Claudio Baglioni – Al Centro dell’Arena di Verona

Per festeggiare i cinquant’anni di carriera, Baglioni regala ai propri fan uno spettacolo di tre notti all’Arena di Verona con uno show a 360°.

di Douglas Cole e Alfio Morelli

Quest’anno abbiamo aspettato con curiosità l’evento di Baglioni all’Arena di Verona, principalmente per due motivi: il primo, per immedesimarci nei nostri avi quando si gustavano uno spettacolo al centro di questa meravigliosa venue; il secondo, per scoprire come i nostri contemporanei avrebbero superato le sfide tecniche di una tale configurazione.

La prima sensazione è che, tra l’Arena con il pubblico a 360° e l’Arena con il palco in posizione tradizionale, non c’è confronto. Data l’emozione meravigliosa, possiamo riconoscere che Claudio ha fatto la scelta giusta. Una scelta che risale indietro fino a quel lontano 1998, ancora con la regia di Pepi Morgia, quando all’Olimpico inaugurò in Italia il palco in mezzo al pubblico. Ci dicono che sia stato solo un caso che al ventennale di quell’evento sia stato deciso di ripetere quella configurazione, ma in questo caso a richiamare i concerti di Da me a te del ’98 è stata anche la trasmissione in diretta su RAI 1, con oltre tre milioni e mezzo di telespettatori.
Venti anni fa vi furono delle critiche: le luci, per esempio, posizionate soprattutto in basso, avevano accecato qualche porzione di pubblico. Un problema che questa volta non si è ripresentato: la soluzione è stata quella di posizionare dei gruppi di fari ai bordi dell’ultimo anello, in alto, così da risolvere il problema del controluce sul pubblico. E non solo: in alcuni momenti l’Arena piena di luce si è dimostrata estremamente suggestiva.
Con la regia a firma di Giuliano Peparini, lo show coordina 22 musicisti e più di 100 ballerini, acrobati e performer, sempre con il capitano “al centro”.
Prodotta da Orazio Caratozzolo per F&P Group, questa serie di tre serate ha impegnato più di un anno di progettazione, anche perché l’utilizzo di 6000 posti in più rispetto alla configurazione consueta dell’Arena, con tutti i posti a sedere nelle gradinate numerate, ha richiesto il ri-allestimento del parterre rialzato. Alcune zavorre erano state posizionate sotto il parterre addirittura prima dell’inizio della stagione 2018, ad aprile!
In supporto al produttore esecutivo, la logistica è stata seguita da Cristina Bondi, mentre Davide Bonato è stato scelto per dirigere la produzione. Per il progetto del palco è stato incaricato Igor Ronchese con la sua Tekset, mentre il palco è stato costruito da Italstage, incorporando anche una serie di piattaforme motorizzate fornite da BOTW. Audio, luci e proiettori sono stati forniti da Agorà.
Dal lato creativo, oltre all’artista e al regista Peparini, la francese D/Labs ha creato e controllato i contributi e Carlo Pastore il disegno luci. Maurizio Nicotra è stato il fonico “front-of-house”, se di “front” si può parlare!
Ad affrontare la sfida di insonorizzare l’Arena a 360° è stato Daniele Tramontani insieme ad Orlando Ghini, purtroppo scomparso prima dell’evento, mentre Remo Scafati ha seguito la regia di monitoraggio.
Elogi particolari devono andare anche al direttore di palco, Alessandro Roseo, per la gestione delle problematiche di uno stage senza backstage, con cento persone che vanno e vengono e trovate scenografiche à gogo.
Noi siamo stati presenti alla terza serata, domenica 16 settembre, la data successiva alla trasmissione televisiva; anche se non erano presenti, non si può tralasciare l’importanza del direttore della fotografia per le riprese, Marco Lucarelli, e della regia di Duccio Forzano. Per gestire l’audio della messa in onda è stato impiegato lo studio mobile White Mobile, di Amek Ferrari e Vanis Dondi, con il mixaggio di Lorenzo Cazzaniga.

Ma adesso la parola alle persone che hanno realizzato questo tris di show.

caratozzoloOrazio Caratozzolo – Produttore esecutivo

“Quest’anno – ci dice Orazio – per caso, è il ventennale del famoso concerto all’Olimpico del ‘98 dove per la prima volta fu usato un palco al centro in una grande venue. Inoltre c’è la ricorrenza dei cinquant’anni di carriera; quindi è stato abbastanza spontaneo dire a Claudio: ‘perché non facciamo questa operazione a Verona, dove non è mai stata fatta una cosa del genere?’.
“Abbiamo iniziato a lavorare a questo progetto, dalla gestazione non facile, intorno a maggio/giugno del 2017. Inizialmente c’era una certa idea, sempre con palco al centro – che non svelerò perché vorrei usarla successivamente – che poi si è tramutata pian piano in quello che vedete qua. È un palco semplice, quadrato, con qualche pedana motorizzata e pochi orpelli, in cui l’artista è assoluto protagonista.
“La configurazione audio è molto particolare – continua Orazio – ottenuta con un lavoro molto specifico e preciso, dato che ovviamente c’era la preoccupazione che qualche settore non fosse coperto dal punto di vista acustico. Per cui, con Wolfango De Amicis di Agorà e Daniele Tramontani, abbiamo scelto di distribuire la massa critica a 360 gradi, cercando di non incidere negativamente sulla visione dello spettatore. Questa idea delle torri poste sul bordo del parterre – che inizialmente erano sedici, ma che siamo riusciti a ridurre a dodici, per fortuna – ha dato vita a una configurazione che, anche grazie alle dimensioni non piccole del palco, ha consentito di vedere bene lo spettacolo da qualsiasi punto dell’Arena.
“Questo – spiega Orazio – ha comportato il rischio, ovviamente, di avere un palco scoperto: in caso di pioggia sarebbero stati guai. Ci siamo comunque organizzati, facendo costruire diciotto tende con tetto trasparente e delle tensostrutture sempre trasparenti che in caso di necessità avrebbero consentito di continuare lo show. Per fortuna ha piovuto solo durante gli ultimi due brani della prima serata.”

