Cosa si è preso e cosa si è perso - terza parte

Normative e musica dal vivo...

di Carlo Carbone

 

Quando uscirà questo articolo saremo già avanti con la programmazione degli eventi estivi, pertanto la vendetta mi colpirà solo il prossimo anno (almeno spero).

Per fortuna i committenti a noi tecnici chiedono sinteticamente che tutto vada bene, che non ci siano problemi. Richiesta generica e drammatica a cui neanche il committente crede e che anzi usa un po’ ritualmente, come potrebbe dire: “ciao, come stai?” (anch’essa richiesta rituale a cui spesso non si chiede risposta).

Sintetizzando in dado formis il campo, i motivi di attrito tra le parti sono i seguenti: livelli di pressione sonora e costi.

Tralasciando l’ultimo motivo, che non risulta tanto scientifico per la categoria dei tecnici, analizziamo il primo che presenta aspetti più interessanti.

Nel 1997, all’indomani dell’uscita del Decreto sui livelli di pressione all’interno dei locali di pubblico spettacolo, chiamato piuttosto infelicemente “decreto discoteche”, nessuno avrebbe pensato che gli effetti sarebbero stati limitati alle discoteche. Infatti, in forza della genericità del concetto “pubblico spettacolo”, anche tutta la musica dal vivo fu coinvolta dall’applicazione del decreto nel quale si imponeva urbi et orbi l’uso del limitatore e livelli di pressione con condizioni di attuazione e misura particolarmente proibitivi. L’effetto immediato delle categorie fu di richiedere e ottenere la revisione della norma che, infatti, una volta istituita una commissione ad hoc, prese forma nel 1999.

In verità in quella commissione i numeri (così erano euristicamente detti i livelli massimi di pressione acustica) non furono oggetto di trattativa, e così si perse un’occasione di approfondimento su quelli, impostando una corretta metodica. Per ovviare ai numeri ci accordammo su metodi e criteri; dopo ampia discussione non si poté che ritenere inapplicabili i criteri ristrettivi dei numeri allo spettacolo dal vivo.

Ma il numero, cosa che non sospettavo allora, è un tarlo latente che, come la rossiniana maldicenza, s’ingrossa da venticello a temporale quando lasciata covare sotto le ceneri. Infatti, dopo vari segnali, sta riapparendo in questo momento in una commissione interna e blindata istituita in seno al Ministero della Sanità con il compito di indicare il numero per il quale si forma danno. Si tratta di attività istituzionalmente corretta, di cui ci auguriamo siano resi chiari e disponibili i criteri e le metodiche utilizzate per raggiungere la sintesi in un valido e indiscutibile valore scientifico, ciò proprio per la sua valenza che questo numero ha nei settori sociali più articolati. Ad oggi i numeri (livelli) sono fondanti, ad esempio, sui criteri di qualità della vita dei lavoratori. La ISO 1999R, di provenienza britannica, è una norma emersa da studi statistici pluriennali sull’aumento di fenomeni di ipoacusia nella popolazione lavorativa esposta per 20 anni, con frequenza di 40 ore alla settimana, a rumori meccanici tipici delle fabbriche. Da tale contributo scientifico la comunità europea e l’Italia derivano le loro regole e leggi di settore. Ben diverse da una fabbrica per 40 ore settimanali per 20 anni, sono le condizioni di esposizione del pubblico di uno spettacolo musicale: vuoi per l’occasionalità di un concerto, vuoi, come se proprio nessuno ne volesse parlare, per la diversità fisica tra rumore e suono. Tralascio – non volentieri ma solo per non fare un trattato sociologico – il valore della musica come fenomeno vissuto insieme ed altre amenità, che sono il cuore della musica dal vivo. Devo purtroppo trattare di questo argomento marginale e ridurre in termini semplici l’effettiva sostanzialità dell’argomento “livelli”.

Assomusica si è autoregolamentata, fissando di non perseguire livelli di musica potenzialmente dannosi. Negli ultimi anni questa autoregolamentazione ha portato a rilevare, nello stato di fatto, livelli Leq compresi tra 98 e 100 dB(A), ovvero livelli massimi inferiori a 106 dB(A) Fast.

In verità nella regola tecnica – e quindi anche nella norma italiana per la tutela dei lavoratori – l’unica indicazione di trauma meccanico a danno dell’apparato cocleico (orecchio) è relativa presenza di un livello istantaneo pari a 140 dB Peak. Nell’universo dei fenomeni istantanei prossimi all’evento musicale, un parametro congruo è il livello misurato con ponderazione temporale “fast”, corrispondente ad un’integrazione con costante di tempo pari a 0,125 secondi, comunque più ampia di oltre 50 volte rispetto a quella indicata con “peak”, corrispondente tipicamente a circa 0,002 secondi. I sistemi meccanici degli altoparlanti, infatti, non sono capaci di produrre picchi energetici elevatissimi in pochi millesimi di secondo, a causa della loro inerzia e resistenza fisica: è il loro limite fisico. Analizzando l’analogia tra le due diverse costanti di tempo, si possono ricavare indicazioni sul livello di pressione sonora capace di danno valutato in fast, pari a 124 dB o, considerando un appropriato filtro di ponderazione, 122 dB(A). Tale valore supera il livello riscontrato durante le manifestazioni musicali di oltre 16 dB, che rappresenta un considerevole margine di sicurezza.

