K‑array Technologies
Abbiamo avuto la possibilità di fare quattro chiacchiere con Daniele Mochi, di K‑array, a proposito delle tecnologie sviluppate ed utilizzate dalla rinomata azienda toscana per i suoi innovativi prodotti. Daniele si occupa principalmente di supporto, training e consulenza post-vendita sulla configurazione e sull’ottimizzazione delle installazioni di diffusori K‑array.
di Michele Viola
Abbiamo avuto la possibilità di fare quattro chiacchiere con Daniele Mochi, di K‑array, a proposito delle tecnologie sviluppate ed utilizzate dalla rinomata azienda toscana per i suoi innovativi prodotti. Daniele si occupa principalmente di supporto, training e consulenza post-vendita sulla configurazione e sull’ottimizzazione delle installazioni di diffusori K‑array. L’instancabile reparto ricerca e sviluppo di K‑array ha di recente investito in particolare sui prodotti della serie Concert – cioè KH2, KH3 e KH5 – e della serie Firenze – ovvero KH7 e KH8.
Tra le tecnologie utilizzate, un ruolo fondamentale è quello di SAT, che sta per Slim Array Technology: una tecnologia proprietaria, sviluppata direttamente dall’azienda toscana. Un’altra tecnologia fondamentale è quella chiamata Digital Steering, una tecnologia lanciata negli anni ‘90 che è stata reinterpretata nei prodotti K‑array, così da trasformarla in un significativo punto di forza sia della serie Concert, sia della serie Firenze. Proponiamo qui di seguito una breve introduzione a queste due tecnologie.
Slim Array Technology
SAT è la tecnologia che sta dietro lo sviluppo dei diffusori sottili (slim) che caratterizzano la produzione di K‑array fin dal loro primo prodotto, il diffusore KH4. Slim Array Technology caratterizza, per l’appunto, tutti quei diffusori che sono realizzati così sottili perché, a differenza della maggior parte degli altri diffusori acustici sul mercato, non utilizzano un box.
KH8, ad esempio, che monta 8000 W di amplificazione al suo interno, è profondo appena 20 cm. Lo stesso vale per KH7 e tutta la serie Concert: non usano un cabinet voluminoso, quindi sono particolarmente sottili.
Il volume ridotto, ovviamente, è una caratteristica che si nota immediatamente ed è la prima ad essere apprezzata da tutti coloro che si avvicinano i prodotti K‑array, per ovvi motivi: facilità di trasporto, facilità di montaggio, riduzione nei problemi di posizionamento, eccetera. In effetti, sei diffusori KH5 si trasportano con un singolo carrello, e con sei KH5 per parte, cioè con due carrelli in tutto, è possibile servire un’audience di oltre 10.000 persone.
Questo, però, è un piacevole effetto collaterale ma non è il vero motivo per cui i responsabili del marchio hanno deciso che poteva valere la pena spendere anni nello sviluppo di questa tecnologia. Il motivo principale è la ricerca della qualità sonora, che potenzialmente può superare quella ottenibile con il box tradizionale, sia in termini di copertura sia per quanto riguarda la performance acustica.
Il primo vantaggio riguarda la polare di dispersione che in bassa frequenza si presenta nel piano orizzontale come una figura di tipo ipercardioide. Il secondo vantaggio risiede nella miglior risposta all’impulso rispetto ad un diffusore che comprende un box, all’interno del quale le onde ‘risuonano’ prima di uscire all’esterno. Tali risonanze generano ovviamente un deterioramento nella risposta all’impulso e quindi una maggiore difficoltà nella riproduzione di transienti particolarmente veloci.
La direttività in bassa frequenza
Il punto di partenza dello studio di questa tecnologia è stato il dipolo. Una cassa estremamente sottile, aperta dietro, di base si comporta come un dipolo, ovvero emette la maggior parte dell’energia anteriormente e posteriormente e pochissima in direzione laterale rispetto al diffusore. Questo è quello che succede anche con un altoparlante in aria libera, si tratta di un fenomeno fisico ben noto.
Questo può essere un ottimo punto di partenza, perché non avendo praticamente emissioni in senso perpendicolare al diffusore si riduce sensibilmente la quantità di energia inviata verso il palco, cioè verso i microfoni, e verso le pareti laterali.
Il problema di una configurazione a dipolo è il rischio di un’emissione posteriore troppo elevata. Prima di tutto, infatti, l’energia emessa posteriormente è quantomeno inutile; inoltre le onde acustiche emesse anteriormente e posteriormente sono tra loro in controfase, quindi si perde un sacco di efficienza in bassa frequenza, per le onde abbastanza lunghe da riuscire a scavalcare agevolmente l’altoparlante.
