La bottega di Archimede – terza parte
Progettare un subwoofer di altissime prestazioni – di Mario Di Cola e Gabriele Candini
di Mario Di Cola e Gabriele Candini
Figura 1: Vista frontale del subwoofer, battezzato “218ID”.
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Figura 2: Vista interna del sub 218ID.
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Figura 3: Vista posteriore priva del fondo del sub 218ID. |
Quelli di voi che sono stati a visitare il MIR nel mese di maggio avranno avuto modo di notare che proprio nello stand di Sound&Lite era esposto un prototipo di sub che probabilmente, a giudicare dai resti di segatura, trucioli ed attrezzi che lì erano rimasti accumulati, era stato montato nottetempo (chissà?). Beh, si trattava proprio del sub che abbiamo deciso di costruire per iniziare a materializzare un po’ di quanto scritto nelle puntate precedenti.
Come vi avevamo anticipato all’inizio, questo sistema utilizza degli altoparlanti costruiti da Eighteen Sound di Reggio Emilia, i 18ID, progettati specificatamente per essere accoppiati all’amplificatore Powersoft IPAL, e di questi trasduttori avevamo mostrato a suo tempo i parametri di Thiele and Small. Essendo questi dei trasduttori con un motor strength molto alto, ma equipaggiati anche con un cono di altissima resistenza meccanica, abbiamo scelto di sfruttare queste caratteristiche per aumentare la loro efficienza di radiazione con un carico acustico.
Una possibile strada per ottenere questo sarebbe stata quella di progettare una tromba vera e propria che li “caricasse”, disegnandola per una frequenza minima Fc opportunamente bassa. In questo caso però volevamo anche mantenere altre due caratteristiche fondamentali del progetto:
• far sì che non fosse troppo complesso né troppo costoso da costruire;
• ottenere una cassa che risultasse piuttosto compatta e leggera.
Per questo motivo abbiamo deciso di utilizzare invece una configurazione che può essere classificata tra i sistemi “passa-banda”, in cui gli altoparlanti sono caricati acusticamente facendoli irradiare in uno spazio più ristretto, una camera semi-aperta di dimensioni molto contenute.
Questo accorgimento fa sì che, invece di farli irradiare direttamente nello spazio libero, siano confinati in uno spazio più ristretto aumentando l’impedenza meccanica vista, almeno a certe frequenze. Nel nostro caso specifico, abbiamo pensato di posizionare gli altoparlanti in modo che irradino uno contro l’altro, con l’intenzione di aumentare ancora di più tale impedenza poiché ha luogo anche un altro fenomeno acustico conosciuto come “mutuo accoppiamento”. Questo tipo di caricamento, ovviamente, non può avere effetto alle frequenze più basse a causa delle dimensioni molto compatte della camera di compressione. Tuttavia, da una certa frequenza in su (circa 55 Hz), il suo effetto di caricamento acustico può essere piuttosto netto e benefico.
Al di sotto di tale limite, data la compattezza che il nostro subwoofer deve avere, abbiamo dovuto affidarci ad un risonatore accordato, proprio come si fa in una cassa bass-reflex. Abbiamo avuto cura tuttavia di minimizzare le perdite nei tubi in modo da esprimere un alto livello di emissione senza dover sopportare una rumorosità molto alta dei tubi, avendo cura di dimensionarli a dovere.
Il box
Il box che ne deriva è quello di un subwoofer relativamente compatto, non il più compatto che si possa immaginare, ma ragionevolmente compatto. Le dimensioni scelte sono determinate dal fatto di immaginarne un uso anche “live” e quindi la conseguente necessità di trasportarlo in giro. Dimensioni “truck-pack” come direbbero oltre oceano, nello specifico 120 cm di larghezza, per 60 cm di altezza, per 85 cm di profondità. Se qualcuno volesse realizzare alcuni sub di questo tipo, li potrebbe trasportare facilmente infilandone esattamente quattro nella larghezza di un camion standard da 244 cm in un verso, o due nell’altro verso.
Come si vede, gli altoparlanti si montano dalla parte frontale della cassa, certamente avendo un pizzico di pazienza in più rispetto al montaggio degli altoparlanti in un sub tradizionale a radiazione diretta. Tuttavia la camera frontale è dimensionata per fare questo con relativa semplicità, appoggiando il sub sul lato più piccolo per montare uno degli altoparlanti, per poi girarlo dalla parte opposta per montare l’altro.
La distanza tra i due altoparlanti è la minima possibile che permette di riuscirne a montare uno quando l’altro è già in posizione e che permette di maneggiare una chiave esagonale per serrarne le viti, tassativamente da 6 mm e di acciaio di qualità 8.8 perché la coppia di serraggio degli altoparlanti deve essere piuttosto alta, viste le sollecitazioni a cui sono sottoposti.
