Ferdinando Salzano
Imprenditore, produttore e manager ai massimi livelli, nell’ambito dei concerti e delle produzioni televisive.
di Giancarlo Messina
Chi vive nel mondo dello showbiz conosce certamente Ferdinando Salzano, imprenditore, produttore e manager ai massimi livelli, nell’ambito dei concerti e delle produzioni televisive.
Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo svariate volte ed abbiamo sempre avuto di lui l’immagine di un uomo estremamente intuitivo, diretto, capace di andare subito al sodo ed al nocciolo delle questioni; con una gran passione per il proprio lavoro ma anche particolarmente scaltro nel destreggiarsi fra le mille insidie di un mondo che egli conosce benissimo, avendo cominciato a frequentarlo da giovanissimo.
Questa volta non lo intervistiamo nel backstage di uno dei suoi tour, come al solito, ma lo andiamo a trovare nel suo ufficio di Milano, città in cui ha sede la sua azienda, la F&P Group.
Ferdinando, come hai cominciato a frequentare questo mondo?
Ero molto giovane, ed allora, parliamo degli anni ’70, facevo parte di uno di quei classici gruppi extraparlamentari di sinistra che spesso organizzavano concerti per la pace o a fini politici. A dire il vero un percorso piuttosto comune a molti miei colleghi. Io curavo il servizio d’ordine, anche se gli introiti che arrivavano da questo lavoro non finivano nelle nostre tasche ma andavano ad aiutare il movimento studentesco... parliamo del 76/77.
Poi, a 21 anni, mentre frequentavo l’università, ho aperto la mia prima società che si occupava di fornire alcuni servizi per le varie agenzie dell’epoca: servizio d’ordine, facchinaggio, organizzazione locale... Era una società che funzionava molto molto bene, la prima organizzata per offrire questi servizi in modo professionale, tanto che, con soli quattro dipendenti, già fatturavamo 3 miliardi di Lire di allora, lavorando per tutte le tournée straniere e per i più grossi concerti degli anni ‘80. Questo è stato il mio passaporto per il mondo dello showbiz.
Poi l’incontro con un altro importante manager ed impresario, Maurizio Salvadori...
Sì, ho conosciuto Maurizio in occasione del Nuovo Cantagiro di cui ero co-produttore per RAI2 e quasi subito sono entrato in società con lui in Trident, una classica società di impresariato ai tempi già di successo. Al mio ingresso, nel 1991, avevo 27 anni, ho cominciato ad occuparmi di produzioni, anche televisive. Qui ho cominciato a fare il mestiere dell’impresario nel senso più classico. Eravamo 3 soci: io, Maurizio e Riccardo Benigni che poi si è separato da noi per diventare manager di Ramazzotti. Così io e Maurizio siamo rimasti insieme fino al 2001: sono stati anni meravigliosi, ricordo in particolare il concerto di Michael Jackson nel ’94, poi il bel progetto del trio “Pino Daniele, Jovanotti e Ramazzotti”, fino allo sviluppo di programmi televisivi di successo come Night Express e Superclassifica Show per Italia1. A questo punto la società non si occupava solo dei concerti, ma anche di televisione e del reperimento degli sponsor, insomma un po’ quello che faccio ancora adesso.
Poi l’arrivo degli americani e la tua “fuga”...
Dopo dieci anni di società con Maurizio, nel 2000 gli americani di Clear Channel Entertainment proposero l’acquisto della Trident e della principale concorrente, la Milano Concerti di Roberto De Luca. Diciamo che io ho preferito uscire mezz’ora prima, nel giugno del 2001, senza aspettare l’accordo, ratificato poi in settembre. Quindi sono stato liquidato delle mie quote e di tutte le proprietà (perché all’epoca avevamo anche il Propaganda, da cui, ad esempio, avevo prodotto circa 800 puntate di Night Express) e nel luglio del 2001 ho costituito da solo la Friends & Partners, mettendo a frutto tutto quello che avevo imparato e sviluppato per oltre 10 anni in Trident. In effetti ho proseguito nello sviluppare una grande agenzia con l’obiettivo di organizzare e produrre tour di grandi artisti italiani, eventi per le aziende e produzioni televisive, con programmi importanti come il lancio di LA7 con Fabio Fazio o “L’ottavo nano” su RAI 2. A quel punto molti che lavoravano in Trident mi hanno seguito, e la stessa cosa è successa con alcuni artisti.
E arriva anche un personaggio del calibro di Ligabue!
