Carlo Lastrucci
Da molto tempo inseguivamo questo desiderio: incontrare Carlo Lastrucci e farci raccontare il percorso con cui ha portato in tutto il mondo l’impegno e la genialità italiana, dimostrando che con la dedizione e la serietà si possono ottenere sempre risultati lusinghieri, rivoluzionando a volte stereotipi consolidati nel tempo.
di Alfio Morelli
Carlo Lastrucci, Claudio Lastrucci, Luca Lastrucci e Antonio Peruch. |
Una laurea in fisica...
Incontriamo il dott. Lastrucci in un giorno di fine maggio nella sua bella Firenze e, come si conviene in queste situazioni, ci accomodiamo a tavola, il che in Toscana è sempre un bel momento. Ma anche chiacchierare con un vero toscano è sempre piacevole, così arriviamo all’inizio della storia solo dopo mille divertenti divagazioni.
“La mia storia lavorativa può essere divisa in due momenti ben distinti – inizia a raccontarci Lastrucci – il primo come giovane volenteroso e appassionato di tecnologia e il secondo come buon padre di famiglia. In entrambi i casi ho avuto la fortuna di occuparmi di mercati molto coinvolgenti, lavorando dapprima nel settore delle telecomunicazioni e poi in quello dello spettacolo.
“Dopo aver conseguito la laurea in fisica, ero interessato al mondo delle telecomunicazioni ed ebbi la fortuna di iniziare a lavorare per OTE, azienda inizialmente a partecipazione statale, con sede in Toscana. Iniziai un percorso che mi portò in tempi relativamente brevi a capo di questa azienda, di cui divenni prima direttore generale, poi amministratore ed infine presidente. Erano anni in cui l’industria italiana aveva delle competenze specifiche che gli aprivano contatti e rapporti con i mercati internazionali più disparati. Questo mi permise di girare e conoscere molte realtà diverse dalle nostre, progettando e fornendo in diversi paesi le nostre tecnologie all’avanguardia. Allo stesso tempo avevamo rapporti commerciali interni con le forze dell’ordine italiane, come Carabinieri, Polizia e Guardia di Finanza, per le quali abbiamo progettato e curato tutto il sistema di telecomunicazioni ancora oggi in uso, naturalmente con i dovuti aggiornamenti.
“Ho avuto la fortuna di essere uno dei progettisti del più grande e tecnologico impianto di telecomunicazioni al mondo – continua Lastrucci – ancora oggi funzionante, realizzato per Gazprom in Russia, impianto che, fra le altre caratteristiche, deve funzionare a temperature artiche anche di –40°C”.
Come si arriva dalle telecomunicazioni alla musica?
Non è merito mio, io sono stato importato in questo mondo! Infatti nel frattempo i miei figli, finita l’università, insieme ad un loro compagno di scuola, Antonio Peruch, da bravi musicisti si erano messi a “giocare” con l’elettronica, cosa che riusciva loro piuttosto bene. Si accorsero che il progetto al quale stavano lavorando (un amplificatore digitale per car audio) aveva una potenzialità di sviluppo molto interessante, però aveva anche bisogno di investimenti importanti per essere completato. Grazie agli studi e all’esperienza che nel frattempo uno dei miei figli aveva maturato durante un periodo all’università Berkeley in California, si misero a progettare e vendere software per risponditori automatici per telefonia, allora, agli inizi degli anni ‘90, un campo in forte espansione. Questo gli diede la possibilità di finanziare il progetto dell’amplificatore. Infatti l’azienda si chiama “Power-Soft” perché unisce l’idea della potenza con quella del software. In quel periodo mi chiesero anche di dar loro una mano per poter far crescere il progetto. La proposta mi spiazzò un po’, perché da una parte ero molto orgoglioso di aiutare i miei figli, ma dall’altra volevo che sbagliassero da soli: sono sempre stato dell’idea che per crescere bisogna sbagliare, l’importante è che si facciano sbagli gestibili e non irreparabili. Gli sbagli sono come dei vaccini: irrobustiscono l’organismo, ma se sono troppo violenti possono uccidere. Decisi comunque di abbandonare la mia vecchia posizione lavorativa per iniziare una nuova sfida, molto eccitante, occupandomi prevalentemente del marketing. Naturalmente feci il salto a ragion veduta: avevo una laurea in fisica e seppi valutare il progetto nelle sue potenzialità. Pensai che proporre un amplificatore che pesava un quarto o un quinto dei prodotti al momento sul mercato, con un assorbimento molto più limitato e la possibilità di sprigionare una potenza molto superiore, potesse essere una proposta davvero vincente.
