Malika Ayane - Domino Tour
La consolidata squadra di Malika “si è fatta in due” per realizzare una tournée durante la quale l’artista presenta due show completamente diversi tra loro: dagli arrangiamenti, alla band, alla scaletta, alla scenografIa, all’atmosfera, alla tipologia di venue.
di Douglas Cole e Giovanni Seltralia
Dopo la ripresa nei club, nel 2016, del tour Naïf del 2015, con un mood completamente diverso, Malika Ayane ha deciso di ripetere l’esperienza con l’attuale tour per il recente disco, Domino. Questa volta, però, l’artista e la squadra che la segue da anni hanno accettato la sfida di fare la tournée teatrale e quella nei locali contemporaneamente.
Prodotto da 1Day/Just Me Levarco di Massimo Levantini, e con la logistica e la produzione dirette da Salvatore Russo, questa tournée vede il ritorno del nocciolo della squadra tecnica che accompagna l’artista dal suo esordio; tra questi Paolo Fossataro, con le sue scenografie sempre piene di inventiva e lavoro artigianale; Marco Pallini, fonico di sala alle prese con vecchi e nuovi membri della band; Stefano Luciani, responsabile del monitoraggio. Questa tournée vede anche l’aggiunta di alcune facce già conosciute ma nuove nella squadra di Malika, come Simone “Zeta” Saccomandi nella veste di PA engineer e Marco di Febo quale responsabile per le proiezioni e mappature video. Il service teramano DG Systems, come dall’inizio della carriera di Malika, fornisce tutti gli impianti tecnici.
Eravamo incuriositi da questa tournée per la particolarità della doppia situazione, così abbiamo partecipato a due serate ravvicinate: il 7 dicembre al Teatro Alighieri di Ravenna e l’11 dicembre al Mamamia di Senigallia. Questo ci ha fornito anche un’ottima scusa per sentire due concerti di Malika Ayane – artista per la quale non nascondiamo elevato rispetto e stima – nello spazio di una settimana.
Tecnicamente, l’aspetto audio ci ha riservato delle interessanti novità assolute: la recente console SSL L200 e il nuovo impianto line array dB Technologies Vio L208.
Gli altri dettagli e approfondimenti ve li lasciamo raccontare dai protagonisti della realizzazione tecnica di questa produzione.
Salvatore Russo – Direttore di produzione
“Già a marzo – ci racconta Salvatore – le prime idee per lo show sono arrivate dal brainstorming di Malika e Paolo. Poi abbiamo cominciato ad aprile a realizzare il tour, perché stava per uscire il nuovo disco di Malika, a fine settembre.
“Come sempre, l’idea è partita da un concetto molto ampio, poi gli input dell’artista si sono concretizzati pian piano in soluzioni fattibili per la produzione. Questa volta l’album è stato prodotto e registrato in Germania e c’era il desiderio di fare qualcosa che ricordasse la ‘rigorosità’: una geometria molto squadrata, allineata, con forme omogenee.
“Paolo, oltre alla creatività, ha una specie di compulsione per la costruzione: generalmente, qualsiasi cosa egli porti in tour viene costruita ad hoc, da lui o chi per lui… spesso, come i meccanismi dei teli motorizzati in questa produzione, partendo proprio da zero.
“La squadra – spiega Salvatore – è sempre la stessa, e lavora insieme quasi dal primo concerto di Malika: io, Paolo, Marco e gli altri siamo sempre stati contenti di lavorare per lei e con lei. Malika stessa si impegna al massimo in sala prove, durante l’allestimento e durante le prove del tour. È sempre presente, molto attiva, molto coinvolta. È un’artista che, quando c’è un problema, vuole sapere esattamente di cosa si tratti e vuole partecipare alla soluzione. In sostanza, il suo apporto non si limita alla fase creativa ma subentra anche in quella strettamente produttiva, cosa che nel ‘nostro’ caso è diventata anche un piacevole momento di aggregazione e confronto.
“Il fornitore audio e luci, com’è sempre stato con Malika, è DG Systems. Ci sono dieci tecnici oltre a me, e il materiale viaggia in un bilico, caricato a tappo.