In verità danni e traumi possono avvenire anche a livelli inferiori, a seconda della vita del soggetto e/o di predisposizioni individuali. Sono stati segnalati casi, in passato, di trauma con livelli allora non rilevati, ma riconducibili presumibilmente a pressioni di 108 dB(A) FAST. Così come non ho dubbi che la categoria professionale che si espone costantemente a questi livelli possa contrarre ipoacusie specifiche, da cui il consiglio di fare attenzione e ogni tanto effettuare una visita specialistica. In alcuni casi sarebbe, oltretutto, un atto di pietà.

D’altra parte la percezione per il normoudente non di settore (ovvero per il pubblico) di incremento di pressione tra 98 e 100 dB(A) di Leq è esigua, e ancor più esigua è la differenza tra 100 e 104 dB(A) di Leq, andando via via sempre più a comprimersi la dinamica fisica dell’apparato cocleico. Sopra una certa soglia, infatti, orientativamente 90 dB(A), l’orecchio inizia a comprimere la percezione dinamica con curva esponenziale crescente, ovvero cerca di salvarsi. I concerti svolti alle pressioni indicate, rappresentano ormai la stragrande maggioranza e sono del tutto godibili. I livelli dei concerti tenuti in questi anni a San Siro non hanno mai superato un Leq di 99 dB(A).

Si deve ricordare comunque che il livello della musica, oltre che scelta artistica, ha un limite dato dalla necessità di superamento del livello del rumore antropico che ad esempio, sempre a San Siro, raggiunge nei momenti di acclamazione della folla un valore di 103 dB(A), stabilizzandosi comunque a oltre 93 dB(A) (Leq). San Siro non è comunque rappresentativo poiché ha una risposta acustica (misurata insieme a Foffo Bianchi) più da locale chiuso che da stadio all’aperto.

Il livello del rumore antropico scende bruscamente a 94 dB(A) massimo allo Stadio di Udine, a Firenze e Piazza San Giovanni a Roma, risalendo a 96 dB(A) all’Arena di Verona.

A ragion del vero il mantenimento di un livello più contenuto è possibile se si coniuga questo aspetto ad una maggiore qualità del suono e ad una dinamica più ampia. In questo una buona taratura dei sistemi line‑array è la risposta tecnica attuale migliore tra quelle disponibili. Quando il sistema diviene così articolato è difficile ipotizzare un controllo casuale della pressione acustica e quindi, di fatto, rende ridicola o quantomeno inattuale ogni pretesa ipotizzata da alcuni organi istituzionali di impegnare limitatori elettronici o digitali ad hoc, la cui posizione nella catena di amplificazione parrebbe, se non inutile, di difficile discriminazione. Di fatto i sistemi di sonorizzazione sono tutti dotati di processori che svolgono le funzioni assegnate dal progettista dell’impianto. Quindi lo scarto finale lo fa sempre l’uomo che, ponendo il dito sul gas, aumenta o diminuisce il livello omogeneamente, da qui la strana convivenza tra fonico e responsabile dei livelli acustici.

La conflittualità del rapporto tra tecnico e fonico dipende dal committente, e solo raramente dalle rispettive mogli, o dagli anni passati in un ritiro spirituale. Normalmente il rapporto diviene fiduciario se il committente informa e responsabilizza chiaramente le persone. Queste, in aderenza ai rispettivi ruoli e fissate alcune specifiche condizioni di comunicazione, esprimono la loro professionalità coniugando le diverse necessità. Il tecnico deve trovare le strade per una maggiore articolazione dell’espressione spettacolo, difendendolo quindi da condizioni che di fatto limitano o impediscono l’esecuzione. Ad esempio fissare un tempo di valutazione lungo tutto lo spettacolo permette di attuare momenti con maggiore pressione. Il fonico deve fare proprie le indicazioni fornite poiché rappresentano la strada fissata tra società e amministrazione. Il problema gestito in fase di progetto consente, se poi correttamente eseguito, di eliminare molti attriti durante la realizzazione.

Esemplare di un percorso perfettamente riuscito è, nella mia esperienza, l’allestimento dell’ultimo MU‑VI a Modena, con una fase progettuale ben sostenuta dal progettista dell’impianto Daniele Tramontani e condivisa con persone capaci e ben formate dell’amministrazione comunale. I controlli all’epoca effettuati consentirono la verifica delle ipotesi progettuali e il perfezionamento del modello migliorandone gli aspetti sperimentali inseriti nella realizzazione.

Su questo tema l’imprenditore dello spettacolo mostra la qualità. Troppo spesso la contrattazione del service scaturisce, infatti, solo da parametri di opportunismo, privi di condizionali reali di qualità. È infatti difficile di fronte a uno schiacciamento dei prezzi poi pretendere nel grande e nel piccolo attenzioni e/o procedure che, seppur di poco peso, gravando sui termini economici non vengono, di fatto, considerate.

Ciò avveniva fino a poco tempo fa solo nelle medie e piccole produzioni, ed era comprensibile che avvenisse, ma ultimamente anche nelle grandi produzioni si sono verificate smagliature incomprensibili. Non credo che sia interesse di nessuno dequalificare il settore, pertanto è necessaria la massima attenzione. I casi sono eclatanti. Ben lungi di rimanere un problema di sola pressione acustica e di autorizzazioni comunali, queste disattenzioni producono danni alla godibilità dello spettacolo.