Calcutta – Evergreen Tour
All’Unipol Arena di Bologna la data sold-out del cantautore di Latina, per presentare il disco Evergreen nella sua prima tournée nei palazzetti italiani.
di Giovanni Seltralia e Alfio Morelli
Calcutta è uno dei ragazzi prodigio dell’ondata ‘it-pop’, etichetta che vuole distinguere gli artisti mainstream emersi negli ultimi anni dai veterani del pop italico. Calcutta, da artista indipendente, ha scalato le classifiche e conquistato l’affetto del pubblico con una crescita rapida ma costante, fino all’evento cui abbiamo assistito di persona: l’Unipol Arena stracolma e un tour fitto di sold-out, seguito naturale all’uscita del secondo disco.
Il cantautore di Latina ha coinvolto i presenti in uno show intimista, a tratti psichedelico, ricchissimo dal punto di vista visuale; i vari generi che accompagnano i testi, dal rock, al reggae, al punk, sono offerti con grande varietà, pur sempre annacquati dall’attitudine riflessiva del cantante e dei musicisti che lo circondano.
La produzione mista tra DNA Concerti e Kick Agency ha visto tanti professionisti e aziende contribuire alle diverse parti dello show; ascoltiamo direttamente le parole dei protagonisti, che abbiamo incontrato alla data del 23 gennaio.
Stefano Baccarin – Direttore di produzione, parte visiva
“In questo tour ho un ruolo particolare: mi occupo della produzione per la parte luci e video. Il direttore di produzione è Andrea Caminiti, mentre io sono stato chiamato da Martino Cerati e Filippo Rossi per coordinare i loro reparti in fase operativa.”
Come avete mosso i primi passi di questo tour?
L’allestimento ha richiesto quattro giorni, presso il PalaRossini di Ancona, a cui se ne è aggiunto un altro di prove. Eravamo abbastanza tirati coi tempi, pur lavorando giorno e notte: siamo entrati al terzo giorno per montare la regia, e abbiamo fatto una prima prova con la band; il quarto giorno abbiamo fatto la prova generale, liscia come l’olio, e il giorno dopo la data zero. A lavorare, per la parte video, sono sei persone: un tecnico per il controllo camere, un media server operator e quattro cameraman. Filippo (Rossi – ndr) si occupa della regia, oltre ad aver pensato e sviluppato tutti i contributi dello spettacolo. La parte luci vede Martino (Cerati – ndr) come lighting designer, oltre a due collaboratori. La squadra al lavoro è quella di Agorà.
Arrivate al mattino per debuttare la sera?
Se possiamo il giorno prima facciamo almeno uno scarico e il pre-rig. Se invece dobbiamo entrare al mattino, alle sette iniziamo col rigging, scarichiamo, e per le 12.30 è tutto in quota con il palco in posizione e le macchine operative. Per questo sono possibili i back-to-back, tipo quello tra oggi e domani! La produzione è comoda, sono cinque bilici con catering al seguito; siamo sessanta persone.
Emmanuele Di Giamberardino – Management Bomba Dischi
“Il tour è stato pensato con DNA Concerti, che ha seguito le date di Calcutta fin dall’inizio del suo percorso musicale. Dietro a Calcutta c’è Bomba Dischi, come etichetta e come management: siamo la casa vera e propria di Calcutta e di altri artisti che ancora vivono in un contesto indipendente, come Giorgio Poi, Clavdio, Carl Brave e Franco126. DNA è l’agenzia che ha investito nell’artista, che ci ha creduto fin dall’inizio: Calcutta ha finora fatto i grandi club, ma il primo investimento su di lui è stato fin dal primo disco di esordio, che ha avuto un grande successo nazionale. La scommessa di passare dai club da cento persone all’Alcatraz è stata la prima, necessaria; nel momento in cui è diventato la testa di ariete di tutta questa nuova scena, era chiaro poi si dovesse passare a produzioni più corpose. Molte agenzie volevano investire su Calcutta, ma il rapporto storico con DNA ci ha spinto a questa scelta. Le date sono tutte sold-out, comprese le due che abbiamo fatto al Forum, quindi siamo molto soddisfatti.
