Alex Tricarichi - Fonico FOH
L’artista festeggia trent’anni sulle scene con una squadra tecnica ormai più che rodata.
Siamo ritornati a vedere Max a fine marzo, a Bologna. Abbiamo trovato un palasport pienissimo e un artista che sta vivendo una nuova giovinezza. Andiamo dunque a vedere cos’è successo dietro le quinte di questa produzione targata Vivo Concerti e coordinata sul campo da LemonandPepper.
Alex, a colpo d'occhio sembra lo stesso setup dell'altra volta, ma immagino che nasconda qualcosa.
Niente di stravolgente, anche questa volta giriamo leggeri, con una console Avid S6L e in aggiunta un server Waves, ovviamente con ridondanza. Per gli effetti, fondamentale è poi LiveProfessor della Audiostrom, che essenzialmente uso per i riverberi. Per quanto riguarda i canali, tutto è molto semplice: la batteria prevede una parallela comandata da un VCA; gli strumenti sono divisi per gruppi e processati tra di loro, per poi convergere in una ausiliaria di tutta la sezione strumentale. Una particolarità è che su questa mandata è inserito un EQ Waves F6 con la voce principale che lavora in sidechain solo sulla componente monofonica del canale: quando Max canta, la banda delle medie viene abbassata nella componente monofonica del segnale di circa 1 dB e mezzo, lasciando spazio per la voce nel mix senza andare a toccare il segnale stereofonico. È una tecnica da studio, ma riportata in live: la voce in sidechain va a bucare leggermente la componente mono della base, per far uscire più la voce senza comprimere tutto. E in questo modo, si lascia il resto della base intatta, sia nelle frequenze in cui la voce non è incisiva sia nella componente stereofonica occupata da synth e quant’altro.
In questo ultimo periodo osservando le varie produzioni ho l’impressione che l’audio si stia un po’ standardizzando.
Per quel che riguarda noi, lo spettacolo di oggi condivide la scaletta con molti show precedenti, per esempio con il tour del 2020 incentrato sui pezzi degli anni Novanta o con il concerto di San Siro. Questo tour celebrativo riprende molte di quelle hit, e quindi molte scene le ho recuperate. Pure la band è sempre quella, a parte il nuovo bassista, e pure gli arrangiamenti: dato che lo show funzionava bene, io sono ripartito da quello. Più che standardizzato, direi che il nostro approccio è figlio di un percorso.
Avid è ancora un tuo punto di riferimento?
Per me sì: mi piace il routing del segnale, mi piace l’uso degli eventi… Si tratta di dettagli che alla fine fanno la differenza. Ormai non guardo tanto ai plugin: gli effetti del banco sono Waves, e potrei usarli ovunque, su DiGiCo o altrove, quindi non è quello a farmi scegliere una console o l’altra. Certo, a breve la storia potrebbe cambiare: settimana prossima uscirà il plugin oeksound Soothe Live per S6L, e quello lo scaricherò subito, e credo che farà una vera differenza.
Poi, se dovessi preparare uno spettacolo da zero, magari penserei a soluzioni diverse. Qui invece è già tutto rodato, impostato, e dopo sessanta concerti ci troviamo molto bene e lavoriamo davvero sui dettagli.
Ovviamente a inizio tour sistemo sempre qualcosa, qualche refuso che avevo lasciato in sospeso nel giro precedente. Un esempio: avevo fatto una parallela sulle chitarre di Davide Ferrario, che lanciavo in timecode durante gli assoli, per dargli più presenza. Poi alla fine ho visto che il guadagno in termini di qualità non valeva la fatica. Anzi, si creavano guai di fase e allineamenti, quindi ho tolto tutto.
Usi il timecode in questo giro?
In realtà, lo uso poco: luci e video sono in timecode, ma io non amo che le mie scene si richiamino automaticamente. Se c’è un problema tecnico, preferisco avere il controllo. Per esempio, ieri sera è successo un disguido proprio nell’unico momento in cui ero agganciato al timecode: le sequenze di un pezzo sono partite dalla macchina B, anziché dalla macchina A, mentre il remote controller MIDI lanciava comunque la macchina A. Così, quando è partito il pezzo, il server ha fatto partire un contributo diverso per qualche frame, generando il panico. Il video si è sganciato subito e si è salvato, io invece – che, ripeto, solo in quel passaggio veloce ero agganciato – mi sono ritrovato catapultato sulla scena iniziale, e ho dovuto switchare fino a quella giusta alla velocità della luce. Il buco è durato un secondo, ma diciamo che abbiamo sentito l’adrenalina.
Il materiale è tutto Agorà?
Sì, con la squadra Agorà ci troviamo sempre bene. A inizio tour c’era Antonio Paoluzi a occuparsi dell’audio, mentre ora c’è Hugo Tempesta. Sono tutti professionisti eccezionali con cui lavoro sempre bene. Anche l’impianto di K1 e K2 con sub sospesi è basato sul progetto di Antonio, e ce lo portiamo dietro volentieri.