Davide Lombardi
Da grande voglio fare il fonico.
di Alfio Morelli
Da diverso tempo abbiamo il piacere di frequentare spesso questo personaggio, un po’ timido e schivo, a cui non piace troppo stare sotto le luci della ribalta. Un percorso professionale molto particolare che lo porta a ricoprire diversi ruoli, ma sempre ad altissimi livelli internazionali: fonico, sound designer, system engineer e... distributore.
Siamo riusciti a fermarlo per farci raccontare la sua storia professionale che inizia da piccolo, con la passione per lo spettacolo. Il padre infatti, per hobby e volontariato, lavorava nel teatro dell’oratorio dei salesiani, quindi a casa spesso si mangiava pane e spettacolo, e non a caso entrambi i fratelli maggiori oggi lavorano nel mondo tecnico dello showbiz.
“La mia prima vera esperienza – ci racconta Davide – risale ad un’estate, avevo circa quindici anni, con un service locale; le solite cose di una festa di paese: carica, scarica, tira i cavi, ecc. Ma già quello per me era una gioia enorme, nonostante fosse piuttosto faticoso. In seguito, durante le scuole superiori, quando già i miei fratelli lavoravano a degli spettacoli importanti, un’estate mi aggregai a mio fratello Luigi, responsabile delle luci al festival Fiesta a Roma, famoso evento estivo, dove lavorai due o tre settimane, vedendo tantissimi concerti.“In quell’occasione – continua Davide – conobbi Fabrizio Fini, che divenne il mio mentore e da cui imparai tante nozioni che mi sarebbero servite in futuro. Un giorno lo passò a trovare Maurizio Gennari, che per me era “Colui che c’è l’aveva fatta”. Infatti Maurizio si era trasferito a Londra, viveva là, lavorava con dei nomi internazionali e girava il mondo: il sogno della mia vita. Con un po’ di sfacciataggine mi avvicinai e gli dissi: “Io voglio fare il fonico, cosa devo fare?”. Maurizio mi guardò un po’ sbigottito e poi mi disse semplicemente: “Lavorare tanto e imparare l’inglese”. A ripensarci era un consiglio piuttosto ovvio, ma io mi sentii motivatissimo da quelle parole e seguii il suo consiglio, continuando a studiare ed impegnando il mio tempo libero presso la Spray Record di Pescara, altra pietra miliare per la mia crescita.
“Finita la maturità – prosegue il racconto – mi presentai da mia mamma manifestandole la mia intenzione di partire per imparare l’inglese e lavorare nell’ambiente della musica. Mia madre aveva riposto su di me la speranza di un figlio che, dopo gli studi, facesse una vita ‘normale’, perché i miei fratelli maggiori avevano scelto la vita di nostro padre, così ci fu in lei una certa delusione; ma dovette rassegnarsi ed accettare anche la scelta del terzo figlio. Partii per Dublino, dove mi trattenni per otto mesi, facendo i lavori più improbabili ma imparando la lingua, o per lo meno il necessario a comunicare.
“Tornato in Italia continuai a lavorare nell’ambiente, poi decisi di iscrivermi a Roma all’Università della musica, ad un corso di fonia, continuando a lavorare con Fini alla Limelite. Dopo qualche mese mi resi conto che stavo perdendo tempo, così chiesi a Fabrizio Fini il numero di telefono di Gennari e ripartii per l’Inghilterra. Arrivato a Londra telefonai a Maurizio Gennari, presentandomi a casa sua dicendogli: “Io sono qua, l’inglese lo parlo, adesso cosa devo fare?”. Risposta: “Fabrizio di solito non dà il mio numero a nessuno, se lo ha dato vuol dire che ti ritiene una persona valida. Comunque da me non ti aspettare nessun aiuto: se vali sicuramente arriverai alla tua meta”.