“D’ora in avanti, incrociamo le dita. Tutto dipende dall’artista, ma posso dirti che questo tour avrà fine verso settembre/ottobre. Finita la tournée di questo secondo disco, lui si prenderà una pausa, e deciderà come andare avanti; porterà avanti anche l’attività, impegnativa, di autore per altri artisti, come ha fatto recentemente per Elisa. Da parte nostra, è il primo artista che raggiunge questo livello, quindi è tutto una scoperta anche per noi”.
Filippo Rossi – Progettazione spettacolo visivo e regia video
“Io vengo da esperienze di ambito creativo in diversi tour importanti: dal 2015 a oggi ho collaborato all'aspetto visual degli show di Jovanotti, Ligabue, Mika, e contemporaneamente mi occupo dell’integrazione con le tecnologie, dell’interattività, eccetera. In produzioni con una dimensione più piccola, come Levante, Gazzè, Emis Killa, ho già avuto modo di gestire l'aspetto creativo da titolare”.
Ci racconti cosa vedremo stasera?
L’idea è stata quella di partire sviscerando il mondo grafico, estetico e narrativo che ruota intorno all’artista. Calcutta è abbastanza peculiare, come figura nel pop, con delle idee già molto chiare sul modo di raccontarsi. Il primo step è stato mettersi con lui al tavolo e lanciare tutte le idee possibili, anche quelle improbabili. Da lì abbiamo iniziato un periodo di ricerca, insieme anche a una squadra di montatori, motion designer, eccetera. Ho tenuto presente anche i video già girati con altri registri, non tanto come contenuti, ma come guide per trovare un possibile percorso: da una parte abbiamo assecondato molto il suo approccio caotico, addirittura ‘trash’ in certe citazioni, dall’altro abbiamo cercato uno show pulito, elegante; la regia e le telecamere cinema servono a questo: racchiudere quel mondo, per far capire che è lì in un certo modo perché vogliamo stia in vetrina, non è lì perché ci è venuto male.
Il palco sembra piuttosto semplice.
Assolutamente: abbiamo cercato, dove possibile, di lavorare in sottrazione. La scelta dello schermo è stata ridotta rispetto alle prime idee. L’importante non è quanto è grosso, ma come lo si usa! Il LED è un passo 9 mm, Acronn.
Ci parli dei contributi video?
Di girato c’è pochissimo, l’unica vera ripresa è un primissimo piano di lui che sussurra una cosa nella cucina di casa mia, ripreso con il mio cellulare. C’è tantissimo materiale invece prodotto in animazione, con gli illustratori, oltre a materiale estratto dal suo computer, da internet, eccetera. Ho usato una marea di programmi, con After Effects in prima fila. Poi, da alternare ai contenuti, abbiamo le riprese dal vivo con quattro telecamere presidiate – una FoH, una sotto palco stage left, una sul palco stage right e una a spalla – più due micro camere Blackmagic, una sulle tastiere e una come controcampo.
Il pacchetto luci e lo schermo LED sono di Agorà, mentre la regia video è di STS Communication. Durante il concerto, lavoro con un mixer video Blackmagic ATEM 2. Il media server è D3, che ci permette di collegare al video anche dei pad sul palco, per mandare campioni sonori e video insieme. Il service per le tecnologie è STS, ma ho spinto per la scelta di non appoggiarci a un service per tutto: abbiamo scelto delle persone singole, come gli operatori, per poi appoggiarci ad un fornitore con cui collaboro da tempo.
Martino Cerati – Lighting designer
“Insieme a Filippo, io mi sono occupato della progettazione scenica, del palco, del design illuminotecnico e della programmazione luci. Abbiamo lavorato molto nella pre-produzione offline, prima di partire. L’impianto luci è posizionato in maniera standard, e ha dovuto fare i conti a monte con un artista esploso in poco tempo nel mondo club: la scelta è stata quella di portarlo in una dimensione più ampia, mantenendo tuttavia quell’aspetto club iniziale. I corpi appesi, per questo motivo, non hanno grandi funzioni se non quelle di formare un soffitto dinamico, con tre o quattro elementi di diverso tipo, che possono lavorare fotograficamente sul palco e sulla sala. Questi elementi sono principalmente SGM Q-7, Claypaky Mythos, Philips Showline SL BEAM 500fx e, aggiunte solo per i palazzetti come rinforzo frontale, SL BEAM 300fx. Poi blinder a volontà e, come ‘special’ fotografico, le DTS Katana, che servivano a me per avere una situazione club che girasse intorno al palco. Il LEDwall è un enorme francobollo nella scena, e ho dovuto girarci intorno coprendo soprattutto la parte bassa, in cui si muovono i musicisti. Da un punto di vista service, con Agorà è stato impostato il lavoro con rolling stage e BAT truss su tutte le date”.