“La tournée – continua Salvatore – ha tre momenti diversi in ogni città. I principali che riguardano Malika Ayane sono il teatro e il club, mentre il terzo giorno si esibiscono gli UR – il batterista e il chitarrista del tour di Malika. Si tratta di un progetto seguito e prodotto da Malika stessa, tanto da voler portare alcune delle loro sonorità all’interno del progetto Domino Tour.
“Mentalmente per me è una tournée molto complessa, per questo motivo. Di solito, un tour prende un proprio ritmo dopo qualche data e tende ad andare un po’ ‘in automatico’. Invece, con tre diverse dimensioni di evento da gestire per ogni piazza, è difficile prendere un qualsiasi ritmo. In realtà è una cosa divertente, si evita di cadere nella routine.
“Usiamo parte della produzione dell’allestimento nei teatri per fare i club, riducendola e mischiandola. Per quanto riguarda la logistica del tour, la problematica principale è quella di ricaricare al contrario il camion tra club e teatro. Il club è sempre ‘divertente’, perché i palchi e gli spazi variano molto e, magari, bisogna aggiungere un altro pod di luci per riempire il palco. Non possiamo andare a scaricare nel club e trovare davanti i motori, l’impianto e il power box. Così il carico dei mezzi è un film ogni sera: le cose che escono per ultime dal teatro devono per forza entrare nel camion per prime, accostando una parte del backline, le console, una parte delle luci… è complicato. Ad aggravare questa situazione, le date tra teatro e club non si alternano ogni volta. Alla fine, però siamo organizzati abbastanza bene con grande parte delle luci pre-montate sui pod ed altri accorgimenti logistici. Perciò, comunque, per le 2:00 siamo sempre fuori.
“Facciamo queste doppie date in 18 piazze, per un totale di 36 venue. Avremo una pausa a marzo per poi riprendere in estate”.
“Viaggiamo con una macchina e con un nove-posti per i tecnici. Anche lì ci si mischia, perché non servono certo dieci tecnici per il concerto nei club. Magari cinque vengono e quattro vanno a casa, così i posti in auto e in albergo – per non dire anche le giornate di paga – sono un altro grattacapo. Il booking è stato a nostro favore quanto possibile anche in questo, con alcune date consecutive organizzate in ordine contrario, per consentire il massimo numero di giorni liberi al numero massimo dei tecnici. Però non è stato sempre possibile, considerando la rigidità della disponibilità dei teatri e dei club.
“Il concerto nei club è molto interessante – aggiunge Salvatore. In quelle serate ci sono solo batteria, chitarra baritono e Malika che canta, suona i synth e la keytar. Con Malika non sono mai comparse delle sequenze o tracce e neanche in questa situazione. Il chitarrista e il batterista sono già un duetto stabile, e il chitarrista ha un setup che gli permette di coprire molti ruoli musicali”.
Paolo Fossataro – Lighting & set designer
“L’idea – racconta Paolo – è nata dopo una cena con Malika a Berlino, dove lei abita adesso. Aveva in mente un progetto molto più rock – forse non è molto noto che, nel cuore, è rockettara. Voleva fare questi due set: uno più rock da portare nei club e uno più simile alle sue precedenti produzioni da portare nei teatri. Perciò occorreva creare un set che si adattasse e che creasse due atmosfere completamente diverse tra loro.
“Visto anche che siamo passati dall’orchestrina di undici musicisti nel tour di tre anni fa, ad una band di cinque per le date in teatro e, addirittura, di un trio – compresa lei – nei club, ci voleva un’atmosfera più minimalista rispetto ai precedenti concerti.
“All’inizio – continua Paolo – pensavamo addirittura ad una cosa in stile Kraftwerk… sarà l’influenza di Berlino! Invece questo mi sembrava esagerato come approccio per il suo pubblico. Ma, partendo dalla base di aver i musicisti stazionari e disposti in fila, siamo arrivati a quello che c’è adesso. A lei piaceva l’idea di poter separare e compartimentare i musicisti e di poterli nascondere o svelare uno per uno o tutti insieme. Così è nata l’idea di questi cubetti sul palco. Ci sono ovviamente svariati esempi di questo approccio nel passato, ma abbiamo fatto una serie di opportune modifiche. Per i teatri, abbiamo cinque cubetti per i musicisti, mentre nei club ce ne sono solo due per i due musicisti che la accompagnano.
