Franco Comanducci
Dalla profonda campagna toscana al grandioso tour negli stadi di Ligabue.
di Giancarlo Messina
Aspetto da boxeur, accento toscano, atteggiamento bonario ma sempre molto attento a quello che gli accade intorno. Franco Comanducci, da diversi anni, è un personaggio impiegato in vari ruoli in molte produzioni di alto livello, fino all’ultimo tour di Luciano Ligabue, prodotto da Riservarossa, per cui ha curato ogni aspetto dell’organizzazione tecnica aggiungendo un personale apporto creativo.
Lo incontriamo non casualmente allo stadio di Bologna, lo costringiamo a spegnere il telefonino e lo trasciniamo dietro il palco per una chiacchierata: vogliamo conoscere meglio il suo percorso professionale e qualche suo pensiero sul mondo dei concerti live.
Come sei entrato nel mondo dello spettacolo?
Ho iniziato a metà degli anni ’80 lavorando per i piccoli service, nelle feste paesane. Facevo un po’ di tutto: guidavo il camion, scaricavo e caricavo, facevo il fonico di palco, veramente di tutto. Poi, una volta imparati i rudimenti del mestiere, mi sono buttato nella mischia dei gruppi rock che cantavano in italiano; era l’epoca di Litfiba, dei CCCP e dei Denovo, gruppo catanese di cui sono diventato il fonico.
Insomma ho mosso i primi passi proprio dal mio paese, e dicendovi di dove sono vi svelo anche chi è stato il mio primo cliente: vengo dalla profonda campagna Toscana, per essere precisi da Laterina, e il mio primo cliente in assoluto abitava dall’altra parte del fiume a Ponticino e si chiama Enzo Ghinazzi, in arte Pupo! Perché anche lui, come me, ne ha fatta di gavetta! Questo per dirvi che ho cominciato proprio dal basso, direi quasi da sotto terra. Poi, appunto, dalle feste di piazza ai Denovo, ho avuto l’onore di lavorare, sempre come fonico, con il Maestro Carosone per una lunga stagione teatrale, e questa esperienza mi aiutò davvero tantissimo.
Conobbi in quegli anni Willy Gubellini e cominciai a lavorare con lui nell’89 per il tour di Zucchero “Oro Incenso E Birra”. Le condizioni di lavoro erano molto dure e per poter continuare ci voleva davvero una grande passione, perché senza quella chiunque avrebbe lasciato perdere. Nel frattempo ero diventato anche tour manager dei Denovo, una sorta di “one man-band”, ed avuto modo di incontrare e conoscere Claudio Trotta, che all’epoca curava la produzione di “El Diablo”, il primo tour nei palazzetti dei Litfiba. Mi ha chiesto di fare il direttore di produzione, e così ho cominciato ad avere nuove prospettive. Infatti l’allestimento di questo palco era realizzato dalla Kono, di Enrico Rovelli, in cui lavorava Paul Jeffery, il quale mi ha portato a lavorare con loro, nell’imminente tour estivo di Vasco Rossi, nel ’91, sole cinque date. Per l’occasione non mi occupavo della struttura, ma dell’allestimento scenico: moquette, teli, pedane, rampe, scale, scalette, ecc. Allora si cercava di fare tutto con poco, e ci si doveva pure riuscire in qualche modo.
Ho così continuato negli anni ’90 facendo sempre meno il fonico e lavorando per vari promoter e produttori come promoter rep e direttore di produzione nei piccoli e medi tour italiani.
Promoter rep? Cioè il responsabile del promoter per i gruppi esteri?
Sì, il “promoter rep” è quella figura che spesso erroneamente viene chiamata “direttore di produzione”, negli spettacoli italiani di produzioni straniere. Il direttore di produzione in quei casi ovviamente non sei tu, perchè sei il responsabile del promoter e organizzi tutti i servizi locali.
Ok, eravamo rimasti agli anni Novanta…
Sì, lavoravo per vari promoter, mai legato da accordi esclusivi e continuativi. Nel frattempo cominciava la stagione dei festival italiani, così ho collaborato ininterrottamente ad Arezzo Wave dall’87 al 2002, occupandomi proprio di tutto: palco, audio, luci, band ecc, e poi Sonoria dal ‘94 al ‘96 cominciando quindi ad avere molti rapporti con i service italiani.
Ho collaborato splendidamente per nove anni anche con “Elio e le storie tese”. Nel ’93 ho fatto ancora un tour di Vasco, “Gli Spari Sopra”, e qui ho cominciato a lavorare sul palcoscenico, alle strette dipendenze di Paul. Successivamente quando Paul ormai non lavorava più per la Kono, iniziammo a fare dei lavori insieme: avevamo una certa credibilità, ognuno nel proprio campo specifico, sia per quanto riguarda l’aspetto tecnico sia nella gestione, nella progettualità ed anche nella creatività. Non avevamo materiali nostri, così li affittavamo dalle altre aziende o collaboravamo con loro. Pian piano, inevitabilmente, abbiamo scelto di renderci autonomi ed abbiamo cominciato a comprare del materiale, fino ad arrivare al 2000, anno in cui abbiamo fondato “La Diligenza”, mettendoci sul mercato dei tour e degli allestimenti, facendo soprattutto un lavoro di nicchia, con strutture custom e progetti dedicati.