Sul retro dei diffusori K‑array è stato montato un pannello in materiale acusticamente assorbente, con effetto resistivo, inoltre è stato costruito un percorso obbligato per le onde acustiche emesse posteriormente in modo tale che la combinazione tra questa sorta di guida e il pannello riduca sensibilmente l’emissione posteriore, senza influire sulla riduzione di emissione lungo l’asse perpendicolare. In questo modo, l’emissione posteriore in bassa/bassissima frequenza (ovvero intorno ai 100 Hz) di un cluster di KH8 è comunque inferiore a quella di un line-array tradizionale, che è praticamente omnidirezionale.
La risposta all’impulso
Un altro vantaggio significativo offerto dalla tecnologia SAT rispetto ai line-array tradizionali è, come già accennato sopra, una migliore risposta all’impulso. Riproducendo un transiente molto veloce con un trasduttore caricato da un box voluminoso, le onde sonore tendono a risuonare all’interno del box, impiegando un certo tempo prima di smorzarsi completamente, per cui la risposta all’impulso viene prolungata nel tempo. Si parla di tempi molto brevi, ma più che sufficienti per deteriorare i transienti particolarmente veloci, per esempio l’attacco di un rullante.
In un diffusore come quelli prodotti da K‑array questo problema non c’è, perché il suono non ha nessun box in cui risuonare.
Il vantaggio nell’avere un box voluminoso è che è più facile ottenere un’efficienza relativamente elevata in bassa frequenza, dato che le onde emesse posteriormente dai trasduttori vengono re-indirizzate in avanti (in fase, se tutto va bene). Questo incremento di efficienza, per altro, è ottimale solo alla frequenza di accordo del bass-reflex, mentre le frequenze adiacenti non potranno essere perfettamente in fase. Per compensare la minore efficienza della configurazione dovuta alla mancanza del cabinet, K‑array ha dovuto utilizzare trasduttori molto efficienti e un sistema di amplificazione ottimale, oltre ad ottimizzare le perdite in modo tale da recuperare, più possibile, l’energia persa. Aggiungendo i vantaggi portati dall’utilizzo del digital steering, descritti in seguito, i progettisti di K‑array sono riusciti ad ottenere un sistema di dimensioni particolarmente ridotte con un’efficienza che è superiore a quella di un sistema tradizionale.
Digital Steering
Quando in un dato ambiente sono presenti diverse sorgenti che condividono lo stesso segnale, l’intensità della pressione sonora in ciascun punto dipende dalla combinazione dei segnali provenienti da ciascuna sorgente. Questa combinazione, a sua volta, dipende dall’ampiezza e dalla fase relativa di ciascun segnale che raggiunge quel punto, provenendo da ciascuna sorgente.
Con un line-array, cioè con una serie di sorgenti disposte in colonna, sarà quindi possibile modificare la pressione sonora complessiva in ciascun punto dello spazio circostante variando l’ampiezza e la fase del segnale prodotto da ciascun altoparlante, modificando i punti dello spazio in cui le onde si sommano in fase e quelli in cui le onde si sommano in controfase. Questo, in poche parole, è il digital steering.
Nell’applicazione di questa tecnologia ci sono due difficoltà sostanziali da affrontare: prima di tutto, nello spazio ci sono infiniti punti; inoltre, questo fenomeno è fortemente dipendente dalla frequenza, quindi in ciascun punto dello spazio lo sfasamento relativo tra i diversi contributi risulterà variabile con la frequenza.
In linea di principio l’approccio a questa tecnologia è quindi abbastanza intuitivo, ma utilizzarla per riuscire a dare all’utente il controllo del fascio sonoro nello spazio e nel range di frequenze di interesse è una sfida tutt’altro che semplice.
Per capire come si è arrivati a questo risultato si possono analizzare un paio di esempi di applicazione tradizionale del digital steering, cioè di come questa tecnologia era applicata già negli anni ‘90, quando uscirono le prime colonne con la possibilità di orientare digitalmente il fascio sonoro.
La curvatura virtuale
Un’idea può essere quella di installare la colonna verticale e realizzare poi la curvatura per muovere il fascio sonoro verso l’alto o verso il basso tramite delle elaborazioni digitali. Il modo più semplice – e anche di gran lunga il più utilizzato – per realizzare questa curvatura virtuale è quello di utilizzare dei delay. Inserire un ritardo nel segnale inviato ad un trasduttore corrisponde a spostarlo virtualmente all’indietro. È così possibile modificare virtualmente la forma dell’array in modo, ad esempio, da orientare il fascio sonoro verso il basso. Il software normalmente a corredo con il sistema di amplificazione calcola i singoli delay in base alla forma che si vuole assegnare al fascio sonoro.
