NEK - Intervista esclusiva
Due chiacchiere con Filippo Neviani in occasione del suo European Tour 2019/2020: l'importanza dei professionisti in un tour internazionale e la voglia di rinnovarsi in ogni occasione.
di Giancarlo Messina
Filippo, da dove nasce l’idea di far produrre il tour a degli amici invece che direttamente all’agenzia?
Si tratta di quattro professionisti strutturati per svolgere questo compito e questa situazione all’agenzia non dà alcun fastidio, anzi, forse gli toglie una bega, perché affida direttamente a noi la produzione del tour. Abbiamo strutturato insieme la scaletta e poi, in base ai dettagli del disco e alle mie indicazioni dal punto di vista scenografico, loro hanno avuto carta bianca. Sotto il punto di vista musicale sono invece molto presente e seguo questo aspetto molto accuratamente.
Cosa è importante per te nel lavoro musicale per il tour?
È importante che dal palco venga fuori l’anima delle canzoni, non mi importa che il brano sia uguale al disco, sarebbe impossibile, perché facciamo musica live. Così insieme al fonico, Marco Monforte, lavoriamo proprio per far uscire questa emozione, al di là degli arrangiamenti, appositamente molto vari per creare più dinamismo nella scaletta dello show: qualcosa delle sonorità del passato si è modernizzata, mentre i brani moderni hanno qui un’impronta più live, con meno sequenze e più musica suonata. Lo scopo è che tutto il concerto risulti divertente per il pubblico. Anche la band e il direttore musicale, Emiliano Fantuzzi, sono ovviamente importatissimi per questo, anche perché si tratta di polistrumentisti, polivalenti in diverse circostanze. Io canto e suono la chitarra: ho proprio voluto iniziare e finire con “chitarra e voce”, lo considero un modo più intimo di stare col pubblico, che sembra gradire.
Lavori con due fonici al top sia in sala che sul palco, come Marco Monforte e Deddi Servadei: quanto è importante dal tuo punto di vista l’apporto di questi professionisti o quanto, alla fine, un tecnico vale l’altro?
Marco e Deddi lavorano con me da parecchio. Dal mio punto di vista sono importantissimi e l’idea di sostituirli sarebbe terrificante, sia per un legame affettivo personale, sia perché sanno esattamente cosa mi serve e ci capiamo al volo. C’è un rapporto che va oltre al professionismo: conoscono i miei limiti e valorizzano dall’inizio alla fine tutto lo show. Anche i backliner sono importanti: dopo tanti anni li conosco quasi tutti ma in questo tour ce ne sono due nuovi (Gherardo Tassi e Francesco Serpenti – ndr); con loro mi sono trovato subito bene e solo il pensiero di sostituirli già mi angoscia, perché si andrebbe ad alterare un equilibrio ormai raggiunto.
Filippo, sei sulle scene ormai da un bel po’ di tempo: come fa un artista a rinnovarsi senza snaturare la propria vena artistica?
È un aspetto molto complicato, soprattutto adesso che hanno preso il sopravvento dei generi piuttosto particolari, come ad esempio la trap. D’altra parte la longevità è la cosa più difficile per un artista! Io attraverso i miei collaboratori, i produttori, i musicisti... cerco sempre un confronto per cercare di non snaturare me stesso ma riuscendo comunque, con alterne fortune, a fare qualcosa di nuovo e rinnovare le mie sonorità. Sicuramente non mi interessa scimmiottare stili lontani da me, che non mi appartengono: mi sentirei fuori posto. Il mio obiettivo alla fine è sempre quello: emozionare il pubblico, perché la gente cerca l’emozione, che non è sempre facile riuscire a trasmettere. Per me, sinceramente, l’obiettivo in questa fase è tornare alla musica suonata, al fattore umano; mi piacerebbe che la musica elettronica rimanesse un contorno: cerco l’evoluzione senza la rivoluzione, vado a piccoli passi, ma con le idee chiare quello che voglio ottenere.