“Le gabbie – continua Paolo – sono sottili, minimali e sobrie e sono realizzate in ferro. Nascondono delle tendine a rullo che salgono e scendono, il tutto azionato con motori elettrici controllati dal macchinista. All’inizio pensavamo a una cosa un po’ più tecnologica, con la trasparenza e l’opacità commutabili istantaneamente usando delle pellicole elettrocromiche, ma sono spuntate fuori questioni di affidabilità e budget. Sopra il cubo centrale, c’è anche un tetto di plexiglass, perché Malika inizia lo spettacolo proprio sopra, con solo lei in scena – i musicisti l’accompagnano durante questi primi brani, ma nascosti dentro i cubi. In quella configurazione iniziale, ci sono anche dei tessuti elastici che formano degli intrecci, per poi sparire ritirati a mano con un effetto kabuki, quando cambia la scena. Con un colpo di teatro, lei scende attaccata a un tessuto.
“A quel punto – dice Paolo – si aprono le serrande dei cubi e svelano i musicisti per qualche numero. Per il resto dello spettacolo c’è un susseguirsi di salite e discese di queste tendine, perché sopra le tendine facciamo delle proiezioni. In effetti sono proiezioni minime: tranne un solo momento più movimentato, sono più che altro delle grafiche ispirate dal disco. I cubi hanno quattro pareti affrescate perché c’è un gioco di illuminazione in controluce e, addirittura, gli special sui musicisti vengono spesso mappati nelle videoproiezioni. C’è anche uno schermo dietro che serve come fondale”.
Non sembra che ci siano molti proiettori frontali… come fai per illuminare l’artista?
Abbiamo dovuto mettere un seguipersona dalla sala, per richiesta di Malika, che uso poco perché va troppo a sporcare le tendine con le proiezioni. Per illuminare lei, ed evitare questo in altri momenti, ho un paio di sagomatori a testa mobile sulla truss frontale.
A proposito di proiettori, che materiale state usando?
Il parco luci è molto classico e quasi tutto Robe: molti Pointe e molti LEDBeam 100. Poi ci sono i due DTS Synergy frontali, degli Highlite Sunstrip e qualche strobo Proel. Per il controllo, uso da sempre la venerabile Avolites, collegata al parco luci tramite cavo di rete. Ognuna delle matrici nei pod dietro rappresenta praticamente un universo DMX.
Ci dice Salvatore che avete modularizzato un po’ il parco luci per poter fare i diversi tipi di data nei teatri e nei club.
Abbiamo costruito questi cinque pod che, insieme ai proiettori floor dietro, fanno la maggior parte del lavoro del disegno. Ogni pod monta quattro Pointe, quattro Robin LEDBeam 100, quattro Sunstrip e due strobo. Mi piaceva l’idea di avere una matrice particolare di punti luce o proiettori, e questa era la soluzione che ho reputato migliore; inoltre rendono più rapida e semplice l’idea del doppio allestimento – teatro e club. Sono costruiti con delle gabbie che viaggiano pre-montate su dolly: per i teatri li attacchiamo ai motori, stacchiamo il dolly e una parte della gabbia che serve per proteggere i proiettori in trasporto, e li tiriamo su. Invece, nei teatri, la parte protettiva della gabbia si stacca e diventa una base per appoggiare il pod a terra.
Sul floor ci sono dei Pointe, posti dietro, e alcuni LEDBeam 100 sparsi qua e là. C’è una fila di questi ultimi appoggiati davanti sul palco che, più che altro, fornisce un po’ di tappeto sul palco per la visuale dall’alto.
“Lo spettacolo in teatro mi piace – aggiunge Paolo – e sono abbastanza soddisfatto, ma forse è più interessante e divertente a livello di luci quello nei club… più che altro per gli arrangiamenti più rock e l’atmosfera diversa”.
