Le sorgenti sonore
Un modo classico per iniziare lo studio delle sorgenti sonore è impiegare le sorgenti semplici...
Quando ho cominciato ad occuparmi di audio, molti anni fa, la mia passione erano le casse acustiche e non era facile trovare documentazione e libri dai quali imparare. Intendiamoci: oggi con il senno del poi, so che le basi dell’acustica erano già state studiate, scritte e perfettamente descritte. Semplicemente ero troppo giovane per ricercare i titoli e procurarmeli. Non esisteva Internet, non esistevano nemmeno i personal computer. I database, se esistevano, erano cartacei e chissà dov’erano.
Il mio primo lavoro retribuito (si fa per dire) fu proprio in una libreria. Nulla di intellettuale. Si trattava di sgomberare vecchi magazzini di carta ormai da macero e libri obsoleti.
Con l’aiuto del capo commesso e dei suoi cataloghi, scoprii ben presto che in Italiano sulle casse acustiche esisteva poco o nulla. Provai a scrivere, quasi a casaccio, lettere a case editrici estere che nemmeno rispondevano. Trovai qualcosa in francese sulle trombe e mia madre mi aiutava a tradurre. Va tenuto presente che l’HI-FI era solo agli inizi di quello che si rivelò poi un fenomeno di mercato gigantesco. Comunque, anche successivamente, in pieno boom, l’unica fonte italica furono – e credo siano ancora un caso unico – la serie dei bellissimi libri di Paolo Viappiani.
Tornando ai primi tempi, più grandicello, alla Davoli, Emilio Spaggiari dell’ufficio tecnico mi mostrò una raccolta di Wireless World che mi tolse il fiato. Lessi tra l’altro gli articoli di Sir Sigfried Linkwitz, ingegnere alla Hewlett & Packard, che, volendo costruirsi lo stereo di casa, affrontava uno di seguito all’altro alcuni argomenti fondamentali, compresa la teoria dei filtri ed inezie quali l’allineamento temporale delle sorgenti di emissione. Non ho più nemmeno le fotocopie di quegli articoli, ma credo fossero del 1969. Molti anni più tardi, quando incontrai Chas Brooke e Nigel Olliff della BSS, quelle letture mi aiutarono non poco nell’inizio di un rapporto, di lavoro prima e di amicizia poi, che fortunatamente dura ancora oggi. BSS – doveroso ricordare e citare Stan Gould, il terzo elemento – aveva infatti già proposto ed imposto come standard mondiale di fatto i filtri Linkwitz-Riley 24 dB/oct per gli utilizzi professionali. Tutti i maggiori costruttori di casse approvarono ed adottarono con entusiasmo la proposta della BSS per solidissime ragioni teoriche e pratiche. È interessante notare come allora, su semplice base scientifica, tutti si allinearono sulla stessa scelta: decisamente, altri tempi.
Quello che so, è che comunque è estremamente difficile ancor oggi mettere insieme informazioni in modo organico che siano direttamente utili per le nostre applicazioni in audio professionale.
Occorre spesso guidare fisici ed ingegneri preparatissimi a trarre dal loro sapere quei frammenti che una volta focalizzati rendono evidente un fenomeno acustico od elettroacustico anche banale. Le conoscenze ci sono, ma normalmente non vengono insegnate e studiate con le nostre applicazioni in mente.
Memore delle difficoltà avute da ragazzo, mi sono sempre riproposto di aiutare chiunque volesse raccogliere informazioni e capire il funzionamento dei fenomeni base, specialmente a livello dei trasduttori acustici e combinazione degli stessi. In altre parole, delle casse e degli impianti.
Sarà proprio questo uno degli argomenti di questa rubrica. Scopriremo insieme come, una volta scomposti negli elementi base, la materia apparentemente più complicata risulterà straordinariamente semplice.
Insieme a ciò, riserverò per me un po’ di spazio, per raccontare qualche storia o commentare qualche fatto.
Partiamo dall’inizio.
SORGENTI SEMPLICI
Un modo classico per iniziare lo studio delle sorgenti sonore è impiegare le sorgenti semplici.
