Diodi LED - sesta parte

E venne il giorno in cui diodo disse: “che luce sia”. E luce fu emessa.

di Aldo Visentin

Sicuramente nessuno dei lettori di S&L avrà sentito la mia mancanza nel numero precedente che per cattiva consuetudine normalmente salto a causa degli “annual-ricorsivi” impegni di lavoro del periodo pre-natalizio.
Come promesso nell’ultimo mio articolo, proveremo ad affrontare le tematiche relative alle ottiche impiegate per le sorgenti a LED.

In linea generale gli aspetti ottici legati alle sorgenti a LED presentano vantaggi e svantaggi rispetto ad altri tipi di sorgenti luminose; vi sono infatti fattori che incidono positivamente e altri negativamente.
In via di prima approssimazione, possiamo dire che se da un lato le sorgenti puntiformi (lampade a scarica, ad esempio) si prestano ad una maggiore manipolabilità del flusso generato, attraverso lenti ottiche e riflettori, dall’altro sono otticamente meno efficienti rispetto ai LED, nel senso che il “costo” di tale manipolabilità di flusso risulta relativamente più alto a causa di maggiori perdite.

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Viceversa, il tallone d’Achille delle sorgenti a LED sembra essere dettato dal fatto che spesso tali sorgenti non sono propriamente puntiformi, quindi l’organizzazione e l’ottimizzazione del diagramma di flusso possono risultare più ostiche. Tra l’altro, una serie di fattori quali i diversi materiali, il tipo di cristalli formati dagli atomi dei semiconduttori che costituiscono la giunzione P‑N e la struttura e forma stessa della giunzione possono determinare direzioni preferenziali di emissione dei fotoni.
A tal proposito, infatti, in molti casi viene collocato un substrato di materiale riflettente sotto la giunzione stessa, in modo da ottenere un solido fotometrico (cioè una distribuzione del flusso luminoso generato) che occupi in maniera omogenea l’emisfero dello spazio attorno al LED.

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Per tale motivo i LED vengono prodotti già muniti di una capsula di protezione, che ha anche un’importante funzione di lente.
Spesso è necessario modificare ulteriormente la forma del solido fotometrico uscente dal diodo (cioè la forma che avrà il fascio del proiettore), applicando ulteriori ottiche all’apparecchio che contiene i LED.
Le ottiche montate direttamente sul diodo vengono chiamate ottiche primarie, mentre le ottiche che vengono montate al di sopra di quelle primarie prendono il nome di ottiche secondarie. Queste ultime sono specificatamente disegnate per assolvere a varie “missioni” di modellazione della luce emessa, a seconda della tipologia di LED.
L’applicazione, perciò, di un’ottica primaria direttamente sulla sorgente consente un “rendimento ottico” relativamente più alto rispetto alle sorgenti luminose a scarica dove parte delle componenti dell’emissione complessiva non possono essere gestite (e quindi vengono perse).
Viceversa, l’ottica primaria consente di direzionare tutto il flusso emesso dalla sorgente LED già in via preventiva aldilà delle caratteristiche ottiche specifiche che eventualmente si desiderano ottenere nei diversi proiettori attraverso le ottiche secondarie.
Tutto ciò avviene in maniera meno efficiente (quindi con un rendimento relativamente più basso) nel caso di apparecchi che impiegano lampade a scarica che per loro natura avendo un’emissione omnidirezionale del flusso luminoso, generano componenti dell’emissione stessa che non sono riflesse dal riflettore ottico, con conseguente perdita dell’efficienza complessiva dell’apparecchio.

Esistono tre tipi di ottiche primarie che conformano il flusso luminoso d’emissione dei LED in altrettanti modi diversi:

  • emissione ad angolo ampio e distribuito detta Lambertiana;
  • emissione laterale in cui il fascio è concentrato ai lati;
  • emissione Batwing (ala di pipistrello) in cui l’emissione è concentrata ad un angolo intermedio.

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Come già detto, la scelta dell’ottica primaria è funzione di quello che poi sarà l’obiettivo e le caratteristiche di flusso che si vogliono ottenere attraverso l’ottica secondaria.

Le ottiche secondarie sono tutte quelle componenti aggiuntive che sono aggregate al LED e che integrano il funzionamento delle ottiche primarie. L’ottica secondaria deve essere progettata tenendo conto perciò delle caratteristiche emissive di quella primaria. In particolare si considera l’estensione apparente, cioè l’estensione effettivamente “vista” del chip o del multichip. L’estensione apparente può essere diversa da quella reale, a causa dell’ingrandimento dovuto alla lente di ricopertura. Più piccolo è il chip apparente e migliore è il rendimento dell’ottica secondaria, inteso come rapporto tra il flusso luminoso erogato dal LED completo di ottica secondaria, e il flusso erogato dal chip con la sola ottica primaria.

Come per le ottiche primarie esistono tre tipi di ottiche secondarie:
ottiche piene, in materiale plastico, funzionanti principalmente in riflessione totale interna (da cui l’acronimo TIR – Total Internal Reflection);
ottiche vuote, in materiale plastico funzionanti in riflessione speculare (ottiche Reflector) al pari di piccoli riflettori di tipo tradizionale;
ottiche ibride, costituite da un riflettore cavo e da un elemento trasparente integrato con funzione di lente.

 

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Nella figura la lente di tipo a è del tipo piena; l’ottica tipo b è del tipo vuota, e l’ottica c è del tipo ibrida.

Le ottiche TIR (tipo a) sono costituite da un corpo pieno in polimero a forma paraboidale ad alto fattore di trasmissione della luce con una parte cava nel centro. Tale cavità ha una doppia funzione: una di carattere meccanico, per evitare che la conformazione fisica della lente possa modificarsi dopo lo stampaggio; la seconda di carattere ottico, per favorire il controllo dell’emissione lungo l’asse di proiezione della luce quando applicata ad un’ottica primaria di tipo lambertiano.
Queste lenti sono normalmente impiegate al fine di ottenere emissioni concentrate con il vantaggio di poterne determinare varie aperture attraverso la sola manipolazione delle microlenti che si trovano sulla superficie della lente stessa.

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Ottica piena del tipo TIR


Qualora invece siamo in presenza di LED multichip ad alta potenza, tendenzialmente si preferisce utilizzare l’ottica vuota del tipo classico (tipo b)

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Ottica vuota riflettore semplice

Ottiche ibride (tipo c) sono adottate per ottimizzare l’emissione attraverso un calcolato compromesso tra i due sistemi di ottica secondaria precedenti.

 

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Ottica ibrida


Le ottiche secondarie sono quelle che “decidono” le caratteristiche ottiche del proiettore, ovvero l’apertura angolare del fascio (sia esso simmetrico che asimmetrico) ed eventuali zoom elettronici controllati via DMX.

Nella mia prossima missione su S&L proverò a “tirare le somme”, definendo nel dettaglio vantaggi e svantaggi che la tecnologia LED ha portato nel nostro lavoro, sia tecnico che artistico.

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