Marco Pallini – Fonico FoH
“Nell’ultimo giro – spiega Marco – avevamo undici elementi mentre, per gli arrangiamenti e lo stile di questa produzione, qui giriamo con cinque musicisti più Malika. È una configurazione più leggera: usiamo un totale di 38 canali, compreso lo spare della voce. Rispetto all’ultima volta, la parte ritmica è molto cambiata. Ci sono un nuovo batterista e un nuovo chitarrista, che lavora soprattutto in modo ritmico e con dei suoni diversi. Le percussioni sono sempre le stesse. Per quanto riguarda le tastiere, abbiamo più o meno le stesse sonorità… sebbene vi sia una virata verso sonorità più elettroniche, che seguono le scelte e le direzioni del nuovo album.
“Dal punto di vista tecnico – continua Marco – l’audio è cambiato molto: abbiamo sia una nuova console di sala che un nuovo impianto. Per la sala sto usando una SSL L200, anziché la Soundcraft che usavo in precedenza. Per quanto riguarda l’impianto, invece, abbiamo accettato questa sfida con dB Technologies, usando il sistema Vio L208”.
È la prima volta che vediamo la L200 in tour; che impressione hai di questa console?
È molto bella. Si tratta di una console del più alto livello, e c’è poco da criticare, a cominciare dai preamplificatori, gli stessi della 9000, che sono pluricollaudati. Per il resto la console è molto precisa, con un routing pazzesco: si può entrare e uscire da ogni parte. Per quanto riguarda il mio lavoro in sala, tutto il suono dal palco viene processato esclusivamente all’interno della console – zero outboard, né plugin, dinamiche o effetti, esterni.
Sul palco c’è uno splitter passivo per dare i segnali agli stagebox SSL per la sala e a quello Soundcraft per il palco. Abbiamo due stagebox tra di loro cablati con uno switch. Tutto entra negli stagebox, poi i segnali arrivano in sala tramite Dante dallo switch.
Anche questo impianto è praticamente una novità assoluta. Che impressioni hai?
Abbiamo un sistema molto abbondante, in termini di moduli line array e di sub. Ci troviamo molto bene. L’impianto si sta comportando benissimo in tutte le situazioni che affrontiamo, dai teatri di piccole dimensioni fino agli spazi più grandi. Per esempio, siamo stati all’Arcimboldi pochi giorni fa, dove abbiamo montato 16 sistemi per lato più 12 sub a terra, e abbiamo ottenuto veramente un’ottima diffusione.
Il modulo L208 è un sistema che monta un doppio 8" più una tromba da 3". Sotto, abbiamo scelto dei sub con il singolo 18", soprattutto per avere un’elevata modularità e adattare il sistema ai vari spazi in cui andiamo a suonare. Questa scelta ha dato un ulteriore positivo effetto collaterale: l’ingombro di trasporto era già una considerazione importante per questa produzione e i singoli 18" hanno il loro vantaggio anche sotto questo aspetto.
Onestamente, all’inizio ero un po’ scettico e, prima di decidere definitivamente, siamo andati alla sede di dB Technologies per ascoltarlo. Avevamo chiesto di mettere dei sub in testa sopra gli array, perché pensavamo che non ci fosse abbastanza presenza sulle medio-basse. Poi abbiamo sentito in campo aperto un impianto otto più otto, e ce n’era fin troppo. Meglio così, perché i sub appesi in teatro sarebbero stati un problema. Invece, sul campo ci risulta che spesso dobbiamo andare ad asciugare la parte medio-bassa, perché, per il mio modo di mixare, ce ne può essere troppa… però posso assicurare a chi ne ha bisogno che ce n’è. Devo dire che questo è un impianto che ha un rapporto qualità/prezzo davvero molto interessante.
Sui sub abbiamo ancora qualche riserva, forse perché non siamo riusciti ancora a capirli bene. Hanno una banda bassa che è bella e potente ma, a volte, poco definita. Mano a mano che Simone guadagna esperienza, stiamo cercando di metterli a fuoco un po’ meglio. Il costruttore è molto disponibile e c’è un’ottima risposta della ditta per fare i passi avanti necessari al miglioramento del sistema.