Sì, nel 2002 Luciano diventa nostro compagno di viaggio, dando un nuovo impulso alla Friends & Partners. Abbiamo anche creato una Joint Venture con la Barley Arts di Trotta, due anni estremamente sereni e felici, dopo i quali ognuno ha scelto di proseguire per la propria strada.
Anche gli eventi promozionali con le aziende, come Cornetto, Unilever, Vodafon, mi hanno dato negli anni appena successivi molte soddisfazioni.
Ma al secondo attacco degli americani...
Nel 2004 la Clear Channel Entertainment è venuta a bussare alla mia porta: in effetti avveniva esattamente quello che avevo sperato succedesse. Nel 2001 non avevo venduto perché a 38 anni il denaro non era la molla principale, contava di più la voglia di affermazione e di autodeterminazione della mia professionalità, ma nel 2004 le cose erano cambiate e decisi di vendere. Nel frattempo Maurizio Salvadori era uscito ma De Luca era andato avanti con grande successo con la Clear Channel Italia.
In effetti, dal 2004 al 2008, ho continuato a fare quello che avevo sempre fatto e con risultati piuttosto felici: nel 2004, quando è stata acquistata, la F&P fatturava 13 milioni di euro, alla fine dei quattro anni “di mandato” ne fatturava 43...
Caspita! Un risultato importante... quale la chiave del successo?
In effetti Friends&Partners non è mai stata inglobata, si è trattato di un semplice acquisto di quote ed io, al contrario di quanto sostenesse qualche mala lingua, non ero diventato un “dipendente di un gruppo americano” che non contava più niente perché “c’erano gli americani”.
Infatti, nei quattro anni Clear Channel, i miei dipendenti non hanno mai visto nel nostro ufficio un americano!
Questo è un mestiere che ancora viene fatto assolutamente ad personam: per gli artisti italiani, tu poi avere tutte le multinazionali che vuoi alle spalle, ma quando l’artista o chi per lui firma con te, firma con il tuo staff: è fondamentale il rapporto personale di fiducia con il suo manager, il suo avvocato.
Ma anche l’esperienza Clear Channel era a tempo...
Dopo quattro anni bellissimi con l’ex Clear Channel, diventata nel frattempo Live Nation, ho deciso per altre vie. Volevo sempre avere alle spalle un grosso gruppo, per avere una certa solidità e sicurezza sul mercato, e volevo anche tornare in possesso di quote azionarie. Così, fra diverse proposte, ho trovato l’accordo con il gruppo Warner che ha accettato di lasciarmi una quota rilevante della nuova azienda. Quindi la nuova società, F&P Group, è mia per il 40% e della Warner per il restante 60%. Sono così tornato ad essere un imprenditore, cosa che non mi dispiace affatto, a maggior ragione in una società che fa questi numeri.
Come ci hai già spiegato altre volte, il tuo lavoro non è comunque cambiato!
Infatti, io ho continuato esattamente come prima, in totale autonomia sulle mie scelte, quindi non sono affatto una costola della Warner Italia. L’unica forma di controllo del Gruppo è quella di tipo amministrativo, e sono ben felice che ci sia, perché rappresenta una garanzia anche per i miei 42 dipendenti e le loro famiglie.
Dall’inizio ad oggi, com’è cambiato il tuo lavoro?
Ogni giorno occorre lottare perché questo mestiere non perda la sua anima: dietro al business deve rimanere il rapporto di stima e fiducia con l’artista, è un lavoro “artigianale” che non può essere spersonalizzato. Quello che nel tempo è certamente cambiato è la centralità della casa discografica: oggi chi produce i concerti ha un ruolo importante e strategico al pari della casa discografica ed ha una responsabilità importante nella carriera di un artista. Una volta una tournée sbagliata si sistemava dopo un po’ con un buon disco, mentre oggi il tour è diventato importante almeno quanto il disco se non di più. Occorre stare attenti.
Pensi che la crisi del disco abbia dato un valore maggiore all’agenzia, magari attribuendole nuove mansioni?
Sì, è assolutamente vero. Ed è anche cambiato il modo di fare il nostro mestiere. Tutta la parte “marketing” e promozionale, per esempio, veniva gestita dalla casa discografica, noi ne beneficiavamo, come sanguisughe, ed attaccavamo solo qualche manifesto. Oggi io ho tre persone dedicate alla promozione radiofonica, altre tre dedicate al ticketing, una persona dedicata esclusivamente alle pianificazioni pubblicitarie – cioè investimenti importanti su radio, stampa e TV – due ex‑discografici che oltre a curare e mantenere i rapporti con gli artisti sviluppano le attività di marketing collaterali al live.