Una sorgente semplice, o sfera ideale pulsante, è una sorgente puntiforme che irradia energia uniformemente in tutte le direzioni, dal centro verso la superficie di una sfera. Fisici ed ingegneri direbbero che la sorgente semplice irradia su 4p steradianti.
Un subwoofer, ad esempio, può essere trattato come una sorgente semplice. È infatti piccolo1 (quasi puntiforme) se comparato alle lunghezze d’onda che deve riprodurre. Conseguentemente le frequenze basse si propagheranno in tutte le direzioni2.
Vediamo cosa succede se accostiamo due sorgenti semplici. Assumiamo che entrambe le sorgenti siano in fase, che emettano lo stesso segnale e che la propagazione sia libera senza, cioè ostacoli in nessuna direzione.
Se la distanza d fra le sorgenti è piccola rispetto alla lunghezza d’onda considerata, le due sorgenti agiranno come una nuova unica sorgente di superficie doppia e quindi 3 dB più efficiente. Ciò si verifica quando la distanza di misura r è grande rispetto alla distanza fra le sorgenti.
Primo scoglio: perché quando il diametro della sorgente è maggiore aumenta l’efficienza? Un esempio: un’ elica grossa muove più aria od acqua di un elica piccola. Un’ala grande crea maggior sostentamento di una piccola. Per il momento, comunque, se il concetto ci sfugge, facciamo un atto di fede e proseguiamo nel discorso.
Prendiamo un sub (la nostra sorgente puntiforme) e immaginiamolo in condizioni di propagazione libera. Immettiamo 1 watt e misuriamo, diciamo a 16 metri, 72 dB SPL
Mettiamo ora due sub uno accanto all’altro, in fase, con le stesse caratteristiche del caso precedente e alimentiamoli con la stessa sorgente, una sinusoide a 32 Hz
La lunghezza d’onda del segnale sinusoidale sarà: v/f = l – dove v = velocità del suono nell’aria, f = frequenza, l = lunghezza d’ onda.
Avremo perciò 344 : 32 = 10,75 metri.
I due sub saranno perciò “piccoli” rispetto ai dieci metri di lunghezza d’onda che stiamo considerando. Essendo l’uno accanto all’ altro, se li misuriamo a 16 metri, indubbiamente r è “grande” rispetto a d.
Vediamo cosa succede se immetto 0,5 W in ognuno dei due sub: misurerò 75 dB SPL. Perché?
Perché i due sub accostati funzionano come uno solo, di diametro doppio e quindi più efficiente di 3 dB.
E se metto 1 W per ogni sub ? Misurerò 78 dB SPL. Non solo infatti avrò raddoppiato l’efficienza del sistema (+3 dB) ma anche la potenza elettrica immessa (altri 3 dB).
Se nel singolo woofer che a 16 metri mi dava 72 dB SPL con un watt, immetto il doppio di potenza elettrica, cioè 2 watt, avrò 75 dB SPL sempre a 16 metri.
Se 100 casse con 100 ampli mi danno 100 dB SPL ad una data distanza, 200 casse con 200 ampli mi daranno solo 6 dB in più. Decisamente pochino per tutto quello che avrò speso, senza contare il costo dei trasporti, che richiederanno il doppio della cubatura.
Ricordandoci che il mondo reale è meno che perfetto, in realtà il guadagno in pressione sonora risulterà ancora minore, ma questa è un’altra storia.
Se il vostro impianto con dieci casse da 1000 watt l’una non va forte come vorreste, dubitate del venditore che vi suggerisce di aggiungere altre tre casse (e relativi ampli). O non capisce niente o sta cercando di fregarvi. Di certo spendereste un sacco di soldi ed a malapena vi accorgereste di aver ottenuto un incremento di pressione: non arriverebbe ad un dB.
Nel riquadro un approfondimento e le formule.
La prossima volta esamineremo come si attenua il suono con la distanza e cosa avviene quando immettiamo le nostre sorgenti (semplici) in uno spazio confinato (altro che assoluta mancanza di ostacoli!). Oppure salteremo di palo in frasca parlando di altro.