Facendo due conti, è valsa la pena fare tutto questo lavoro?
È un’operazione dispendiosa, che porta a un prezzo del biglietto alto. Abbiamo introdotto anche un’altra novità assoluta: la numerazione della gradinata, usualmente non numerata. Questo ha consentito di avere ordine nella gestione e di poter proporre un costo del biglietto un pochino più alto, con la garanzia del posto a sedere sicuro. Numerare oltre sedicimilacinquecento posti non è stata una passeggiata, con materiale impermeabile, non deteriorabile, autoincollante, una sorta di cuscinetto con segnaposto.
Chiaramente con questo allestimento non si fa un one-shot; i tempi di gestione e preparazione sono lunghi, ma il lavoro svolto è stato bello, un’esperienza; i dati di ascolto hanno premiato, con risultati mai raggiunti per un concerto.

A proposito della trasmissione: come mai la diretta in mezzo alle tre date?
Semplicemente perché la RAI ha consigliato di fare il sabato sera, tutto lì.  Il venerdì iniziava Carlo Conti col nuovo programma: ragioni di palinsesto insomma.

Finite queste date, partirete in tournée?
Sì, con l’invernale. La fisionomia sarà uguale, con gli stessi performer e ballerini. Diminuiremo le dimensioni del palco per poter stare nei palasport, ma solo da 21 a 18 metri, una differenza piccola. Il tour avrà una prima fase fino a novembre, poi Claudio avrà Sanremo, e così ricominceremo in marzo/aprile.

“Posso dire per tutta la squadra – aggiunge Orazio – che questa esperienza in quanto unica è stata più piacevole del solito. L’Arena fatta così è stata un esperimento riuscito, anche grazie alla fortuna; la fase progettuale è stata concepita proprio in una tavola rotonda vera, come non accade spesso”. 

bondiCristina Bondi – Coordinatrice di produzione

“Questo è un evento  – ci dice Cristina – sicuramente singolare e unico. Avendo il palco al centro, abbiamo dovuto compiere una serie di operazioni che in Arena non vengono mai fatte: la rimozione delle sedie, la sicurezza da studiare, un sistema organizzativo nuovo. E soprattutto con tre date, non una data secca: ci sono accessi, pass, tutto è più complicato. Più la diretta Rai che è stata un impegno notevole ma soddisfacente, visto che i dati Auditel arrivati stamattina sono molto buoni.
“Innanzitutto, questo stravolgimento dell’Arena ha richiesto un notevole sforzo a livello organizzativo: lo spettacolo completo con ballerini, figuranti, costumi ha comportato una pre-produzione molto impegnativa; Claudio ha sempre amato l’abbondanza: già nei primi tour con il palco al centro degli stadi, mi hanno detto, aveva qualcosa come trecento figuranti.
“Il palco residente – continua Cristina – è stato tolto, abbiamo tenuto solo la spianata che copre la buca dell’orchestra. Abbiamo tolto le sedie durante la notte per riposizionarle con il nostro palchetto al centro.
“Abbiamo lavorato al progetto dallo scorso inverno. Oltre ai figuranti ci sono infatti 21 elementi di band, 26 performer, un equilibrista, un funambolo, un acrobata cinese... Abbiamo fatto le prove a Roma, prima di partire, e siamo entrati in Arena il 9. Servivano molte prove, infatti siamo stati qui dal 9 al 13, e il 14 via con le date.
“Oltre ai figuranti – racconta Cristina – altre 120 persone hanno lavorato nella produzione: in tutto 220, tra le varie aziende, non contando però la D/Labs che ha curato tutta la parte di videomapping. Il palco è di Italstage e le pedane sono di BOTW, di Campora. I costumi sono stati seguiti dalla sartoria D’Inzillo.
“Oltre a me e Orazio – conclude Cristina – la nostra squadra di produzione è composta da Davide Bonato, come direttore di produzione, Andrea Sembiante e Piero Chiaria, i site coordinator, Gianluca Fiore di F&P e Alessandro Roseo come direttore di palco”.

bonatoDavide Bonato – Direttore di produzione

“Per questa produzione – racconta Davide – F&P e Baglioni stanno lavorando da un anno e mezzo. Abbiamo livellato il piano palco esistente con la platea dell’Arena, per sovrapporre un palco non alto e senza copertura affinché tutte le persone potessero vederlo. Il palco è in parte Layher e in parte con pedane centrali.
“Il sistema per sorreggere gli impianti audio e luci comprende delle basi per le torri, che sono state poste ad aprile sotto la struttura che regge il parterre. Poi, durante l’allestimento per questo spettacolo, sono state attaccate alle basi queste ‘antenne’ posizionate attorno alla platea per ospitare appunto audio e luci. Inoltre, sull’anello superiore, sono state erette delle torrette per illuminare la situazione”.

Non c’era un altro sistema?
Non potevamo portare le gru in centro città e, avendo apertura al pubblico a 360°, sarebbe ancora più difficile. Questo è il compromesso migliore fra visibilità e risultato tecnico. Per portare poi i segnali a queste torri abbiamo lavorato sotto il palco, sotto la platea, eccetera. Siamo sempre in un monumento, non si possono fare buchi, ci sono dei passaggi di cavi impegnativi, la parte relativa all’alimentazione elettrica è tutta sotto il palco esistente dell’Arena.