Dopo l’aggiornamento dell’impianto e della console di sala, avete fatto degli altri cambiamenti?
Oltre al cambiamento della preamplificazione, nella catena vocale anche il microfono è diverso. Nell’ultimo tour usavamo uno Shure KSM9, che andava molto bene ma era un pochino aspro. Siamo passati a DPA d:facto II, sempre con il sistema radio Shure UR4D. Con questo microfono e la preamplificazione SSL, abbiamo raggiunto una reiezione al feedback clamorosa. Questo si nota non così tanto usandolo in teatro, ma nelle serate nei club con praticamente un trio hard rock e con degli impianti molto arretrati – a volte anche con il palco davanti all’impianto. I rientri sono sempre molto “musicali”, mai quella roba aspra che rovina il suono subito. È un microfono eccellente. Lo uso per la prima volta e mi trovo veramente bene, non solo per la reiezione al feedback, ma anche perché non ha bisogno di grosse equalizzazioni. Lo comprimo un po’ per eliminare quelle dinamiche che sono, purtroppo, eccessive per il live, e aggiungo un de-esser SSL dall’interno dal banco. Alla fine la voce è trattata pochissimo e in modo molto blando. Cerco solo di starci dietro con i volumi, quando ci riesco, comunque. Diciamo che è un concerto, da parte dei musicisti e anche per noi, molto sul feel e fatto alla vecchia. Ho provato ad aggiungere le scene, ma è stato inutile: ogni sera cerco semplicemente di stare dietro a quello che succede, in tempo reale.
Per le serate nei club, poi, avete una configurazione più snella, presumo.
Cambia veramente tanto, nei club. Nei teatri si ha una situazione proprio “classica” di Malika: il suo suono molto teatrale, a volte morbido, a volte più cattivo, ma mai estremo. Quando, invece, andiamo nelle situazioni club, si porta dietro il batterista, Nico Lippolis, e il chitarrista, Jacopo Bertacco. Questi due, oltre a suonare con Malika, hanno una band in due che si chiama Ur, stanziata a Berlino, e fanno essenzialmente crossover.
Perciò Malika nei club, con questi due musicisti, arriva nell’ambito del rock spinto: tutto suonato molto forte, chitarre distorte, ecc. Jacopo suona con uno split della chitarra su un ampli per chitarre e un ampli per basso contemporaneamente, usando anche un harmonizer per coprire entrambi i ruoli. È proprio una situazione aggressiva.
Per l’audio, nei club usiamo tutto residente, tranne le console che portiamo dietro, la L200 che uso io e la Vi6 di Stefano.
Il chitarrista ha un setup molto complesso, con tre chitarre, una delle quali baritono. Lo strumento entra in una doppia serie di pedali, una completamente analogica e una digitale. Quella digitale va a finire in un sintetizzatore con tutti i controlli di guadagno, envelope, oscillazione, eccetera. Queste due sorgenti vengono poi mixate a mandate in stereo a due diverse testate per chitarra, una Peavey ed una Marshall. In più, usa anche un vocoder e un sequencer dal computer, che in teatro sfrutta poco, ma che nella situazione club usa in maniera massiccia. Ci sono arpeggiatori, bassi sintetici ed altri segnali poco ortodossi.
Simone “Zeta” Saccomandi – PA engineer
La sera del concerto a Ravenna, il tempo non ci ha permesso di fare una chiacchierata con “Zeta” Saccomandi. Alla ripresa post-natalizia della tournée, siamo riusciti a chiedere a lui i dettagli dell’audio FoH e le sue impressioni sul nuovo sistema Vio L208.
“In tour – spiega Zeta – noi abbiamo 32 sistemi L208 come teste. Nella prima parte del tour (quando abbiamo sentito i concerti noi – ndr) avevamo 15 sub 1×18". Per la seconda parte della tournée, invece, abbiamo richiesto di poter utilizzare otto sub S218 2×18", con i quali siamo molto più contenti.
