Aldo Visentin
Il Leone e il Ragno
di Alfio Morelli
Un personaggio che ho avuto il piacere di conoscere da tempo e di cui ho seguito passo passo il percorso professionale. Nel suo racconto riconosco molte verità che condivido pienamente.
Nasco a Padova, da una famiglia normale; mio padre aveva un’officina meccanica che riparava le auto, molto ben avviata, con una quindicina di dipendenti. Ho frequentato le scuole superiori per Perito Industriale Meccanico, proseguendo il percorso presso l’officina paterna con diversi corsi di specializzazione alla FIAT: smontavo e rimontavo le prime centraline elettroniche ad occhi chiusi.
In quel periodo il mio unico interesse ed hobby era l’aereo modellismo. Ovviamente avevo una compagnia con la quale vivevo la mia giovinezza, ma sinceramente le cose di tutti i giorni non mi coinvolgevano più di tanto, finché un mio amico, in un pomeriggio festivo, mi trascinò in discoteca. Accettai mio malgrado. Entrammo in questo luogo semibuio, con una musica di sottofondo, aspettando che la gente entrasse. Ad un certo punto la musica salì, le luci si accesero ed iniziò una girandola di emozioni: venni fulminato dagli effetti luminosi che quelle luci riuscivano a sprigionare. Quello fu il mio primo approccio con la luce.
Da quel momento, con il mio motorino Califfo Mustafà dell’Atala, cominciai a girare tutte le discoteche del padovano e zone limitrofe, finché in una discoteca mi permisero di salire in regia per azionare le luci. Da quel momento nessuno è riuscito a togliermi dalla testa il mondo delle luci, anche se in questa passione non ho mai avuto l’approvazione dei miei genitori che vedevano in me l’erede naturale del padre alla guida dell’officina.
Anno dopo anno e discoteca dopo discoteca, diventai il responsabile tecnico di una grossa struttura; il culmine fu quando andammo a Rimini per il SIB e tornammo a casa con l’acquisto di 28 Golden Scan della Clay Paky controllati con protocollo RS232, seguito l’anno successivo dall’acquisto di due laser acquistati da una ditta inglese. I fornitori del laser furono tanto soddisfatti dal mio operato che la nostra discoteca divenne la loro showroom, in cui portavano i nuovi clienti per le dimostrazioni e le vendite.
Dopo circa due anni mi proposero di collaborare con loro e di spostarmi a Londra. Accettai: inizialmente facevo il pendolare, tornando a casa ogni settimana o quindici giorni; poi decisi di trasferirmi a Londra, presso la Laser Innovations, questo era il nome dell’azienda. Il mio compito era quello di supporto alle vendite ed anche di operatore nei vari spettacoli in cui l’azienda stessa affittava i laser. Così, oltre a tanti spettacoli, lavorai anche ai tour di Bon Jovi, Spice Girls e a cinque edizioni del Festival di Viña del Mar in Cile.
Nell’ultimo periodo della mia collaborazione, la ditta acquistò un bus inglese a due piani, nel cui piano inferiore fu organizzato lo spazio notte con i servizi, oltre agli spazi in cui era alloggiato un chiller, cioè uno scambiatore di calore che serviva per raffreddare i laser, ed era stivato l’impianto audio JBL. La parte superiore ospitava invece la cucina con uno spazio relax e, in una seconda parte, tutti i laser con la control room. Infine, agganciato al bus, avevamo un rimorchio con il generatore di corrente che ci rendeva completamente autonomi. Con questo mezzo abbiamo girato l’Inghilterra in lungo ed in largo presenziando vari festival, feste e avvenimenti fra i più stravaganti.
Durante questo ultimo periodo della mia avventura in Inghilterra, mi arrivò la proposta di Pio Nahum di tornare in Italia, perché cercavano un professionista con i miei requisiti per organizzare la nuova sede Martin a Udine, e questo segnò il mio ritorno in patria.
Nell’organizzazione Martin avevo il ruolo di assistente alle vendite e responsabile dell’education. Organizzavo corsi, sia in sede che in giro per l’Italia. Ricordo i corsi fatti a Napoli e a Roma a cui parteciparono molti direttori della fotografia RAI. Erano i tempi in cui facevano le prime apparizioni i proiettori a testamobile, considerati oggetti misteriosi. Quell’esperienza fu talmente apprezzata che mi chiamarono anche dalla Danimarca, sede generale della Martin, per organizzare corsi a livello internazionale per i dealer ed i clienti direzionali.