Il tour di ottobre?
Il palco sarà ancora centrale e svilupperemo tutti gli aggiustamenti adatti ai palazzetti.

Questa è una produzione che impegna tante persone o è nella norma?
Nella norma dal punto di vista audio e luci. Il fatto che ci sono performer, invece, con regia teatrale, impegna molti più macchinisti e attrezzisti. Arriveremo in tour ad avere sui sei o sette bilici. Il palco è alto solo un metro, e con le pedane occupa un bilico e mezzo. Nei palazzetti poi appenderemo molto. Avremo due bilici di produzione con scenografia, costumi, camerini, poi per il resto due bilici di luci, uno di audio, uno e mezzo di palco.
È stato un bello sforzo anche mettere insieme le due parti, quella musicale e quella teatrale, però per adesso siamo molto soddisfatti.

roseoAlessandro Roseo – Direttore di palco

“La gestione di questo palco è diversa dal solito – spiega Alessandro – innanzitutto perché siamo al centro dell’Arena. È uno spettacolo, non solo un concerto, con una serie di eventi che si affiancano alla musica: ci sono 25 performer e cento figuranti, più i 21 musicisti. I performer hanno molti oggetti di scena, provati e costruiti ad hoc, durante le prove a Roma. Una particolarità è che il palco prende vita con le proiezioni, insieme alle coreografie. È diviso in tre tempi: la lunghezza media complessiva è di oltre tre ore.
“Le piattaforme in movimento servono anche a dare visibilità all’artista quando il palco è affollato di figuranti, grazie alla grande regia di Giuliano.
La squadra di palco include quattro backliner – Maurizio Vagliocchi, Fabio Sacchetti, Simone Palenga e Francesco Serpenti – poi il fonico di palco e io.
“Ci sono molti performer – continua Alessandro – e nemmeno un backstage, dato il palco centrale, perciò tutto viene coreografato. Tutto ciò che entra nel parterre dell’Arena è già sul palcoscenico: anche un piano portato in scena per essere suonato, viene portato dai performer, istruiti a dovere, in maniera elegante e coreografata. Tutti gli oggetti li gestiscono loro da quando varcano gli ingressi fino al palco. Poi ovviamente i tanti macchinisti coadiuvano questi movimenti all’esterno del parterre.
“Le difficoltà sono molte – aggiunge Alessandro – e serve attenzione. Ci sono più di 100 persone che devono essere raggiunte dalle comunicazioni: un semplice cambio di scaletta deve arrivare a tutti”.

Lo show visivo

Carlo Pastore – Lighting designercioci pastore

“Claudio è affezionato al palco a 360° – racconta Carlo – è stato il primo in Italia. A lui piace essere circondato e coinvolto dal pubblico, e insieme coinvolgere. A un certo punto della carriera, i 50 anni, l’idea è mettere in scena quello che è stato uno dei suoi punti di forza, la centralità. Il progetto è abbastanza semplice. A vederlo, l’allestimento sembra minimale, ma in questa apparenza concettuale c’è un grande studio, un grande lavoro di interazione con musicisti, performer, proiezioni, eccetera.
“Le proiezioni arrivano dal lato ovest e dal lato est, e mappano tutta l’area del palco. Per quanto siano potenti, altre fonti luminose possono sporcare o interagire, nel bene o nel male. Non si doveva rovinare il contributo, ma convivere e valorizzarlo. D’altra parte, il palco è pieno di performer che vanno illuminati: quindi c’è un grande lavoro di regia, di incastri”.

Così lavori molto con le ribalte?
Sì, il palco nel suo perimetro è contornato da P5 SGM con ottica da 43: sono macchine perfette per il ruolo. Queste danno luce di prossimità, il minimo sporco. In certi casi abbiamo collaborato con chi ha realizzato i contributi, affinché avessero un contorno che fosse in linea cromatica con l’emissione delle ribalte. Abbiamo lavorato con dei compromessi, ci siamo venuti incontro.

Non avendo luci a pioggia, hai queste torrette...
In realtà all’inizio il mio pensiero è stato semplice: non ho luci dall’alto, quindi sarà tutto un frontale, come un comizio. Nell’altro senso, sarà tutto di taglio, o tutto controluce: quindi alla fine il palco a 360° illuminato dall’esterno è solo un punto di vista, come il bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Devi far sì che ogni punto di vista goda di una prospettiva ideale per quanto riguarda la luce; lavoriamo in base alle posizioni dei performer, dell’artista, con grande lavoro di regia.
Stiamo usando dei VL4000 Spot, con cui siamo riusciti a fare molte scene sagomate, poi abbiamo in cima un VL4000 Beam Wash, che spesso usiamo per gli speciali sui musicisti, o sul palco, o per fare delle scene più pulite nella zona centrale. Poi abbiamo questi Sharpy Wash, che possono sembrare solo di contorno, mentre spesso usiamo la cintura interna per creare dei tagli che entrano sul palco creando belle situazioni di penombra o chiaroscuro. Poi per l’illuminazione del pubblico abbiamo pensato a delle Q7: non dei semplici blinder, perché ci danno la possibilità di interagire con i colori o con le scene di illuminazione; infatti non stiamo illuminando solo il palco, perché il palco è tutta l’Arena. Il progetto è di coinvolgere tutta l’area, come se il palco non ci fosse. Le Q7 non ci lasciano a piedi, anche in caso di pioggia. Va un plauso ad Agorà: su oltre 300 macchine abbiamo avuto solo due guasti causati dalla pioggia.