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APPROFONDIMENTO
Sorgenti semplici
Proviamo ora a complicare la situazione. Vediamo cosa succede se ci spostiamo verso le alte frequenze, cioè verso lunghezze d’onda sempre più corte, fino a che la distanza d fra le sorgenti risulti maggiore di l.
Le due sorgenti non agiranno più come una sola ma torneranno a comportarsi per quello che sono, cioè come due sorgenti separate. Perderemo ovviamente l’incremento di efficienza di 3 dB dovuto all’accoppiamento (che non c’è più). Inoltre, avendo due sorgenti separate, potrò considerare non solo la distanza di misura ma anche l’angolo di misura che chiameremo a, cioè quanto il punto di misura (M) sia posto fuori asse rispetto alla linea mediana fra le due sorgenti (figura 2).
Il suono emesso dalla sorgente vicina al punto di misura arriverà infatti ovviamente prima di quella lontana.
Poniamo che entrambe le sorgenti emettano lo stesso suono, di identica frequenza ed ampiezza. La sorgente semplice (o sfera ideale pulsante) pulserà espandendosi e contraendosi emettendo onde di compressione (+) e di rarefazione (‑)3.
Misurando fuori dall’asse mediano, a causa delle differente lunghezza dei cammini percorsi, avremo arrivi di onde sfasate fra loro, nel tempo. Non solo avremo perciò + con +, – con – ma anche + con – e tutte le variazioni nel mezzo. Avremo perciò interferenze costruttive e distruttive e la risposta in frequenza risultante sarà del tipo “filtro a pettine”, in inglese “comb filtering”.
Il printout di una misura. Si tratta di due segnali identici a piena gamma, uno con una differenza di percorso di 343 mm rispetto all’altro. Il segnale impiegato è una sequenza di massima lunghezza.
Un esempio pratico è quando accostiamo due trombe che emettono frequenze medio alte, cioè con l corto. Le dimensioni fisiche delle trombe fanno sì che la distanza d sia paragonabile o maggiore delle lunghezze d’onda considerate. Le due sorgenti sono perciò distinte e quindi, all’interno delle zone in cui le emissioni si sovrappongono (sono direzionali e non sorgenti semplici) interferiranno l’una con l’altra con combinazioni costruttive e distruttive, secondo la differenza di percorso e la frequenza.
La ragione del fatto che non osserviamo comunemente sugli strumenti il “su e giù” del comb filtering è dovuto principalmente allo scarso potere risolutivo degli strumenti che impieghiamo solitamente nel live, al fatto che le misure non avvengono in condizioni ideali bensì in presenza di riflessioni multiple, echi, riverberazione ambientale ecc.
Una analisi FFT a migliaia di punti, eseguita su un segnale anecoico (o quasi anecoico) ci mostrerebbe proprio l’effetto di comb filtering come da manuale. Quello della figura 3 è una misura ottenuta immettendo in un mixer due segnali identici a piena banda, ritardandone uno di 343 mm e misurando la funzione di trasferimento dell’uscita miscelata.
Proviamo ora a violare anche l’altra condizione che avevamo espresso all’inizio. Invece di misurare a distanza r grande rispetto a d, avviciniamoci ad una delle due sorgenti, fino a che la pressione di quella vicina sia dominante rispetto all’altra.
Dal momento che abbiamo a che fare con due sorgenti distinte (non abbiamo rispettato alcuna delle condizioni necessarie alla creazione di una sorgente unica di diametro maggiore e quindi più efficiente) per il calcolo della pressione sonora risultante dalle due sorgenti, una più vicina dell’altra, avremo a che fare con la combinazione di campi sonori.
Ne parleremo prossimamente.
nota 1: Con l’ espressione “grande” e “piccolo” si intende un fattore di circa dieci volte.
nota 2: Un sub con un diametro di dieci metri avrebbe una dimensione comparabile o maggiore delle lunghezze d’ onda che deve riprodurre e sarebbe direzionale.
nota 3 (nel box): Le prime risulteranno sopra il livello di pressione atmosferica, le seconde sotto della stessa quantità.