“Ho lavorato spesso con Marco nel corso degli ultimi 20 anni, e so cosa richiede dal sistema. Provavo a darglielo con i sub 1×18”, ma era difficile soddisfare le sue esigenze. Magari sarebbero perfettamente adatti ad altri gusti, ma con Malika il doppio 18" è sicuramente la macchina azzeccata.
“Per quanto riguarda i top – continua Zeta – di solito monto da 8 unità a 16 unità per lato, più i front-fill, mono centrale e side, sempre in base alla venue. Siceramente sono molto soddisfatto dal sistema. Sistemi così piccoli con doppio 8” che suonano così bene se ne sentono pochi, anche di marchi più blasonati. È un sistema con cui si può lavorare e con cui si può arrivare al top.
“L’azienda ha detto ‘qualsiasi problema ci sia, scrivici’. Ogni volta che scrivo, il giorno dopo c’è una risposta con la soluzione. Sono rimasto colpito dall’azienda quanto dal sistema.
“Sto utilizzando un Meyer Galileo come matrice – spiega Zeta – e Marco mi fornisce L/R/Sub/FF. Sto usando una versione beta del software dB Technologies, Aurora Net, che stiamo continuamente aggiornando, quasi data per data… ogni due o tre date c’è un aggiornamento su mia richiesta, anche parecchi dettagli nell’interfaccia utente. Nonostante i costanti miglioramenti in termini di comodità d’uso, con il software non c’è mai stato il minimo problema.
“Ho un Control 8, che si controlla dal computer tramite TCP/IP con otto porte RD Net per la gestione delle casse, e su un paio di cavi LK25, left e right, tramite i quali mando al palco sia dati che i segnali dal Galileo. L’audio viaggia tramite Dante fino al palco, ed esce dallo stagebox in AES/EBU per andare al Galileo. In un rack sul palco ci sono il Galileo, il Control 8 e uno switch di alto livello con access point Wi-Fi. Ho un cavo di rete per il controllo che arriva in regia dallo switch, ma ho anche il wireless in tutta la venue per gestire i miei due computer in regia. Dalla matrice mando left, right, i gruppi dei sub separati, tre gruppi di frontfill e i mono. Cerco di usare meno il software e di più il Galileo per quanto riguarda l’audio; il software serve più che altro ad avere un monitoraggio in tempo reale dello stato delle varie casse.
“Una cosa molto intelligente – aggiunge Simone – che hanno incluso nel software è l’interfaccia e l’inclinometro in ogni diffusore… una cosa che oggi ogni cassa dovrebbe includere. Quando appendiamo nei teatri, comunque, uso sempre due motori per la sicurezza della puntatura, ma avere il controllo in più dell’inclinazione dei sistemi è un’ottima cosa. Oltre tutto questo, il GLL per EASE è di una precisione notevole”.
Riuscite ad appendere l’impianto in ogni venue del tour?
L’unica data dove non potevamo appendere era (come al solito) al Teatro Augusteo. Con questo sistema non esiste un vero groundbar, e non esiste un GLL che considera un sistema appoggiato. In realtà, perciò, quello che abbiamo usato era effettivamente un sistema sospeso ad 1 m da terra. Quel giorno ci siamo detti “questo sarà proprio un esperimento” ma, devo dire, può darsi che quella è stata la data con il suono migliore di tutti fino adesso. Siamo rimasti sconvolti.
Per il tuning cosa usi?
Uso Smaart v7. Ho fino a quattro punti di misura, ma in questo tour sto usando solo due punti di riferimento, uno pre- e uno post-EQ.
Stefano Luciani – Fonico di palco
“Il monitoraggio – ci dice Stefano – è abbastanza semplice perché è tutto in-ear. Affidiamo la trasmissione ai sistemi Sennheiser ew300G3. La console è una Vi6 Soundcraft con l’upgrade Vi600. L’unica macchina esterna che uso è un PCM91 per effetti sulla voce di Malika.
“La band utilizza auricolari differenti tra loro: il batterista usa un suo sistema Vic Firth, il chitarrista uno Shure, mentre tastierista, bassista e percussionista usano degli Earfonik; Malika usa dei LiveZone, che utilizzo anch’io.
