Andrea Corsellini
Il fonico più fortunato del 2007...
di Alfio Morelli
I fatti di cronaca quasi ci obbligano a parlare di un personaggio che in questa estate del 2007 è balzato agli onori delle cronache per essere stato “il prescelto” per mettere le mani sul mixer FOH del tour italiano più importante. Stiamo parlando di Andrea Corsellini, fonico toscano verace che, assieme a Foffo Bianchi e Toni Soddu (sebbene quest’ultimo sia toscano solo d’adozione), sta facendo della terra di Dante la regione eletta del sound engineering italiano.
Sul numero scorso ci siamo fatti raccontare il suo approdo al tour di Vasco Rossi, le sue emozioni nel ritrovarsi, del tutto inaspettatamente e con poche ore di preavviso, a mixare a Torino il grande show del cantate emiliano. Lo abbiamo anche sentito all’opera ed abbiamo raccolto i plausi del team di Vasco nei confronti del suo lavoro.
Oggi lo incontriamo in un terso giorno di fine luglio e, spronandolo con uno spiedino di gamberi ed un bicchiere di trebbiano, lo invitiamo a raccontarci il suo percorso professionale.
Andrea, come molti, ha iniziato maltrattando una chitarra e cercando di suonare musica metal; siamo nei primissimi anni Ottanta, quando insieme alla sua band inizia a salire su qualche palco toscano per poi sconfinare anche in altre regioni. Dopo tante esperienze e tante serate, mentre capiva che il suo talento non era per le sei corde, arriva l’incontro con Mario Manzani che al tempo lavorava con Giancarlo Bigazzi, produttore di Umberto Tozzi, Raf ed altri. Da Mario acquista, insieme ad un amico, uno studio che lui usava come sala prove per i cantanti del suo entourage, e così inizia la sua carriera di fonico.
Quindi le tue prime esperienze sono state in studio...
Sì, in quello studio – spiega Andrea – passavano un’infinità di band di rock e metal del periodo, così, per qualche anno, quello fu il mio lavoro. All’inizio della stagione estiva dell’86, Mario mi propose di fare il “tecnico delle chitarre”, cioè il backliner, per la tournée di Raf. Fu un’esperienza bellissima che mi fece entrare nel vero mondo dell’on the road. L’anno dopo mi richiamarono: a metà tournée successe un imprevisto al fonico di sala, così chiamarono Foffo Bianchi a sostituirlo momentaneamente. In quell’occasione ebbi la fortuna di conoscere quella grande persona che è Foffo a cui, senza ombra di dubbio, devo il fatto che sto facendo questo lavoro a questi livelli; è stato lui che, oltre alle basi tecniche, mi ha trasmesso anche una grande scuola di vita. Dopo il primo periodo, Foffo mi disse che in me c’era un fonico e che se avessi fatto un certo percorso avrei potuto fare questo mestiere da professionista. Quindi da lì a qualche data, divenni il fonico di Raf. Finito quel tour, l’anno seguente feci quello di Ruggeri e a quel punto ero in ballo... Tra le tante collaborazioni che si sono susseguite negli anni cito solo alcuni: Masini, Cocciante, i Pooh per finire in questi ultimi anni con Gianni Morandi, altro personaggio da cui ho imparato tanto.
Andrea, facci una carrellata sulle tappe e gli incontri più importanti di questi primi venti anni di carriera.
Sicuramente al primo posto metto l’incontro con Manzani e Bigazzi, grazie ai quali ho avuto la possibilità di entrare in questo mondo. Subito dopo metto Foffo Bianchi che, come detto, è stato il mio talent scout, mentre il grande laboratorio sono stati tutti i festival rock in cui ho acquisito la mia esperienza. C’è poi il percorso tecnico: ho iniziato negli anni Ottanta con impianti Lombardi, Lem e Montarbo, poi c’è stata la grande svolta, prima con Meyer MSL3 e infine i line array. All’inizio eravamo sempre noi fonici che montavamo e taravamo gli impianti che divennero sempre più sofisticati fino alla comparsa dei PA man; noi fonici potemmo così concentrarci più sulla regia audio, diventata nel frattempo sempre più ricca e complicata.
Tra i professionisti del PA ricordo uno per tutti, Daniele Tramontani, che ha fatto scuola a tanti. È stato lui il primo ad usare il SIM, macchina infernale che ti fa vedere anche il suono e, se la sai usare, fa suonare anche i pezzi di legno. Un grosso aiuto l’ho avuto anche da Davide Grilli, Orlando Ghini ed Antonio Paoluzi, nel passaggio agli impianti line array. A questi personaggi posso dire che devo una grossa parte dell’esperienza e della mia professionalità di oggi. Aggiungo che nel tempo ho capito che la cosa più importante rimane comunque il lavoro di gruppo. Faccio un parallelo: se Schumacher non collabora e non mette in condizione il suo team di lavorare al meglio, non è possibile vincere il campionato mondiale; per il nostro lavoro è la stessa cosa, se l’artista non collabora col fonico, il fonico non collabora al meglio con il PA man, con il fonico di palco e tutti gli altri, non si può tirar fuori il massimo.
Come affronta un professionista di alto livello l’argomento “pensione”?
Questo è un tasto molto dolente. Quasi tutti noi abbiamo iniziato a fare questo mestiere perché coinvolti emotivamente dal mondo artistico, senza minimamente pensare al domani. Poi nel tempo qualcosa comincia a frullare in testa ed ora penso che potrebbe essere arrivato il momento di trovarci attorno ad un tavolo, fare delle ipotesi e proporre qualche idea alle nostre istituzioni. Io personalmente ho anche un’assicurazione privata.
Finiamo con la domanda classica, il sogno nel cassetto?
Con quello che è successo ultimamente, il mio approdo al tour di Vasco Rossi, il cassetto è abbastanza vuoto, almeno per il momento, perché, si sa, per i sogni un po’ di spazio si trova sempre!
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