E sul perimetro dell’Arena?
Per la prima volta abbiamo fatto costruire queste casette, che ho seguito con Italstage, ricavate sopra quelle residenti. Il progetto è innovativo, qui non potevamo ispirarci a nessuno, siamo dei pionieri. Sopra abbiamo degli Spiider e dei Mythos.

La difficoltà principale saranno le proiezioni...
Conviverci è stato un lungo lavoro. Venivamo da prove indoor, dove avevamo proiettori molto vicini al palco, con ottica 0.60; di questa ottica 0.60, pur di proiettare sul palco, abbiamo ritagliato una piccola parte. La proiezione era molto debole, e le luci, con la nebbia, perfette. Quando siamo arrivati qui, come pronosticato, ci siamo trovati ad avere proiezioni potentissime e fumo inesistente. Ma il risultato è stato buono: passare dal vaglio della critica RAI, tra l’altro, è sempre abbastanza difficoltoso, ma i feedback sono stati ottimi. Abbiamo anche pedane mobili, che rappresentano un’altra problematica: il lavoro durante le prove è stato certosino.

Con chi hai collaborato per la programmazione?
Angelo Cioci ha assistito non solo in termini di programmazione, ma ha anche messo in piedi tutto il sistema al livello di rete. Noi stiamo lavorando su un piano che è sopra il piano dell’Arena; all’inizio del palco abbiamo sotto un metro di vuoto; avvicinandosi alla porta 37, che di solito è il backstage, abbiamo un’area tecnica sotto di 2 m, ci sono tutte le cabine due livelli sotto rispetto al nuovo piano. Quindi la progettazione nella distribuzione elettrica e di segnale è stata elaborata pensando ai due dislivelli, che poi si incrociano tra loro. Anche solo per pensare come ancorare le torri, non ci dormivano la notte. È stato bello, con tanti sopralluoghi, i settori che collaboravano...

Angelo Cioci – Programmatore Luci

“Tutta la rete – spiega Angelo – viaggia su cavo e fibra; sotto è tutta cablata in CAT5, mentre sopra arriviamo con la fibra. Le console sono due grandMA2 Light, con l’espansione Wing per tutta la sezione dedicata al direttore della fotografia, che seguiva i livelli durante tutto lo spettacolo per la trasmissione. Abbiamo una quarantina di universi DMX tra sotto e sopra, effetti speciali, CO2... il sistema è semplice ma ben congegnato, anche a livello di passaggi dei cavi e trasporti, per essere sicuri e ridondanti.
“È un network ArtNet, per avere la possibilità di poter distribuire il più possibile il segnale. Le due console sono linkate tra loro tramite uno switch Cisco utilizzando la porta uno delle due console. Al Cisco sono collegati, oltre alle console, due NPU della sala e una NPU del network dell’anello superiore. In questa circostanza le NPU servono solamente a garantire i parametri necessari alle console MA, e non vengono usate per le uscite fisiche. Dal’uscita 2 della console entriamo in un altro Cisco collegato ai due rack network che gestiscono le uscite fisiche del nostro sistema stage e i rack network dell’anello superiore. I rack del palco sono due e sono posti in prossimità delle due cabine elettriche. In ognuno dei due rack del palco c’è un nodo ArtNet ELC con gli splitter necessari. I rack network stage e il rack network FoH sono collegati tra loro con dei cavi Cat5, mentre tutto l’anello superiore è cablato in fibra”.

A livello di programmazione, c’è un time-code?
No, non c’è time-code. Ci sono stati dei ritocchi proprio all’ultimo momento, prima di iniziare lo spettacolo. La programmazione è in alcune parti semplice e in altre complessa: c’è una cue list principale in ogni canzone, poi per Carlo tanti special e cose manuali da fare e, in più, c’è tutta le sezione dedicata al direttore della fotografia. Quest’ultima, però, deve interagire con quello che fa Carlo, senza andare a disturbare la cue list principale ma interagendo insieme.
Bisogna ricordare che ci sono tante macchine spente che hanno solo degli special, e quindi devono stare in una posizione, con un certo colore, con un focus, per una certa cue list. Ci sono delle macro per la fotografia che abbassano i livelli non, per esempio, dei dimmer, quindi non registrati nella cue list; per esempio, con i VL al 50%, abbassa proprio il master dei VL, in modo da poter avere subito più o meno luce; se io l’avessi fatto nella cue list principale, lui avrebbe potuto solo abbassare o alzare tutto insieme. Invece con delle macro, io facevo muovere i fader “da soli” nella console perché così il direttore della fotografia, se avesse avuto bisogno di più luce, avrebbe potuto andare a interagire.
Queste sono le varie interazioni tra tutti; tante volte il direttore della fotografia era concentrato su alcune cose, Carlo aveva bisogno di riprendere il possesso di alcuni cursori, aveva dei tasti che andavano a rimettere la console in determinati tipi di assetti. Già dalle prove abbiamo interagito col direttore della fotografia, anche nelle sere quando non c’era la trasmissione.