In questo percorso devo ringraziare alcune persone che ci hanno incoraggiato nel proseguimento del nostro obbiettivo. Il primo è Guido Noselli di Outline, che sin dall’inizio ci ha spronato nel proseguire, dandoci anche alcuni consigli molto utili. Un secondo personaggio è John Lee, ai tempi titolare di Crest Audio, gli amplificatori allora più popolari e performanti nel mercato dell’audio professionale mondiale. Mi piace a proposito raccontare un aneddoto: era circa la metà degli anni Novanta, per puro caso Lee era in visita ad una mostra a Firenze e casualmente, penso, ci presentarono. Con mio immenso stupore mi parlò del nostro progetto, sostenendo che fosse il futuro, mentre la loro tecnologia era, secondo lui, ormai matura e senza possibilità di sbocchi, così ci propose una collaborazione. Non riuscivo a capire se la proposta fosse una presa in giro o una cosa seria, perché per noi Crest era irraggiungibile. Cominciarono i primi contatti e i primi incontri, ma poi nel 1998 Lee cedette il marchio a Peavey e la collaborazione si interruppe. Era un momento molto importante per la vita di Powersoft: pur avendo un prodotto molto innovativo e performante, tanto che tutti coloro che lo provavano dovevano ammettere la bontà del progetto, incontravamo resistenze a livello d’immagine, perché eravamo una piccola realtà italiana senza storia. Era il momento di tirar fuori il coniglio dal cilindro, così pensammo che bisognava puntare al mercato americano, molto importante ed influente su tutti gli altri. Così contattammo di nuovo Lee, ormai libero da impegni, avendo venduto l’azienda, ma sicuramente un nome ancora molto importante nel suo paese, e gli proponemmo la distribuzione negli US dei nostri prodotti: lui accettò molto volentieri! Questo è stato uno dei motivi del successo mondiale del nostro marchio. Il rapporto con Lee è durato diversi anni, fino a quando lui ha deciso che fosse arrivato il momento di mollare gli ormeggi e prendere il largo con la sua barca in giro per il mondo.
Oggi potete essere orgogliosi di aver costretto il mercato e i vostri concorrenti a cambiare idea sul fatto che un finale debba essere per forza pesante!
Sicuramente siamo orgogliosi di questa innovazione, che è anche frutto del duro lavoro di un piccolo gruppo, molto coeso e che lavora in armonia. Il consiglio che ho dato ai miei figli, di cui sono molto orgoglioso, e che mi sento di dare a tutti gli altri, è di provare, azzardare, essere moderatamente incoscienti.
Dopo tutto questo bel racconto, qual è il sogno nel cassetto di Lastrucci?
Mi piacerebbe tanto assistere alla rivoluzione dell’audio, che con l’avvento delle nuove tecnologie, in particolar modo del digitale, è alle porte. I passi tecnologici degli ultimi anni sono pazzeschi, si pensi ai telefoni cellulari! La stessa cosa accadrà anche nell’audio: chi ha detto che dovremo continuare a propagare un contenuto sonoro tramite un diffusore unico? Magari nel futuro potremo ascoltare musica in un ambiente che emetterà un contributo sonoro da cento o da mille micro-diffusori, oppure da una tecnologia simile. Le nuove soluzioni scaturiscono sempre da qualcuno che non si ferma alle prime difficoltà, ma che osa continuamente, magari sbagliando, ma spostando l’asticella sempre più in alto.
Detto questo... significa che anche il dott. Lastrucci è pronto a mollare gli ormeggi e partire con la sua barca?
Mentalmente la barca è già nel porto, ormeggiata... sto solo aspettando il vento giusto per salpare.
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