Qual è stato il punto di partenza per il disegno luci?
Io lavoro con Edoardo (Calcutta – ndr) fin dagli inizi; lui è sempre stato molto distante dal concetto illuminotecnico; nelle prime date, prima che arrivassi, addirittura chiedeva il buio totale. Bisognava agganciare questa sua disposizione alle esigenze di club come Atlantico o Alcatraz: gli si è imposto di essere presente nello spazio, volente o nolente. Oggi, a maggior ragione, ho dovuto forzarmi io a essere cauto e usare pochi elementi, senza cercare a tutti i costi lo special; dall’altra parte lui ha dovuto limitare un certo approccio folle alla creazione per venire incontro alla mia necessità di eleganza. Siamo partiti proprio dal discutere intorno a un tavolo, io, Edoardo e Filippo, per tirare fuori tutte le follie e dare un seguito solo a ciò che era praticabile. Ora c’è fiducia totale da parte dell’artista verso la squadra creativa.
Questo è il primo tour di queste dimensioni: avete trovato l’equilibrio giusto?
La linea su cui ci muoviamo è molto sottile. Passiamo dal video di Dodò de L’Albero Azzurro che suona il violino, all’intimismo elegante durante i brani lenti, come Milano. Se vai un pochino oltre col ‘trash’, rischi che diventi un party revival anni Settanta che non piacerebbe a nessuno: con video e luci possiamo fare tutto, ma non dobbiamo esagerare da un lato o dall’altro. La cosa che mi è riuscita meglio è la fotografia del palco: il tirare indietro pian piano, il non eccedere, nonostante i tanti pezzi a disposizione; c’è un momento, in un brano, dove è acceso solo un metro di Katana e basta, non serve altro.
Davide Grilli – PA manager
“L’impianto montato oggi è un dodici più cinque, che può sembrare un numero strano: avevo la necessità di avere cinque L-Acoustics K2 downfill sotto i K1, perché l’impianto del tour è riggerato 1,80 m davanti al filo palco; questo ci porta ad avere l’antipanico quasi sotto al motore del main. Quindi abbiamo un array che ci permette di coprire dalla tribuna più alta fino a sotto il punto motore; per questo abbiamo la necessità di avere dei downfill molto flessibili, come il K2 con i suoi 10° di angolo tra elementi successivi, e arriviamo molto verticali sul pubblico. Poi abbiamo L-Acoustics 112XT come frontfill, che abbiamo messo sopra i sub per portare il piano sonoro a livello dell’artista e non creare l’effetto sgradevole di sentire arrivare l’audio da sopra quando invece hai l’artista davanti. Poi, abbiamo un sub e un altro 112XT all’angolo della passerella quadrata al centro del palco. Spostandoci, abbiamo altri sub al centro, davanti la piccola passerella, con altre 112XT sopra. L’immersione sonora e visiva è ben integrata e mantiene un focus preciso insieme a un suono efficace”.
Hai avuto problemi particolari da risolvere?
In questo tour avevo il problema, mancando i sub sospesi, di andare sulle tribune con maggior energia, rispetto al main forte sul parterre. Quindi, sempre partendo dalla configurazione end-fire, abbiamo fatto dei delay a modo: in base alla tribuna che abbiamo nel palazzetto, abbiamo due stack, invece che tre, in end-fire tra loro, in cui si perde un po’ l’effetto cardioide – ne servirebbero tre o quattro per essere perfetti. Però abbiamo abbastanza pulizia sul palco e una bella energia frontale; a questa ho aggiunto un altro stack di sub laterale sempre in fase con quello dietro, facendo una proiezione dei sub anche laterale, con dei delay leggermente diversi da quelli frontali, in modo che ci sia una sorta di zoom sulle tribune. Per completare tutto ciò, i sei sub centrali fanno un leggero arco con i sub laterali, in modo da ottenere un impatto omogeneo sia sulla parte centrale, sia laterale. In base alle venue, posso creare uno zoom più rettilineo o più allargato sulle tribune: a Bari per esempio, con le sue grandi tribune, ho più fuoco laterale e meno sub centrali.