Interviene Carlo e aggiunge: “Ci sono dei puntamenti che possono funzionare a livello di show live, ma in TV assolutamente no: bisogna tenere sempre pulito. Come dice Duccio Forzano, ‘la trasmissione è come una partita di calcio, devi seguire sempre la palla’, e in questo caso l’artista è la palla da seguire. Abbiamo tra l’altro sei segui-persona, quattro normalmente su Claudio, qualche volta sganciati se necessario, mentre due sono per gli speciali su musicisti o coriste”.

squadra videoFabio Ciccone – Responsabile video

“Io mi occupo di tutto l’impianto video – ci spiega Fabio – sono responsabile dei segnali, del corretto funzionamento dei proiettori, posizione, taratura, allineamento, geometrie, insomma di tutto. Sono di supporto poi ai ragazzi di D/Lab, che stanno facendo la messa in onda dei contributi. Tutte le immagini durante il concerto sono state pensate da Peparini e realizzate da loro. I contributi sono grafiche computerizzate, animazioni.
“La regia di controllo è francese, mentre le macchine e le proiezioni sono di Agorà. Abbiamo montato 12 proiettori da 25.000 lm, divisi per ogni lato, sei sul sinistro e sei sul destro. Sono proiettori laser Epson, ottime macchine. Abbiamo suddiviso il palco in due porzioni, fronte destro e fonte sinistro, e abbiamo accoppiato sei proiettori per ogni metà, poi uniti in un’unica immagine. In altri termini, tutto il lato sinistro viene fatto da sei proiettori, tre su un fronte e tre su un altro, e simmetricamente tutto l’altro lato”.
“I proiettori sono connessi in fibra ottica, i segnali sono solo in fibra. Ci sono due fibre con otto canali, ogni terna di proiettori è un canale video. Arriviamo su con quattro segnali video distinti che vengono poi ricomposti in proiezione. Parte tutto da qui, e va direttamente in fibra ottica fino ai proiettori”.

Il fatto di non aver usato il LED sul palco è stata una questione economica o c’erano altre problematiche?
Credo una scena artistica. Con le proiezioni avevano modo di poter mappare gli oggetti, di dare colori, di dare tridimensionalità.

Essendo un palco anche in 3D, come lo avete gestito?
Con delle maschere, per non sporcare le parti che non volevamo fossero proiettate. Quindi i ballerini si muovono in base a dei punti di riferimento per non intralciare le proiezioni.

Con cosa viene gestito il tutto?
Il software utilizzato da D/Labs è Smode, un software realizzato in parte da loro. Molto dinamico, può realizzare molte idee in real-time, senza rendering.

Com’è composta la squadra video?
Per le proiezioni, siamo in quattro: io, Saverio Ranalli, Daniel Pallone e Fabrizio Lopez. Francesco Previdi e Matteo Buttice si occupano della messa in onda, e ieri c’erano altri due responsabili.

Francesco Previdi – Operatore Video

“Io ho svolto il ruolo di supporto alla fase creativa – spiega Francesco – con D/Labs, che fornisce sia creatività sia supporto per poterla comporre: di fatto Smode è una macchina che fa compositive 2D e 3D in tempo reale. Abbiamo due Smode Station fornite da D/Labs, quattro uscite in 4k, che in realtà stiamo usando in Full HD.
“È un tipo di workflow simile a quello del veejaying, ma con uno stile più professionale: ha qualcosa che assomiglia ad After Effects ma senza dover affrontare tempi di rendering, di esportazione filmati – viene tutto realizzato in tempo reale. Si preparano prima alcuni video di base, alcune maschere, per poter elaborare il colore in modo molto veloce, ma anche le forme, le geometrie. Poter fare animazioni tutte in macchina è un modo di lavorare molto bello per Giuliano Peparini, perché ha la libertà in poco tempo di creare e modificare.
“L’80% delle decisioni sui contributi – continua Francesco – viene da Peparini, che conosce bene la macchina. Il restante 20% viene da tutti noi, che facciamo qualche proposta, che poi lui scarta o usa come base da modificare. Lui non ha nessun controllo sottomano, ci dice cosa fare e noi eseguiamo”.
“Si fanno delle scene per le ambientazioni, e in fase di finalizzazione si mettono le animazioni dove devono stare in relazione alla musica, in relazione a quello che succede sul palco e, praticamente, si compone da zero la scena.
“C’è un lavoro di setup da cambiare di luogo in luogo – conclude Francesco – però il modo di produrre il contenuto è qualcosa di diverso dal solito. È quasi un modo artigianale: scolpito a mano sul posto!”

dangeloDavide D’Angelo – Operatore alle automazioni

“Le pedane sono fornite da BOTW – ci spiega Davide – mentre il progetto è stato fatto insieme alla produzione e al regista, Peparini. Dalla parte di BOTW, siamo in due per il montaggio, ma poi rimango solo io per l’assistenza. Continueremo anche in tour, siamo stati richiesti.
“Ci sono otto pedane mobili di 2,40 m × 1,20 m circa, in posizione centrale sul palco per poter formare diverse configurazioni, scale, movimenti vari. Hanno un’elevazione massima di un metro. Le configurazioni, essendo un palco centrale, sono perlopiù simmetriche per la visione da parte di tutto il pubblico.
“Sono fatte su misura – continua Davide – in origine per il musical di Romeo e Giulietta, di David e Clemente Zard, seguito da Peparini. Le ha volute anche qui, un po’ modificate per adattarsi al palco più alto.
“La meccanica per la movimentazione è una forbice con vite senza fine, motori per muoverle ed encoder assoluti.
“La console di comando è stata costruita apposta per queste pedane, mi permette di programmarle in velocità, posizione, o stabilire dei ritardi di partenza tra una e l’altra. Utilizzo una sessantina di cue”.