“In termini di radio in ingresso abbiamo soltanto il microfono di Malika e il suo spare, più due canali per il talkback tra noi. Effettivamente solo Malika si sposta sul palco e altri non sono necessari. Compresi gli IEM, sono 12 radiofrequenze totali.
“Il tour – continua Stefano – è strutturato in teatro e in club. Quindi abbiamo scene separate e dedicate ai due setup. Uso delle scene brano per brano, nelle quali vado a correggere soprattutto gli ambienti, ma ogni tanto anche gli equilibri, perché lo show di Malika è molto ricco di dinamiche e di colori. Abbiamo avuto un lungo periodo di prove in studio, quasi cinquanta giorni per entrambi gli show, durante il quale abbiamo costruito il balance per gli ascolti”.
“È uno show tutto suonato, senza sequenze, con – come sempre con Malika – un’estesa gamma dinamica durante il concerto. Quindi devo stare abbastanza sopra i fader per dare un certo equilibrio negli ascolti”.
“La squadra del palco – specifica Stefano – è composta da me, Pierlugi Tiberi che segue Malika, il batterista e il bassista; poi c’è Giuseppe Amabili che segue percussioni, chitarra e tastiere”.
Fai tu tutti i mix, o qualcuno ha un premixaggio o un mixerino sul palco per gli ascolti?
Sto mixando tutto io, solo il batterista ha un mixerino e il click separato, ma riceve già dalla console un mix totale LR. Ci sono i cinque mix per i musicisti, quello di Malika più un settimo per i backliner.
Che tipo di mix ha l’artista in cuffia? È molto musicale o principalmente vuole la voce?
Il mix di Malika è completo. Su alcuni brani, ovviamente, ha delle preferenze di enfasi su certe parti o certi strumenti, ma il suo mix è generalmente molto incollato e musicale. Chiaramente la voce è in prima linea, con un’equalizzazione sulla quale abbiamo lavorato abbastanza per questo tour e quello precedente.
Questa configurazione con i musicisti disposti in linea e separati uno dall’altro ha avuto un effetto, fisico o psicologico, sugli ascolti?
Nei primi brani dello show, i cubi sono completamente chiusi, anche ai lati, e Malika canta sopra il cubo centrale. A livello psicologico i musicisti si sono dovuti abituare a questo isolamento, ma anche a livello audio per me, perché la chiusura dei cubi comporta una grande differenza nel rientro ambientale. Ho un talkback con loro negli in-ear per le varie chiamate e per tenerli informati, in particolare durante i momenti nei quali i cubi sono chiusi e non hanno contatto visivo né uno con l’altro né con me o gli altri tecnici.
Una particolarità di questo spettacolo è la marimba, ripresa con tre Neumann KM184 nei quali abbiamo un bel rientro di tutto il resto. Quindi, bisogna fare i conti con questi rientri importanti. Mi aiuta tantissimo avere il palco quasi muto, ma con i cambiamenti della scenografia, questo varia anche durante lo show. Non ho delle riprese per gli ambienti per Malika o per i musicisti proprio perché i microfoni delle percussioni coprono già quel ruolo.
Marco Di Febo – Operatore video
“Stiamo usando un sistema ArKaos MediaMaster Pro – ci dice Marco – comandato in DMX, insieme ad un video-mapper. Accoppiato a questo, c’è un proiettore da 20.000 ANSI Lumen. Con queste due macchine, mappiamo i contributi sulla scenografia sul palco.
“Non è molto complesso – anche perché i contribuiti sono delle grafiche prevalentemente statiche – ma le problematiche sono nella precisione della mappatura. Questo perché le proiezioni sono su superfici a diverse distanze, a diverse profondità sul palco: sulle tendine frontali dei cubi, sulle tendine posteriori dei cubi, nonché su una gonna indossata dall’artista come effetto speciale durante lo show. Con la distanza operativa nei teatri all’Italiana, a volte l’obiettivo che stiamo usando sul proiettore è proprio al limite della sua apertura per coprire tutti e cinque i cubi sul palco”.
Lo (gli) show
Domino in teatro
Bisogna parlare delle due serate una per una, perché ognuna va presa sul proprio merito e, più che altro, non si possono confrontare le mele con le arance.