Da diverso tempo lavori con Luciano Ligabue, quando è cominciato questo impegno?
Ho fatto il primo tour con Luciano nel 2002, occupandomi del palco, da allora ininterrottamente, per fornitura e progetto, entrando sempre più in sintonia con manager e artista, finché nel 2007 sono stato incaricato di curare tutta la produzione, sia in fase progettuale che operativa.
Oggi hai un ruolo importante in questo ambiente: quanto ritieni utile tutta la gavetta fatta come fonico piuttosto che come facchino, autista, palchista, eccetera?
Beh, innanzitutto mi permette di potermi confrontare avendo le basi per poter capire, conoscere, parlare con cognizione di causa di tutti i vari aspetti. Mi sono mosso sempre all’interno di questo mondo, ricoprendo ruoli differenti, così ho acquisito un metodo di approccio e di lavoro con il quale metto insieme i pezzi.
Ormai sono tanti anni che fai questo mestiere, come lo hai visto cambiare dagli anni ’80 ad oggi?
Beh, oggi è certamente molto più leggero, ci sono molte più comodità e molte persone in più ad aiutarti. Ciò non significa che sia facile, i risultati richiesti sono maggiori, richiede tanto tempo, fatica e dedizione, ma di certo non è così duro come lo era negli anni ’80. È cambiato l’atteggiamento delle nuove leve, meno propense a prendersi responsabilità. Probabilmente perché questo mestiere comporta numerose rinunce e sacrifici. Io cerco di invogliarli e buttarli in mezzo, quando posso, ma devo ammettere che non vedo un vero e proprio ricambio generazionale, anche se prima o poi ci sarà.
Se non avessi fatto questo mestiere, cosa avresti fatto?
Guarda, la molla che mi ha spinto inizialmente a fare quello che faccio non è stato tanto l’amore per la musica, quanto la voglia di viaggiare, muovermi e vedere cose nuove. Quella che volevo era un’opportunità per uscire da un piccolo paese di campagna e andare in giro. Se avessi potuto scegliere qualcos’altro... non lo so, volevo muovermi in un modo o nell’altro, forse avrei potuto vendere pacchetti viaggi. Però posso dirti cosa vorrei fare ora: mi piacerebbe lavorare solo sulla qualità, meno ma meglio.
In quest’ultimo tour di Liga siete riusciti davvero a mettere in piedi non solo un grande spettacolo, ma anche una grande squadra...
È soprattutto l’essere riuscito a lavorare assieme a persone competenti, dei veri professionisti insomma, che ci ha permesso di realizzare tutto questo. Abbiamo fatto come quando avevamo pochi materiali e dovevamo fare tutto il possibile con quello che si aveva in mano, ottimizzando le risorse. Credo che nello spettacolo sia utile avere più teste e buone idee, l’importante è che siano pochi quelli che poi prendono le decisioni. Insomma, più persone che propongono e lavorano, e poche che filtrano, decidono e si prendono la responsabilità di cosa si fa e cosa no.
Un tuo stretto collaboratore, di cui non faccio il nome ma se vuoi solo il cognome, sostiene che con l’età stai diventando estremamente pignolo. È vero?
Noi creiamo qualcosa da vedere. Come i fonici si occupano di qualcosa che si deve sentire, a noi spetta ciò che si vede. D’altra parte si dice che si va “a vedere” un concerto, non che si va “ad ascoltare” un concerto. Quindi, in sostanza… ammetto di essere pignolo e meticoloso. Mi piace vedere le cose belle e in ordine e che tutto funzioni bene.
Nel rapporto con gli artisti, qual è secondo te il giusto compromesso tra il sostenere le proprie idee, anche in contrasto con quelle del capo, e assecondarlo in tutto e per tutto anche quando non si è troppo convinti?
Gli artisti, come tutti, amano portare le cose dalla propria parte, ma davanti ad altri decisi e sicuri di ciò che propongono, ma che lasciano ovviamente a loro l’ultima parola, diventano più propensi ad ascoltare meglio e valutare altri punti di vista.
Durante il mega evento di Campovolo tu curavi le strutture: dacci un tuo commento su quello che è stato per te questo concerto.
Ritengo che sia stata un’esperienza grandiosa. Cioè, 170.000 persone su un terreno piatto, senza nessuna struttura in elevazione...sono tantissime, è stata davvero una grande esperienza. Per quello che riguarda il nostro lavoro, cioè le strutture, fummo molto soddisfatti di quanto fatto. Quell’evento fu per certi aspetti un azzardo, i quattro palchi… la gestione di tutte quelle persone. Ci furono delle cose bellissime, ma anche alcuni errori. Credo che da quel tipo di esperienza bisogna trarre insegnamento, soprattutto nella gestione del pubblico, buona parte delle polemiche venute fuori dipesero proprio da uno sbilanciamento del posizionamento del pubblico. Fu comunque un’esperienza veramente gioiosa, una cosa davvero bellissima.
Arriva come ultima domanda il nostro tormentone: qual è il tuo sogno nel cassetto?
Il mio sogno, a livello professionale, è quello di realizzare altre produzioni dello stesso livello di quest’ultima di Luciano. Ecco: una produzione all’anno di questo livello, così ben studiata, pensata e con la squadra giusta, il resto vacanze... un sogno appunto!
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