L’audio

Maurizio Nicotra – Fonico FoH

“Questo, per me, è un prolungamento di Capitani Coraggiosi – ci dice Maurizio – ma solo con Baglioni. Bene o male la struttura dei musicisti è quella, ovviamente con arrangiamenti rivisti da Paolo Gianolio per questa occasione dei 50 anni.
“Abbiamo Elio Rivagli e Stefano Pisetta, due batterie. Mentre prima quando un batterista non suonava andavano le percussioni, qui invece rimangono entrambi alla batteria, e usano delle drum machine alle loro postazioni invece di un set apposito di percussioni. Mario Guarini al basso usa il solito setup, come pure i tastieristi. Abbiamo un chitarrista nuovo, Chicco Gussoni.
“Le chitarre vengono entrambe dal Kemper – continua Maurizio – e hanno solo due cassettine per ascoltarsi. Poi ci sono i quattro archi con i d:vote 4099, il meglio che c’è, e poi i quattro fiati con una microfonatura più precisa. Per quanto riguarda tastiere varie, abbiamo due tastieristi, Roberto Pagani al piano e Pio Spiriti all’Hammond; poi Aidan Zammit per effetti vari.
“Non ci sono tantissime sequenze, qualcosina in qualche brano, qualche suonino che si vuole riprodurre. Non i cori, però: abbiamo cinque coriste, tutte donne.
“Le coriste cantano con dei Beta58 radio. Claudio usa il solito DPA d:facto: non riusciamo a sganciarci da questo microfono spettacolare. Durante lo show usa sia il DPA sia un archetto. Per la sua voce, ho sempre un plug-in compressore C4, che mi aiuta a controllare la parte medio-bassa, magari quando si avvicina, poi il plug-in SSL per l’EQ, un R compressor e un de-esser. Come processore esterno uso quattro macchine TC Electronic, mentre il resto è sul SoundGrid o all’interno della console. L’SD7 è usato in un sistema completamente ridondante, con doppia superficie e doppi splitter, per essere immuni a qualunque tipo di problema. Anche il SoundGrid è ridondante.
“Però – conclude Maurizio – non avevo mai fatto un 360°. Per quanto riguarda l’ascolto, la richiesta era di dare visibilità a tutti, non impallare, eccetera. Il parterre è servito dalle Syva, piccole e strette, un buon compromesso; per il resto, ovviamente, il KARA distribuito sui 16 cluster. E neanche uno per me!”

Infatti! Negli altri show a 360° che abbiamo visto, per esempio gli U2, la regia era posizionata davanti ai due cluster del lato più corto di palco, lo stesso per i Muse: qui non sarebbe stato meglio andare sul palco reale dell’Arena?
Il problema è che l’Arena era tutta venduta e il progetto di cablaggio già stabilito; mi sono dovuto adattare. Ho aggiunto in regia due cassettine per il minimo. Preferisco sentire il suono non diretto, quello che succede veramente: però quelle almeno se qualcuno si mette davanti alla Syva non mi lasciano fuori dal mondo. La situazione come outboard è la solita, con il SoundGrid, non eccessivamente usato.

A parte fiati e batteria, non c’è molto rumore sul palco: ma avendoli in posizioni diverse, ti crea problemi?
Dà una sensazione diversa. Io sono dal lato di Elio, quindi quando suona vuoi o non vuoi un po’ di batteria la sento; con Pisetta invece per niente. All’inizio volevamo mettere il plexiglas, per non far arrivare al pubblico vicino solo la batteria: invece mi sono seduto lì, ed è stato emozionante, perché comunque vedi il batterista che suona, cosa che non accade mai, e lo senti miscelato con tutto il resto. I musicisti sono perlopiù negli angoli, e questo crea un effetto particolare, soprattutto qui all’Arena.

Al livello di mix, come raggruppi?
Uso i gruppi solo su alcune cose, il resto sono VCA. Per esempio, sui fiati ho sia VCA sia gruppo, per inserire un multibanda; lo stesso per i cori. Se il brano è più contenuto, vado di VCA, se invece voglio più spinta, tiro su il gruppo. Quindi ho gruppi solo sui fiati, sui cori, sugli archi, eccetera... Ho creato un totale delle due batterie, ovviamente senza le casse: ho bisogno infatti che siano sganciate da tutte le automazioni, perché se ci sono troppe frequenze basse, devo toccare solo queste parti in un gruppo. Se poi abbiamo cambiamenti più importanti bisogna rifare tutto: abbiamo sub-kick, Beta91 e Beta52, io sono abbastanza preciso e quindi quando cambiano la pelle rifacciamo un check, allineiamo i mic, eccetera. Il gruppo aiuta per le piccole correzioni.

Tu esci con LR?
Quando lavoro con Daniele, Grilli, o altri di Agorà, mando solo un LR. Sono sempre molto contento di lavorare con Tramontani e tutta la squadra Agorà, dai backliner al fonico di palco. Quando non lavoro con loro magari tengo l’uscita per il sub a parte. Durante il concerto, se proprio sento qualcosa di strano vado sul mio EQ della matrice; qui Daniele mi ha fatto una richiesta:  essere più gonfio possibile, non scavato nella parte bassa. Poi per l’allestimento preferisco fare le nottate: i virtual sono la nostra salvezza da un lato, condanna dall’altro, ci lavori molto, è un’indicazione di quello che succederà.

