e da un altoparlante che ne smorzino opportunamente il contenuto in alta frequenza. Per ottenere il massimo da una chitarra elettrica con pickup passivo può essere il caso di utilizzare un preamplificatore dedicato, con ingresso a FET ad alta impedenza, piuttosto di (o a monte di) una comune DI box.
Una DI box attiva può anch’essa utilizzare un trasformatore audio in uscita, dato che questo realizza una separazione elettrica tra ingresso e uscita che non è possibile ottenere utilizzando circuiti di bilanciamento elettronici. Un trasformatore, inoltre, realizza un bilanciamento migliore. La precisione del bilanciamento, infatti, in un circuito attivo ben progettato dipende tipicamente dalla precisione con cui vengono accoppiate tra loro alcune resistenze, mentre un trasformatore con il secondario flottante realizza, in pratica, un bilanciamento intrinsecamente perfetto.
Un buon trasformatore audio è anche caratterizzato, oltre che dalla risposta in frequenza, dalla distorsione limitata, soprattutto nella parte bassa dello spettro.
Un buon trasformatore audio, però, è un componente piuttosto costoso, per cui molti modelli di DI box attive sono realizzati senza trasformatore.
I circuiti attivi, con o senza trasformatore, richiedono un’alimentazione elettrica, generalmente fornita tramite phantom dal mixer collegato all’uscita del dispositivo. Spesso è anche prevista una batteria interna, da utilizzare quando non sia disponibile l’alimentazione phantom.
Verrebbe da pensare che un altro vantaggio di una DI box passiva rispetto ad una configurazione attiva possa essere rappresentato dall’affidabilità, secondo il principio che meno componenti corrispondono ad una minore probabilità di guasto. Questo principio resta senz’altro vero, in generale, però devo dire che mi è capitato di vedere DI box attive, peraltro non proprio di basso prezzo, in servizio (tuttora) da più di 20 anni. Ne ho viste anche di passive, peraltro, resistere per oltre vent’anni nella cassetta degli attrezzi (un ambiente non proprio delicato).
Diciamo che una DI box è un componente che può essere reso molto robusto e può durare molto tempo. Anche per questo può essere meno impegnativo investire in qualità, dato che l’investimento verrà diluito in un tempo piuttosto lungo.
È facile trascurare queste scatolette che, al contrario, svolgono un ruolo importante sia dal vivo sia in studio.
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