Il concerto al Teatro Alighieri si può paragonare alle precedenti produzioni teatrali create per questa artista: sempre curatissimo in termini di suono e con una scenografia di stile distinto.
La trasformazione del palco all’inizio del concerto è interessante, perché sembra legare i concetti scenografici del passato (il fantascientifico di Grovigli e il neo-futuristico di Naïf) allo strutturalismo industriale che caratterizza il resto dello spettacolo. L’apertura dello show con i tessuti elastici dà un’idea fluida al palco, e questi passano davanti ai divari tra un cubo e l’altro, dando l’impressione di un singolo oggetto scenografico, anziché cubi diversi. Quando poi vengono ritirati questi tessuti per svelare la scenografia minimalista e quadrata, il pubblico attento forse coglie l’accenno al titolo del disco e del tour, Domino. La discesa acrobatica dell’artista sul tessuto rosso, come i suoi interventi con i ballerini nel precedente tour, è un momento divertente ma non ironico.
Il resto dello show procede con una sorprendente varietà di look, considerando la scenografia fisica minimalista e cubiforme. Il nascondere e rivelare dei musicisti aiuta molto ad impostare il tono di ogni brano. Le grafiche proiettate fanno quasi da gobo quando vengono usate, ma in alcuni momenti le proiezioni vengono usate anche al posto delle luci frontali per i musicisti.
Per quanto riguarda il suono – cominciando dal talento della cantante e dei musicisti di cui si circonda sempre, al mix di essi e l’impatto in sala – c’è poco o niente da criticare. L’impianto dB Technologies fa il proprio lavoro egregiamente in teatro, di sicuro, e ogni altro commento è superfluo – perché sarebbe aria fritta fare confronti con la nostra memoria di un concerto di tre anni fa in un teatro diverso, con una band diversa e con microfono e mixer diversi.
Domino nel club
Sentire Malika Ayane in un club per la prima volta ci ha fatto rimpiangere di aver perso le date del Naïf Club Tour di qualche anno fa.
Non scherzavano quando dicevano che è un concerto completamente diverso… quasi sembra un’artista diversa – sempre talentuosa e simpaticamente autoironica, ma con una grinta del tutto diversa. Si ha l’idea che quella delle serate in teatro sia una performance dedicata al grande pubblico che la conosce dalla radio, mentre le date nei club siano un regalo ai fan più sfegatati e, forse, a se stessa.
La serata è veramente rock, con una strizzata d’occhio verso il rock alternativo scuro e duro dei tardi anni ‘80, con una scaletta composta di… suoi brani più (e meno) noti! Gli arrangiamenti non solo sono grintosi, ma ri-armonizzati verso il minore e, addirittura, dissonanti. Lei, chitarrista e batterista si presentano in configurazione pseudo-power trio e fanno una serata di distorsione e sudore.
Funzionano tutti i brani in questi arrangiamenti? No, non tutti, secondo noi, ma la maggior parte sì… e alcuni di quelli che funzionano sono quelli meno aspettati, come la sua prima hit super-leggera Feeling better, per esempio, che prende nuova vita con sonorità rock.
Ad accompagnare questa musica e questa atmosfera, vengono sfruttati gli stessi elementi scenografici dello show in teatro. Nel teatro, con molte più luci, colori ed angoli di illuminazione, i cubi con le tendine mantengono un aspetto architetturale ed elegante nella loro semplicità. Nel buio del club, invece, quasi esclusivamente con controluce e proiezioni, queste strutture diventano delle gabbie d’acciaio nero che aprono e forniscono un’ombreggiatura molto “industrial”.
Mentre l’effetto delle videoproiezioni in teatro è spesso volutamente delicato, nei club, invece, grazie alla differenza nel numero e tipo di luci e alla differenza nella gittata delle proiezioni, le grafiche hanno un impatto molto più carico e pronunciato.
L’effetto complessivo è molto piacevole. Il fatto che un’artista come lei si metta in gioco in questo modo le fa guadagnare – almeno da parte dell’autore – ulteriore stima e rispetto.