In figura 3 è riportata la vista posteriore del sub a cui è stata praticata una “sezione”: si vede molto bene il punto in cui va posizionato il sensore di pressione differenziale DPC che va collegato al modulo di amplificazione per chiudere il “loop” del sistema di controllo.
I condotti di accordo scelti per questo subwoofer hanno ciascuno una superficie superiore a un terzo rispetto alla superficie radiante di ciascun cono, per cui permettono al sistema di funzionare a regimi elevati con modesti livelli di compressione dinamica dovuta alla velocità dell’aria al loro interno. Per migliorare il risultato però, e per ridurne la rumorosità, abbiamo anche predisposto un allargamento della sezione nella parte finale dello stesso, verso l’esterno, in modo da diminuire ulteriormente la velocità dell’aria verso l’esterno, e di conseguenza la rumorosità percepita da fuori.
Abbiamo progettato il box per realizzarlo con multistrato di betulla, ma da 15 mm, lo spessore minimo possibile per questo tipo di casse, in modo da ridurne al minimo il peso. Ad ogni modo vi sono posizionati vari rinforzi, in svariate posizioni del box, in modo da irrobustirlo rispetto alle sollecitazioni meccaniche imposte dagli altoparlanti e dalle masse (non trascurabili) in movimento.
Il progetto completo del subwoofer, con tutti i piani di montaggio e le misure dettagliate di ciascuna parte, sarà scaricabile dal sito di Sound&Lite (www.soundlite.it) a partire da luglio 2016.
Facciamo ora qualche misura
Iniziamo a far funzionare il nostro subwoofer 218ID e a vedere come si comporta. A dire il vero, vista la costruzione un pochino complessa ed i vari aspetti acustici da valutare con cura, abbiamo posto molta attenzione nel simulare con il massimo impegno il sistema durante il dimensionamento, ancora prima di iniziare a disegnarlo. Varie parti di esso sono state simulate con l’aiuto di alcuni software tra cui i famosi Akabak e Hornresp. Le misure rilevate sono piuttosto vicine alle aspettative che avevamo maturato e questo ci è stato di grande conforto.
Vediamone qualcuna: la risposta in frequenza, per esempio, mostra come il nostro sistema si estenda bene verso il basso con una buona sensibilità a partire già da sotto i 30 Hz. Al di sopra dei 55 Hz, frequenza alla quale inizia a funzionare a pieno regime il carico acustico superiore, inizia a mostrare una sensibilità (ed una efficienza) piuttosto esuberanti. In figura 4 è riportata la sensibilità misurata con 1 V ad 1 m di distanza a pavimento. Diremmo proprio niente male, soprattutto considerando la massa mobile di circa 415 g per ciascun cono.
Il risultato, in termini di sensibilità misurata sul semispazio, è molto buono: ben 96 dB SPL già a partire da 29 Hz. E la curva di sensibilità va poi innalzandosi, una volta superati i 50 Hz, fino a raggiungere e superare i 106 dB SPL a 100 Hz. Ovviamente il prezzo da pagare per aver usato un carico acustico davanti agli altoparlanti è quello di perdere poi la risposta al di sopra dei 200 Hz (era un passa-banda, ricordate?). Ma questo prezzo lo paghiamo volentieri, poiché la nostra intenzione era quella di limitare il nostro sub a non oltre i 150 Hz.
Perché abbiamo fatto le misure con 1 V anziché con i canonici 2,83 V?
Il motivo è molto semplice: abbiamo usato due altoparlanti da 2 Ω nominali, connessi in parallelo, e quindi l’impedenza nominale del nostro sistema subwoofer è di 1 Ω. Quindi, la tensione teorica che dovremmo applicare per avere 1 Watt su un carico di 1 Ω è di 1 V. Tuttavia si vede bene dalla figura 5 che il minimo dell’impedenza è di circa 1,32 Ω, per cui in realtà, l’impedenza nominale di questo subwoofer sarebbe di circa 1,8 Ω facendo le dovute proporzioni. Questo è causato dal fatto che essendo questo altoparlante molto reattivo a causa dell’altissimo motor strength, la sua reattività fa sì che l’impedenza che possiamo osservare alle varie frequenze è sempre nettamente più alta della resistenza pura della bobina mobile. Nella figura 6 è riportato, oltre alla curva di impedenza, anche l’andamento dell’angolo di fase elettrica (tra tensione e corrente) e da lì si vede molto bene quanto il comportamento di questo sistema sia reattivo, proprio come desideravamo, e proprio come l’amplificatore IPAL si aspetta di ricevere.
Questo significa quindi che in realtà per applicare 1 W a questo subwoofer la tensione nominale da applicarvi avrebbe dovuto essere di 1,345 V e quindi i valori di sensibilità avrebbero dovuto essere di 2,6 dB più alti di quello che abbiamo visto poc’anzi, e quindi avremmo avuto ben 98,6 dB SPL a 29 Hz, e 108,6 dB SPL a 100 Hz con 1 W: non male!!