Cosa usi per tarare tutto?
Uso LA Network Manager, poi il Lake per le tarature fini. In questo caso non abbiamo accoppiato i finali in AES/EBU, ma andiamo in analogico. In regia ho quattro Lake LM 44 e scompongo i segnali in main, sub, side e front, così da non linkare troppi ampli. Linkando molti amplificatori, nei test che ho fatto, si ottiene una perdita di livello e, a causa delle somme d’impedenza, un peggioramento del segnale. L’analogico ci dà tranquillità, ma serve organizzare le linee per pacchetti di amplificatori.
Daniele Gennaretti – Fonico FoH
“Il mio percorso è stato a seguito di varie band, prima nell’underground e poi in contesti più importanti. Anche per me, come per l’artista e per altri colleghi, è il primo tour nei palazzetti di queste dimensioni. In questo tour abbiamo scelto di passare dai banchi Midas alla nuova serie SSL Live, in questo caso con L200. Entrambi, Midas e SSL, sono banchi con una headroom elevata e un suono simile a un banco analogico, e non reagiscono male ai segnali molto alti, come facevano le prime generazioni di console digitali. L’SSL ripropone molto bene le dinamiche e, soprattutto, la somma: quando il master viene spinto, tira fuori qualche distorsione armonica vagamente simile a quella di un SSL 4000. Poi, per dare una mano alla CPU, usiamo dei riverberi esterni: due Lexicon PCM91 e uno Yamaha SPX2000; la maggior parte del lavoro di effettistica lo faccio comunque all’interno del banco”.
L’SSL è stato quindi una scelta vincente?
Non solo per il suono. È molto bello anche perché permette di utilizzare strutture di stem (che io ho sempre chiamato ‘gruppi’) senza limiti: possiamo fare stem a cascata a piacimento. Per esempio, io ho il microfono interno alla cassa e quello esterno sommati in uno stem; poi questo va allo stem di batteria, e via dicendo. La struttura permette di modellare il suono per gruppi e lavorare le cose al meglio.
Per quanto riguarda le riprese sul palco?
Riprese standard per batteria e strumenti acustici, a cui si aggiungono le tastiere; qui ci sono pochissime sequenze, con effetti davvero minimi, e molto viene suonato dal tastierista. Le chitarre hanno doppia microfonazione, con Shure SM57 ed Electro-Voice Cardinal; batteria standard, con AKG C414 come OH e snare bottom, Shure SM57 snare top, Shure Beta91A e Beta52A sulla cassa, Sennheiser MD421 su tom e timpano; ancora MD421 sul basso. Il suono, oggi, è meno pop di quanto potrebbe immaginare la gente: niente alte sparate per tutto il concerto, tutto molto suonato, eccetera. Anche se c’è qualche sporcatura, è piacevole e controllabile; rispetto al suono diretto, sono un po’ più problematiche le riflessioni diverse per ogni palazzetto. Sul palco ci sono due sub: per dare la cassa al batterista, e per dare il Moog al tastierista. Il resto tutto in-ear.
Lo show
Il concerto colpisce per i diversi mood che attraversa; vuole essere a tutti gli effetti popolare, dai testi alle grafiche anni Novanta che si alternano sul LEDwall, e allo stesso tempo vuole cristallizzarsi in una vetrina elegante che sia credibile in un palazzetto importante come l’Unipol. La linea su cui si muove il concept è sottile, ma non scivola mai né nel ‘trash’ fine a se stesso, né nel pop più artificioso.
Il video domina il palcoscenico, e accompagna con animazioni e riprese ogni singola nota, riempendo anche i momenti in cui il cantante è più esitante a offrirsi al pubblico.
Calcutta, da parte sua, riesce a essere credibile nei momenti raccolti e accessibile in quelli scanzonati, e instaura un rapporto impressionante con il pubblico: il coro proveniente dalla platea lo accompagna costantemente, rispondendo con un boato alle prime note di ogni canzone.