EQ on / EQ off – quarta parte

Come, quando e perché...

di Livio Argentini 

Nelle puntate precedenti, in teoria, e spero anche in pratica, è stato corretto l’ascolto per il monitoraggio. Ora possiamo pensare a cosa si può fare durante la registrazione e, in seguito, nell’editing e nel mixdown.

Cominciamo con la registrazione.

Per prima cosa dobbiamo dire, anche in questo caso, che di regola è meglio non equalizzare elettronicamente in fase di registrazione. Il concetto basilare è che una registrazione pulita può sempre essere “rovinata” in un secondo tempo, ma una registrazione già errata in partenza non potrà mai più essere ripristinata.

La prima correzione deve essere effettuata in sala scegliendo il tipo di microfono più adatto, cercando la distanza e la posizione migliore per il microfono e per l’esecutore. Spesso però questo non si può fare nel modo che sarebbe ottimale ed allora bisogna correre ai ripari.

Si può usare tranquillamente un analizzatore di spettro per cercare di individuare le bande dove è necessaria una correzione di base, sebbene, a mio parere, spesso risulti molto più valido l’utilizzo delle orecchie. In questi casi è sempre consigliabile usare filtri con banda molto larga, Baxandall o con curva shelf.

È buona norma, quando si usa un analizzatore, tenere a mente due concetti molto importanti: prima di tutto che ogni sorgente sonora ha le sue proprie specifiche assolutamente non lineari e cercare di linearizzare a tutti i costi (cosa che, purtroppo, vedo fare sempre più spesso) significa falsare completamente la tipologia del suono. La seconda: correggere solo parzialmente, per evitare di esagerare, riservandosi una correzione più raffinata in seguito.

La correzione più comune sta in un parziale recupero delle frequenze più alte, dovuto sia alla perdita di risposta della capsula microfonica, sia all’acustica spesso troppo sorda degli studi. È il caso di evitare di usare un filtro parametrico o a terzi di ottava, meglio utilizzare un filtro Baxandall o similare perché solo questi saranno in grado di compensare in modo realistico la parte di segnale persa.

Ci sono due casi particolari in cui bisogna agire con sistemi un poco più brutali.

Quando si fanno registrazioni live, spesso, a causa di risonanze ambientali alle quali ovviamente non si può ovviare, si possono verificare picchi/buchi molto fastidiosi. In questo caso occorre utilizzare un filtro parametrico che, regolando opportunamente frequenza e Q, permetterà di compensare il difetto. Ben difficilmente si potrà usare un filtro grafico a terzi di ottava, perché non capiterà mai un picco con la stessa frequenza e larghezza di banda del difetto da compensare, e se si usa una frequenza prossima si avrà un picco vicino ad un buco con risultati disastrosi. Lo stesso vale per i filtri shelf o similari che non permettono di scegliere la frequenza e che comunque non sono in grado di agire su una banda molto ristretta.

Spesso si fanno lavori abbastanza ripetitivi, dal punto di vista dell’equalizzazione, dove si effettuano sempre le medesime regolazioni già testate in base all’esperienza delle precedenti registrazioni. Un classico esempio è il doppiaggio dove ogni doppiatore, secondo il personaggio da doppiare, richiede una particolare equalizzazione. Un altro caso è quando in studio si registra la batteria, quasi sempre la medesima. Qui il fonico sa già come comportarsi in base alle precedenti esperienze, ed in questi casi si può anche azzardare un’equalizzazione quasi completa. Particolarmente in queste applicazioni è necessario l’utilizzo di un buon parametrico.

La fase successiva è l’editing/mix.

Oggi, con l’avvento della tecnologia digitale, si è suddiviso quello che una volta era il mixaggio in due operazioni separate: l’editing ed il mix.

Questo è uno dei grandi vantaggi del digitale, perché durante l’editing si può tagliare, equalizzare ecc, senza perdita di qualità. Ad esempio una chitarra registrata in varie sezioni su tante piste separate, può venire pre-mixata (o, più esattamente, assemblata) su una sola pista virtuale con tutte le correzioni necessarie, rendendo molto più semplice la successiva operazione di mixaggio.

Durante questa fase del lavoro non è certo consigliabile l’utilizzo di unità analogiche, anche se queste fornissero una qualità cento volte superiore rispetto alle unità add-on digitali. Purtroppo, infatti, per usare unità analogiche mentre si lavora in digitale è necessario effettuare ben due conversioni (D/A e A/D) e, poiché ogni conversione porta ad un inevitabile e spesso notevole decadimento del segnale, questo vanifica completamente i vantaggi portati dalla migliore qualità dell’elaborazione.

Quindi durante l’operazione di editing è meglio utilizzare sempre e solo gli add-on digitali, cercando però di utilizzarli con molta parsimonia.

Ritorniamo per esempio alla chitarra registrata su molte piste in tempi diversi e, qualche volta, anche in studi diversi. La funzione di editing è duplice. Il primo passo consiste nel selezionare le parti sparse sulle varie piste ed assemblarle, regolando i livelli; questo lavoro non richiede l’utilizzo di effetti e può essere eseguito senza alcun problema di decadimento di qualità. Il secondo passo consiste nel controllare l’equalizzazione, il riverbero e la dinamica (compressione/espansione) in modo da rendere tutte le varie parti omogenee tra loro. Questa operazione richiede, in genere, correzioni minime completamente effettuabili senza uscire dal dominio digitale.

Finita l’operazione di editing si passa al mixaggio, dove si può pensare ad una correzione più efficace che andrà ad agire su tutto il brano. In questo caso, specialmente se si effettua la sommatoria in analogico (di gran lunga migliore di quella digitale) è giustificata la conversione D/A necessaria per utilizzare le unità analogiche.

Un caso particolare è rappresentato dall’operazione di mastering. Per questo lavoro occorrono piccole correzioni, per cui sarebbe utile avere a disposizione equalizzatori sia Baxandall che parametrici con variazione di ampiezza molto ridotta (±6 dB). Una variazione di 6 dB espansa su tutta la rotazione di un potenziometro, non solo permette una regolazione molto precisa, ma anche una buona ripetibilità in tempi successivi.

A dire il vero ci sarebbe anche un altro settore di lavoro in cui usare gli equalizzatori: l’effettistica.

Questo è un utilizzo che esula però da ciò di cui discutiamo in questo articolo, perché l’equalizzatore non viene utilizzato come mezzo correttivo, per cui è necessaria la massima qualità, bensì come mezzo per produrre nuovi suoni, quasi a livello di strumento musicale. In quest’ottica tutto è permesso, anzi ci troviamo spesso nella situazione, quasi paradossale, che più un filtro è di qualità scadente e meglio può essere utilizzato.

A questo punto, non rimane che mettersi a girare manopole: buon lavoro