Così ricominciai a fare qualsiasi lavoro, dal lavapiatti al guardiano notturno, continuando nel frattempo a mandare curriculum e telefonare ai vari service londinesi. Dopo un annetto, avendo rotto le scatole a tutti senza aver concluso niente, decisi di fare ritorno in Italia, ormai convinto che Londra non fosse adatta a me. Ma aspettai prima di partire, perché con gli ultimi risparmi avevo acquistato il biglietto per l’ultima data del tour mondiale di Peter Gabriel a Londra. Proprio la mattina del concerto squillò il telefono: era la segretaria di Britannia Row a cui avevo chiesto più volte lavoro. Mi davano una possibilità: un tour stava rientrando e serviva manodopera. Mi trovai cosi il giorno dopo a scaricare il materiale del concerto che avevo visto il giorno prima. Da lì iniziai a lavorare nel magazzino di Britannia. Anche negli altri paesi i lavoratori stranieri non sono sempre bene accetti, dipende in che ambiente si capita, ed il mio non era dei migliori. Così dopo un anno mi presentai in ufficio da Bryan, il capo, esprimendo il desiderio di poter fare delle esperienze fuori dal magazzino, cosa che avvenne. Da qui la storia è in crescendo, perché cominciai con dei piccoli spettacoli per arrivare col tempo ai tour mondiali degli Oasis e dei Foo Fighters.
Come nasce il tuo rapporto con l’italiana Outline?
Un giorno entrando, nel suo ufficio, Bryan mi mostrò un catalogo Outline e mi chiese se conoscessi il marchio che gli sembrava molto interessante. Io sinceramente risposi di no, ma il suo socio, Mike, era già a Torino per ascoltarlo in occasione delle Olimpiadi invernali. Al suo ritorno i due soci convocarono me ed il mio amico Adam, chiedendoci di andare a Brescia allo stabilimento Outline per dare un’occhiata al prodotto e all’azienda. In quel periodo, infatti, Britannia Row doveva rimpiazzare il sistema intermedio e sembrava che il sistema Butterfly potesse essere l’impianto giusto, visto che loro sono sempre alla ricerca di materiale all’avanguardia, come dimostra la scelta, ai tempi, di Turbosound.
Così andammo a Brescia in missione per ascoltare quest’impianto. Ancora rido con Biffi, il commerciale di Outline, quando mi racconta di aver creduto che io fossi il ragazzino mandato come traduttore, mentre il mio amico Adam fosse la persona di riferimento di Britannia, quindi colui da convincere sulla qualità del prodotto.
Comunque tornammo a Londra con un giudizio positivo, così Britannia decise di iniziare con l’acquisto del primo impianto Butterfly, a cui ne seguirono diversi altri. Anche se io ed Adam eravamo diventati i referenti dei rapporti con Outline, io continuavo a fare il mio lavoro tradizionale, andando in giro per il mondo con diversi tour. Nel 2010 e nel 2011 collezionai una media di 110 voli all’anno! Cominciavano ad essere troppi. Così, quando fu presentato il GTO, proposi ai miei fratelli di prendere in mano la distribuzione in Italia di Outline. Non fu difficile convincerli, anche perché qualche tempo prima avevano già comprato un impianto Butterfly per il loro service con grande soddisfazione. Proposi ad entrambi i fratelli di diventare distributori, Luigi mi seguì, mentre Gaetano preferì portare avanti il service Blackout. Eravamo tutti consapevoli che “nessuno è profeta in patria” ma vogliamo smentire questo motto e dimostrare anche nel nostro paese la grande convenienza e qualità del marchio bresciano.
Così sei diventato anche un distributore! Come viene recepito il marchio Outline sul nostro mercato?
A parte il momento storico del mercato, abbiamo due tipi di reazione: il service medio piccolo, poco informato su quello che succede all’estero, è un po’ restio e rimane maggiormente aggrappato ai marchi storici internazionali, mentre il grande service è incuriosito dal prodotto ed accetta il confronto, ben consapevole della fama di qualità che i sistemi Outline hanno all’estero. Lo dimostrano gli ultimi lavori fatti con lo show di Panariello e al 1° Maggio. Anche in queste grandi occasioni penso che ci siamo presentati bene e di aver fatto una ottima figura. Anche i riscontri avuti dai professionisti italiani cha hanno lavorato con noi sono stati molto positivi. Siamo molto ottimisti per il futuro, confidando anche su una rapida ripresa di tutto il nostro mercato.
Invece per Davide Lombardi, qual è il sogno nel cassetto?
Ti suonerà strano, ma è proprio il tipico sogno nel cassetto da tanto tempo: vorrei fare un concerto a modo mio, mixando Edoardo Bennato, il mio idolo da sempre!