Con l’uscita di Pio Nahum dalla Martin però anche il mio interesse svanì. Così, sempre nello stesso periodo, venni contattato dalla SGM: l’idea mi piacque e così mi trasferii in Romagna: sicuramente le dimensioni dell’azienda erano diverse rispetto a Martin, ed anche le abitudini e l’organizzazione, ma trovai un ambiente ed un territorio ottimale come qualità della vita, tanto che abito ancora qua!
Mentre collaboravo con la SGM, avevo ripreso a lavorare in diversi spettacoli, fra cui quelli di Andrea Bocelli, non ancora all’apice del successo, anche se questo artista prendeva sempre più spessore e stava creando un gruppo di lavoro meraviglioso, con Andrea Taglia come responsabile audio, il fonico Francesco La Camera, Paolo Marchetti in veste di responsabile luci ed io stesso come lighting designer ed operatore, un team che funziona benissimo ancora oggi.
Ti ritieni più un operatore luci o un lighting designer?
Nasco come operatore luci per poi diventare anche un disegnatore luci.
Sono due compiti così diversi, in fondo?
Il lighting designer è un architetto, una figura creativa, mentre l’operatore è un geometra, con molta più sostanza, colui che conosce anche molto bene tutte le apparecchiature che controlla. Non è raro incontrare dei professionisti che collaborano spesso insieme, e queste collaborazioni frequenti li fanno crescere e progredire di pari passo.
Il tuo percorso professionale è iniziato in discoteca con laser e luci di grande effetto, mentre oggi ti trovi a lavorare in spettacoli in cui le luci sono ovviamente molto più statiche: mi spieghi la differenza dal tuo punto di vista?
Nella discoteca e negli spettacoli rock, la luce deve essere protagonista fino quasi a sovrastare la musica, mentre in spettacoli come quelli di Andrea Bocelli la luce non deve essere notata, ma deve essere percepita.
Già nelle discoteche avevo notato e testato che il disegno luci modificava tantissimo la reazione della gente, pur con la stessa musica. Da quel momento mi sono fatto la convinzione che la luce è energia, un concetto che cerco di riportare negli spettacoli di Andrea, interpretando la musica con le luci per darle più carica emotiva. Concerto dopo concerto cerco di interpretarla sempre meglio e di dare quel valore aggiunto che, comunque, non deve mai prevaricare l’interpretazione dell’artista.
Le reazioni cambiano anche col pubblico? Secondo la tua esperienza internazionale, il pubblico brasiliano reagisce come quello giapponese?
Sì, le reazioni del pubblico cambiano moltissimo nei vari paesi: non si possono proporre lo stesso spettacolo e la stessa scaletta a Rio o a Tokyo, ad ogni pubblico occorre dare un diverso tipo di emozione.
Con Andrea sei impegnato una cinquantina di date all’anno, per il resto del tempo cosa fai?
Se consideri che per preparare uno spettacolo occorrono una decina di giorni, tra la preparazione, la trasferta ed il ritorno, del tempo non ne rimane poi tantissimo. Comunque nei ritagli di tempo faccio due cose che amo molto: studio le nuove tecnologie e continuo ad avere collaborazioni, organizzando corsi con diverse scuole, dall’Accademia di Brera, al Politecnico di Milano o all’Accademia della luce di Siena, oltre ad alcune collaborazioni con qualche azienda.
Cosa ti senti di consigliare ai giovani che sono all’inizio del percorso?
In questo lavoro è fondamentale avere una grossa ambizione e le idee chiare, occorre sapere dove si vuole arrivare, nonché lavorare e soffrire per arrivare all’obbiettivo prestabilito. In questo lavoro o sei leone o sei ragno: o cerchi subito la preda grande per azzannarla e fare una grande abbuffata, con il rischio di rimanere poi a bocca asciutta per lungo tempo, oppure, come il ragno, giorno dopo giorno tessi la tua tela che, una volta finita, dà la possibilità di trovare continuamente nuove prede, magari piccole, ed avere un futuro meno incerto. Ma ragni o leoni... bisogna darsi da fare!
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