Come avete gestito l’audio per la messa in onda di ieri?
Avevamo una messa in onda fatta da Lorenzo Cazzaniga, che è stato un po’ di giorni con noi, sempre con SD7. C’era il White Mobile di Amek, quindi lui ha dato un LR completo, con tutti gli ambienti sistemati e finiti, consegnato a loro. Io registro poi per il virtual, tramite Mac Mini, con DiGiGrid su Reaper. Ormai in questi contesti, per esempio le prove musicali, la prima cosa che chiedono è subito la registrazione, il file: con Reaper viene comodo, faccio subito il normalize e butto dentro un maximizer e via.

nicotra tramontaniDaniele Tramontani – sound designer/PA engineer

“Questa è una grande sfida di Agorà – racconta Daniele – partita circa un anno fa quando è stato richiesto da Claudio di creare questo sistema a 360°; il progetto è stato inizialmente portato avanti da Orlando Ghini e da me, insieme, fino a un mese fa, quando abbiamo fatto l’ultima prova nel cortile di Agorà.
“Abbiamo fatto tante prove, tante previsioni, e alla fine abbiamo deciso di lavorare in questa direzione: abbiamo scelto L-Acoustics perché al momento ci sembrava la scelta più sicura, non c’era margine di errore.
“Abbiamo montato in due giorni – continua Daniele – per poi iniziare con le prove: non c’era la possibilità di dire ‘adesso vediamo’. Sono stati montati i plinti sotto l’Arena, già nelle posizioni in cui sarebbero stati funzionali per il montaggio delle torri, con tutti i basamenti. Poi alla fine del concerto di Bocelli dell’altra sera, è stato smontato tutto, creato il piano, aperte le botole, messe le americane e montato il sistema.
“Questo sistema è composto da due parti, un anello sulle torri che copre tutte le tribune e il corridoio basso delle tribune: sono 16 cluster di 12 KARA, montati su dodici torri – quattro doppie e otto singole. Poi le dodici torri hanno a loro volta due casse che puntano sul corridoio per fare il downfill del sistema, perché non si poteva piegare ulteriormente il cluster.
“Per coprire tutto il parterre – continua Daniele – che attorno il palco in alcune zone è molto piccolo, dieci metri di sedie, usiamo Syva. Sull’altro lato, quello lungo, abbiamo aggiunto due Syva come delay.
“I sub sono quattro su ogni torre: due a due in configurazione end-fired alle basi delle torri. Poi, attorno al palco c’è una cintura di 16 sub con dei mini archi elettronici, dato che Claudio ha chiesto di non avere troppe basse sul palco. In effetti le casse sono molto arcuate virtualmente, ci sono 8-9 ms tra una e l’altra, quindi la curvatura crea una forte cancellazione dietro: nella simulazione, è proprio visibile un buco posteriormente.
“Comunque è stata una scommessa: io avevo provato solo una torre a marzo, per vedere se stava in piedi, se funzionava e, aldilà di quello, abbiamo verificato il resto solo quando abbiamo acceso qua. L’unica possibilità di prova erano i preview su Soundvision, che per fortuna si sono rivelati molto vicini alla realtà. Poi, altra cosa che non ci aspettavamo, è che un 360° è sempre disastroso per l’audio, perché hai sempre una coppia di cluster verso di te e tutti gli altri contro: qui avevamo lo stesso problema, anche perché i grappoli sono tanti ma non grandissimi, e quindi con un controllo di direttività abbastanza limitato. Avevamo un po’ paura col KARA sulla parte medio-bassa, invece è molto pulito.
“I sub in end-fire lavorano molto bene verso la tribuna, e non danno noia a chi è seduto anche solo a un metro di distanza. Sono quattro, due dietro e due davanti: se vai davanti hai la massima potenza, se vai dietro la massima cancellazione. Quindi sono due impianti praticamente separati, noi potremmo lavorare solo con la platea o solo con le torri. La cosa che ci è piaciuta è che... funziona!”.

In termini di distribuzione, è difficile?
Molto complicato. Avevamo la possibilità di lavorare sia in analogico sia in digitale: per avere il massimo della libertà possibile io ho preferito usare ancora i Galileo, che sono le macchine più potenti sotto questo punto di vista. Il segnale viene inviato in analogico con sei multicore, più uno per i comms e uno spare. Uso quattro Galileo quasi pieni dai quali escono 48-50 canali che se ne vanno in giro in analogico; anche qui non avevamo tempo in caso di errore: “non funziona?”, ok, stacco quello e metto l’altro cavo. Avevo tre punti dove non andava, ho cambiato il cavo e ho risolto. Il problema delle reti è che se succede qualcosa si ferma l’intera rete, quindi servono “paracaduti” molto grandi; con l’analogico il paracadute è il cavetto di scorta.

Deve comunque essere una battaglia, per il fonico.
La prima sera ci siamo resi conto che abbiamo messo la regia nell’unico punto dove non c’erano le casse. Allora abbiamo messo altre due cassettine per il fonico. Ma la distribuzione generale è talmente uniforme che spesso lavora senza le casse di riferimento, perché se metti un microfono dove si trova lui, la risposta in frequenza è flat! Lui manca di un po’ di fuoco, se sei abituato a sentire il left e right esattamente al centro di due grappoli perfetti, quello manca, ma dal punto di vista del bilanciamento tra le varie cose, ci sei pienamente. Si poteva trovare una posizione migliore del mixer, ma ci è venuto in mente tardi. Però il risultato è buono, sono contento, soprattutto di aver condiviso questa cosa con Orlando.
Ovviamente SIM mi ha aiutato con tutti gli allineamenti. Per fortuna, l’Arena è divisa in quattro blocchi, tutti quasi simmetrici: si può fare un quarto e poi un copia-incolla con qualche accorgimento.