Prima, di tutto questo, non c’era assolutamente nulla: la necessità di professionalità è aumentata come richiesta del mercato, e noi dobbiamo rispondere ad essa. Strategicamente l’agenzia è diventata molto più importante per l’artista.
È indispensabile una tournée “importante” e ricca? Aggiunge valore all’artista?
Iniziamo col dire che ogni artista, nel momento in cui se lo può permettere, deve poter spendere i soldi degli incassi come meglio crede. Detto questo, personalmente credo che il pubblico dei concerti ormai si aspetti una bella produzione, e non è bello deluderlo. Quanto questo sia poi determinante nella crescita dell’artista rispetto al valore della sua proposta musicale... sinceramente sono due elementi fondamentali, ma credo che la proposta musicale rimanga il primo elemento di “responsabilità” che un Artista ha verso il proprio pubblico.
So per certo che il pubblico del rock si aspetta sempre di vedere qualcosa di straordinario quando va a un concerto.
Ma ormai il primo a mettere le mani in tasca è l’artista stesso, dimostrando grande rispetto per il suo pubblico: i conti non sono mai matematici, sono finiti i tempi in cui gli accordi con gli artisti erano fatti su un pezzetto di carta e sulla base di conti ipotetici. Qui, non solamente da noi ma in tutte le agenzie, il reparto budget è una macchina da guerra: una volta l’artista veniva pagato un fisso e poi non doveva più sapere niente dell’andamento del tour, oggi invece è tutto condiviso, i conti sono trasparenti e fatti insieme, le scelte sul budget della produzione vengono fatti su conti chiari. Insomma anche nel mondo dei concerti 1 + 1 = 2, e quando comincia a risultare che 1 + 1 non è più 2... beh, abbiamo visto i risultati con fallimenti anche tra le organizzazioni più grandi del nostro paese.
Quindi quell’asta un po’ squallida a chi offre di più è sempre meno in voga?
È difficile che con gli artisti con cui ho un rapporto ormai consolidato si pervenga ad un’asta. L’artista sa che i soldi si trovano qui come si trovano da un’altra parte: si decide insieme come spenderli e quanto l’artista può guadagnare. Insomma è diventato un rapporto di stima e di fiducia nel servizio che noi offriamo: proprio perché sbagliare una tournée può compromettere interi anni di lavoro, diventa importante per l’artista scegliere bene il suo interlocutore... chiunque sia, ma occorre che lo scelga bene.
Non a caso, una volta il costo determinante del tour era la quota dell’artista: oggi il suo cachet è il risultato finale di tutti i passaggi necessari per arrivare al successo del tour, perché gli artisti hanno raggiunto un grado tale di conoscenza del mestiere che gli consente di capire molto bene come agire ed il meccanismo economico.
Siamo in recessione: come vedi il modo del live?
Il mercato live non è malmesso come la discografia, ma non è neanche un mercato in grande crescita. In questo momento il rischio maggiore è la saturazione, anche perché, fino a non molto tempo fa, ogni artista faceva passare almeno due anni prima di andare in tour, adesso si va in tour ogni stagione, o al massimo si sta fermi un anno.
Qual è il segreto del successo nel tuo lavoro?
Bisogna restare consci del fatto che la creazione artistica è sempre dell’artista: punto. Chi fa il mio mestiere deve tener presente che il sole è uno e che il resto sono solo satelliti, e i satelliti siamo noi. Nel momento in cui ti dimentichi di questo, è il momento in cui il tuo ego ti fa fare degli errori, come non di rado è capitato. La nostra soddisfazione resta nell’organizzare un’emozione unica e non duplicabile, che avviene e si consuma in una sola serata: secondo me è lì il brivido, la droga che ti fa lavorare 20 ore al giorno!
Il sogno nel cassetto di chi ha già avuto così grandi successi?
Riuscire ad organizzare l’evento musicale più grande mai fatto in Italia; questo in effetti l’abbiamo già fatto con Ligabue, con il record di oltre 160.000 biglietti staccati in un solo giorno, ma il sogno è di superare le 250.000 presenze: vedere una massa di gente pagante contenta, felice e gioiosa che vive un grandissimo happening con diversi artisti pop/rock.