Processing
A questo punto cerchiamo di capire come trattare opportunamente questo subwoofer per renderlo facilmente utilizzabile in condizioni d’impiego reali. Per iniziare osserviamo subito che il nostro approccio al progetto, teso a massimizzare il più possibile l’efficienza del sistema, ci ha dato una risposta in frequenza che è tutt’altro che regolare. Tuttavia è perfettamente compensabile con una curva di equalizzazione poiché il suo comportamento è tutto a fase minima.
In figura 7, quindi, si vede molto bene quale sia la curva di equalizzazione da applicare alla risposta del sub 218ID per attenuarne le frequenza dove l’efficienza diventa particolarmente esuberante. Questa operazione ci fa guadagnare ben 10 dB di “Headroom” elettrico del sistema nella parte più alta dello spettro. Una volta applicata l’equalizzazione, dovremo anche applicare il filtro passa alto a 28 Hz che protegge il cono dalla sovra-escursione ed il passa basso a 100 Hz che reputiamo essere ottimale per sfruttare al massimo le sue possibilità sonore. A tutto questo, applicheremo anche un guadagno di 7 dB per portare il sistema ad un livello di sensibilità corretto per renderlo pilotabile con facilità e sicurezza dal tipico livello di uscita di una normale console live. La curva risultante sarà quella di figura 8.
A questo punto possiamo mostrare l’effetto finale delle nostre “alchimie” sulla risposta del nostro sub, in figura 9.
Come vedete il sistema nel suo complesso presenta una risposta che si estende, nel caso specifico, fino a 100 Hz (‑6 dB). Ovviamente si può pensare di porre il passa-basso a frequenze diverse, minori ad esempio, ma anche maggiori, fino ad un massimo di 150 Hz.
Maximum Output
Per terminare la nostra terza puntata riguardante questo progetto, vogliamo porre l’attenzione sul test più importante che volevamo eseguire su di esso e che spiega abbastanza bene che cosa c’è di speciale nelle sue prestazioni. La figura 10, infatti, mostra una misura particolare che forse nessun costruttore vi mostrerà mai relativamente ai propri sub. Questa misura mostra i veri valori di dB SPL che sono realmente misurabili ad 1 metro di distanza in funzione della frequenza ed in regime dinamico. Di solito, infatti, troverete sempre e solo un valore complessivo di SPL massimo che non specifica a quale frequenza è davvero ottenibile e, in più, taluni pubblicano addirittura valori semplicemente calcolati, e non davvero misurati. In questo caso, per darvi una misura tangibile di quanto abbiamo ottenuto, riportiamo una comparazione della SPL massima misurata alle frequenze ISO, da 20 a 125 Hz del 218ID, paragonata ai valori ottenibili da un buon sub 2 x 18” a radiazione diretta, di un noto marchio “x” e pilotato al massimo delle sue possibilità elettriche da un amplificatore Powersoft K20 che è tuttora il più potente amplificatore in assoluto disponibile sul mercato. La rilevazione dell’SPL massimo per ciascuna frequenza è fatta utilizzando un microfono capace di sopportare senza distorsioni apprezzabili fino ad un massimo di 155 dB SPL e utilizzando la tecnica definita nella norma ANSI/CEA 2010, alla cui definizione Don B. Keele, noto progettista di moltissime delle innovazioni di JBL e EV, ha contribuito in maniera significativa.
Il sistema di misura utilizzato e che implementa questa tecnica è CLIO 11 FW, della ben nota Audiomatica di Firenze.
Osservando la curva misurata si vede chiaramente che le capacità di “output” dei due sistemi si pareggiano soltanto attorno alla frequenza di 63 Hz. Per tutto il resto della banda, invece, le differenze sono notevoli, con una netta prevalenza del nostro 218ID, arrivando a circa 5 dB di maggiore SPL nella parte alta dello spettro, fino a sfiorare gli 8 dB di differenza intorno ai 30 Hz. Un risultato questo davvero impressionante, ma spiegabile abbastanza bene con il fatto che abbiamo a disposizione un amplificatore molto speciale che riesce ad arrivare a picchi istantanei di potenza di quasi 8500 W, ma che grazie al fatto che lavora con degli altoparlanti estremamente reattivi li può raggiungere senza impiegare enormi quantità di energia assorbita dalla rete e quindi senza nemmeno sovraccaricarla. Al tempo stesso, lo abbiamo unito a degli altoparlanti ottimizzati per esso, capaci di sopportare enormi sforzi meccanici e, inoltre, dotati di una bobina mobile molto lunga e da ben 5,3” di diametro, capace quindi di gestire l’enorme potenza a disposizione.
Nella prossima puntata, l’ultima relativa a questo progetto, approfondiremo gli aspetti più importanti della taratura e della messa a punto di questo subwoofer e del funzionamento dell’amplificatore IPAL. A prestissimo!