Quando si arriva nella tribuna più in alto, c’è qualche zona meno bella?
Beh, ogni line-array ha la sua massima efficienza al centro, quindi il suono è ottimo a metà tribuna. Più vai su, più inizia a svuotarsi, per due effetti: uno perché vai all’esterno del grappolo, due perché esci dalla combinazione di fase tra sub e grappolo. Volevo fare la combinazione in cima, ma poi ci ho ripensato. In alto, siccome il grappolo punta molto in alto, abbiamo rialzato le tre casse che puntano in alto, per linearizzare almeno la risposta della parte medio-alta, mentre per la parte medio-bassa chiaramente ti devi affidare a quello che fa il grappolo. Però anche le EQ sono molto parche, poca roba, un po’ nel rispetto della giusta filosofia del non stravolgere mai l’impianto. Se la macchina nasce in un modo, è perché ha una sua logica. I ritocchi che si fanno sono in funzione della dimensione del sistema, in funzione della risonanza dell’ambiente in cui ti trovi, ma non c’è da stravolgere nulla.

scafatiRemo Scafati – Fonico di palco

“Come al FoH – spiega Remo – anche qui c’è un setup completamente ridondante: Oltre alle due console, la rete è composta di due anelli Optocore DiGiCo splittati a monte da uno splitter passivo, e di fatto sono due sistemi indipendenti. Io controllo il guadagno su tutti i pre.
“Essendo due anelli separati – continua Remo – sono sincronizzati da un clock Antelope: sono due universi separati ma che devono incontrarsi, per esempio nella condivisione dei local della DiGiCo dove prendo le uscite, che vengono da due console e due ring Optocore differenti, e devono essere sincronizzati a monte. Lo stesso se si scambiano segnali MADI tra le console.
“Per quanto riguarda la mia regia, ho una cinquantina di mix, in totale. Uso degli effetti esterni per la pasta a cui sono abituati gli artisti, giusto tre Yamaha SPX2000, due Lexicon PCM91, mentre il resto è all’interno della DiGiCo.
“Ci sono molte radio frequenze. Addirittura, anche il pianoforte, che entra al volo, arriva via radio, con un gruppo di continuità che lo alimenta.
“Ci sono dieci canali Axient – spiega Remo – sei per i palmari delle coriste e quattro per le chitarre di Claudio. I mic dell’artista sono Sennheiser SKM5200 con capsula d:facto, e archetto HSP 4 Sennheiser su bodypack SK5212. Poi ci sono altri canali, per piano e chitarre radio, e gli in-ear sono parecchi, vista l’esigenza di mobilità. Gli IEM sono 16 canali di Sennheiser 2000. In più, alcuni musicisti hanno il loro mixerino con gli ascolti separati, mentre gli archi e fiati hanno un sistema Roland.

Che auricolari usa claudio?
Le Ultimate Ears UE7A. Serviva una cuffia un po’ scarica sulle basse. Le coriste usano sistemi misti: Earfonik, Shure e altri. I fiati hanno le cuffie grandi, essendoci problemi di compressione quando usi uno strumento a fiato, la cuffia molto chiusa crea un effetto sgradevole, cambia la dinamica dell’emissione: preferisco usare delle Sony 7506.

Una situazione in cui i musicisti non si vedono tra loro, ti crea problemi?
No, perché avere delle scene sul banco significa che si possono mettere in evidenza facilmente gli elementi per l’esecuzione del brano. Loro sono affiatati, e con le memorie non serve un particolare rapporto visivo, arriva quello che ognuno si aspetta. Sono abituati a non essere compatti. Abbiamo fatto 3-4 giorni in saletta prove, e poi abbiamo montato il palco, come lo vedi adesso, in uno studio televisivo, e quindi siamo partiti così.

Lo show

Ogni tanto abbiamo il privilegio di assistere a un piccolo pezzo di storia, anche se dobbiamo aspettare qualche anno per capire quali tra gli eventi a cui assistiamo resisteranno nella coscienza collettiva. Nel nostro mondo, negli ultimi anni, siamo sicuri del significato di alcuni eventi – Campovolo o Modena Park, per esempio – ma pensiamo che anche Al Centro lascerà un segno indelebile. Per parafrasare Daniele Tramontani, forse questa è la prima volta dai tempi dei Romani che uno show a 360° nell’Arena non riguardi lo spargimento di sangue.
Lo show, come da prassi per Baglioni, è molto complesso e coreografato al minimo dettaglio. Oltre che dagli innumerevoli performer coinvolti, il palco viene animato dai contributi grafici creati su misura e mappati con maestria da D/Labs e, nonostante le lunghissime gittate della proiezioni, questi non soffrono mai la concorrenza di altre sorgenti luminose. Abbiamo passato la maggior parte dello show a guardare dai posti più in alto e, forse, lo show è stato ancora più coinvolgente da lassù, grazie all’eccezionale coordinamento tra questi contributi e gli effetti luminosi che usano come telo principale il pubblico e le gradinate. Tutte le scelte per lo show visivo sono state azzeccate.
Per quanto riguarda l’audio – proprio perché abbiamo passato gran parte dello spettacolo girando fra le gradinate alte – possiamo testimoniare che la copertura è stata studiata ed eseguita alla perfezione. Anche sul parterre, abbiamo visto la grande utilità dei Syva in questo tipo di applicazioni: con la loro copertura molto aperta riuscivano a riempire sezioni intere, pur partendo da posizioni abbastanza esterne rispetto alla visuale del pubblico. È un altro tassello per Agorà e per Tramontani, e una trionfante ultima opera di Orlando.
La questione delle dodici torri intorno al palco è forse sempre un compromesso in termini di visibilità dall’alto, ma se qualcuno ha un’idea migliore, siamo sicuri che i produttori ancora aspettano di sentirla.
Il suono è stato una vittoria a tutto tondo – anche il mix di Nicotra è stato sempre ottimo, nonostante l’abbia dovuto creare e gestire da una posizione non ottimale.
Questa produzione partirà in tournée da Firenze, a ottobre, continuando fino alla fine di novembre, per poi riprendere nell’anno nuovo. Attendiamo di tornare a vedere la versione adatta ai palasport.

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