L’uniformità in frequenza
In un line-array verticale, il fascio sonoro si stringe sul piano verticale all’aumentare della frequenza. Questo comportamento può risultare a volte sgradito, cioè potrebbe essere desiderabile avere più o meno lo stesso angolo di copertura verticale a tutte le frequenze. Un modo per ottenere questo risultato è quello di utilizzare dei filtri passa-basso, con le frequenze di taglio che diminuiscono allontanandosi dal diffusore centrale dell’array: all’aumentare della frequenza, i diffusori più esterni vengono via via ‘esclusi’ e l’array si fa via via virtualmente più piccolo, tendendo sempre più ad assomigliare ad una sorgente puntiforme, per sua natura meno direttiva. In questo modo, impostando correttamente le frequenze di taglio dei filtri sui singoli diffusori, si può uniformare in frequenza l’emissione verticale dell’array.
Questi sono due esempi relativamente semplici di digital steering, e sono i due modi in cui tuttora viene per lo più utilizzata questa tecnologia.
K‑array ha invece elaborato una terza via.
Concentrandoci, per fissare le idee, sul primo dei due metodi, quello che utilizza i ritardi per spostare virtualmente all’indietro alcuni diffusori, il problema è che in termini di fase il ritardo introdotto dipende dalla frequenza. Anche la copertura sul piano verticale, come abbiamo visto, varia con la frequenza, per cui, volendo concentrare il fascio sonoro su una data area d’ascolto, non è possibile ottenere il risultato agendo allo stesso modo a tutte le frequenze: occorre ottimizzare la copertura frequenza per frequenza.
Questo è possibile farlo utilizzando i filtri FIR, che possono essere aggiustati in modo da regolare esattamente la fase e l’ampiezza del segnale anche frequenza per frequenza con una risoluzione pari, in pratica, al numero di coefficienti del filtro, numero che può essere particolarmente elevato.
Il software EASE Focus
Il software, sviluppato da K‑array in collaborazione con la tedesca AFMG, inserendo le caratteristiche dell’impianto, un disegno dell’area d’ascolto ed un obiettivo di copertura acustica, è in grado di calcolare i coefficienti dei filtri adatti all’ottimizzazione digitale desiderata.
Una delle caratteristiche più interessanti del software è quella delle opzioni target: è possibile, ad esempio, generare una serie di coefficienti per l’elaborazione DSP adatta per la massima uniformità spaziale, oppure per la risposta in frequenza massimamente piatta, oppure per limitare la quantità di energia emessa verso una superficie riflettente particolarmente fastidiosa, oppure per limitare l’energia verso il palco, oppure per una data combinazione di queste. Si tratta di definire delle priorità e di trovare il miglior compromesso, come al solito.
Il software calcola un primo set di coefficienti per tutti i filtri FIR a disposizione ed esegue una simulazione, controllando se il risultato richiesto è stato ottenuto. Ad esempio, se si cerca di ottenere la massima uniformità, il software verificherà che i livelli ottenuti in sede di simulazione non differiscano eccessivamente tra loro. Probabilmente al primo tentativo il risultato ottenuto non sarà il migliore possibile, quindi il software modificherà i coefficienti che ha a disposizione per un’ulteriore ottimizzazione. Si tratta quindi di un processo iterativo, ripetuto fino a quando il risultato non risulti il migliore possibile. A quel punto, il software fornisce all’utente i coefficienti dei filtri da inserire nei diffusori. Con KH8 e KH7 il software di calcolo è in grado di caricare direttamente i coefficienti nel software di controllo dei diffusori, è sufficiente tenere aperti entrambi i software nello stesso computer.
KH5, ad esempio, implementa due filtri FIR da 400 coefficienti per ciascun diffusore. Con tre diffusori per parte ci sono 2400 coefficienti per ciascun array, cioè 4800 numeri da regolare per ottenere il risultato desiderato in termini di distribuzione dell’energia sonora e di risposta in frequenza.
Per il momento, il digital steering si applica alle frequenze medie e medio-alte, quindi non ai subwoofer. Applicarlo alle frequenze basse non è necessario e, almeno per ora, risulterebbe in un dispendio esagerato in termini di potenza di calcolo. Per controllare bene le bassissime frequenze con questa tecnologia bisognerebbe utilizzare filtri FIR molto lunghi, ben più dei 400 tap del KH5. Questo significherebbe DSP molto più potenti, mentre la precisione del puntamento dipenderebbe comunque dal numero di elementi che compongono il cluster. Il software EASE Focus presenta comunque delle funzioni estremamente avanzate per il controllo degli array di sub, permettendo di calcolare semplicemente i delay per realizzare con precisione una configurazione ad arco virtuale o per una configurazione cardioide, inserendo il risultato nelle simulazioni.
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