Pino Chiodo
Senza paura di essere smentiti, possiamo definirlo il pioniere del service professionale in Italia...
di Alfio Morelli
Se non tutti, molti conoscono Pino Chiodo, il romano della Stage. Senza paura di essere smentiti, possiamo definirlo il pioniere del service professionale in Italia. Siamo andati a trovarlo nel suo nuovo ufficio di Roma per farci raccontare la sua storia.
Pino inizia partendo dai suoi 17 anni, quando frequentava la scuola professionale di cinematografia “Ciack”, ovviamente a Roma, culla del cinema: per un ragazzo una professione affascinante che dava anche una certa prospettiva di lavoro. La scuola forniva due sbocchi, uno artistico e un altro tecnico, e fu proprio quest’ultimo che Pino scelse senza alcuna incertezza. Durante la scuola, intorno al 72-73, comincia a frequentare qualche teatro, iniziando a fare piccoli lavoretti da fonico, inizialmente piccole cose che però divennero nel tempo sempre più importanti. Ebbe così la fortuna di incontrare Franco Guarnieri, allora fonico fra i più ambiti sulla piazza che divenne suo maestro: “Da lui imparai tutto quello che c’era da imparare – ricorda quasi commosso Pino – non solo dal punto di vista tecnico, la sua fu una vera scuola di vita”. Cominciarono così i primi lavori importanti come il musical Aggiungi un Posto a Tavola al Teatro Sistina.
“In quegli anni conobbi casualmente Libero Venturi – racconta Pino – all’epoca agente incontrastato di tutti i più bei nomi della scena musicale italiana: Claudio Baglioni, Antonello Venditti, Francesco De Gregori, Ivan Graziani, Rino Gaetano, i New Trolls... giusto per fare i primi nomi che mi vengono in mente. Libero mi volle con lui, perché aveva l’esigenza di andare in tournée con i suoi artisti con una persona fidata che gestisse tutte le problematiche tecniche. Così avvenne il mio esordio nel mondo della musica live. Dopo un paio d’anni e diverse serate in balere e teatri, dove, quando andava bene, avevamo a disposizione un impianto Lombardi, un giorno proposi a Libero di aprire una struttura tutta nostra: all’inizio fu un po’ titubante, ma poi si convinse che l’idea era giusta.
“Come spesso succede – racconta Pino sorridendo – io feci un programma d’acquisto esagerato, perché volevo una struttura che avesse il meglio di quanto offriva allora il mercato. Da buon padre di famiglia, Libero non lasciò proprio liberi i cordoni della borsa, così facemmo degli acquisti più oculati. Cominciammo con un impianto JBL da 20-30 kW, con finali BGW, all’epoca marchi distribuiti dalla Linear di Milano; fu anche per loro il primo approccio con il materiale professionale e lo importarono per la prima volta per la nostra fornitura”.
“Intorno alla metà degli anni Settanta – continua Pino – parte il tour “Solo” di Baglioni nei teatri, da lì a poco scoppia anche la bomba Venditti con il disco “Sotto il segno dei pesci”, ed il lavoro diventa sempre più interessante. Degli stessi anni anche il tour Banana Repubblic con Dalla e De Gregori, il primo tour negli stadi, seguito dalla LEM, allora l’azienda in grado di fornire la quantità di materiale che serviva.
“Passano così gli anni, sempre in tour con un artista piuttosto che con un altro, finché un giorno arriva una telefonata da Britannia Row, struttura inglese che avevamo conosciuto per via delle collaborazioni passate, che ci propone di acquistare tutto il suo materiale audio, perché in quel momento avevano altri progetti. Stiamo parlando di attrezzature usate nei tour di Pink Floyd e Genesis! Nella trattativa che seguì ebbe un ruolo importante anche Stefano Cantadori, all’epoca rappresentante Linear, e non a caso da lì a poco sarebbe nata la sua Audiolink. Dopo una lunga trattativa arrivarono in Italia dieci TIR pieni zeppi di audio, luci e accessori, e qualche mese dopo comprammo anche una grossa struttura Thomas. Con una dotazione tecnica di quella portata ed un’agenzia affianco fummo leader incontrastati del mercato dagli anni ‘80 fino agli anni ‘90.
“Proprio alla fine degli anni Ottanta – ricorda ancora con meraviglia Pino – successe un’altra cosa incredibile: in uno dei tanti viaggi all’estero, in Francia, venni invitato dalla Camaleon, ditta francese che costruiva luci per lo spettacolo, ad un concerto degli Spandau Ballet, gruppo all’epoca da noi del tutto sconosciuto. In questa occasione mi mostrarono per la prima volta degli scanner potentissimi: la cosa mi sconvolse a tal punto che feci l’impossibile per poterli avere. Dopo estenuanti trattative, arrivammo all’accordo di un’esclusiva per il mercato europeo per cinque anni, a fronte di un acquisto di materiale per sei miliardi di lire, e stiamo parlando di sei miliardi del 1987.
Volli fortemente quei fari perché ritenevo che fosse il momento di proporre alle televisioni quel tipo di prodotto: per fortuna o lungimiranza ebbi ragione. Così in quegli anni non ci fu trasmissione, sia RAI sia Mediaset, che non usasse quel tipo di fari. Anche se l’affitto era molto costoso, (dal milione alle ottocento mila lire a settimana a pezzo) ogni trasmissione, che all’epoca durava dai quattro ai sei mesi, ne aveva da un minimo di 12 fino ad arrivare ad una trentina. Le produzioni avevano capito che comunque, nonostante il noleggio fosse costoso, risparmiavano molto nella scenografia.
“Agli inizi degli anni Novanta – Pino arriva anche alle note dolenti – il mercato della musica dal vivo si ampliò notevolmente, e con esso anche le strutture che offrivano servizi, così la concorrenza divenne sempre più agguerrita. Vista la situazione che si stava creando, entrammo nell’ordine di idee di abbandonare il mercato del musicale e del live, perché considerato non più remunerativo. Nel ’94 decidemmo infatti di chiudere la Stage, vendendo tutto il materiale.
Io in quegli anni iniziai un’attività di libero professionista, divenni il direttore tecnico di alcuni artisti che seguivo nei progetti dei tour, selezionando i materiali e le aziende per le tournée. Erano gli anni in cui la Lucas Film produsse Guerre Stellari e creò delle specifiche per attrezzare le sale cinematografiche con le nuove specifiche THX, Dolby, audio 5.1. Le sale iniziarono ad attrezzarsi con impianti audio adeguati e si aprì tutto un nuovo mercato. In quel periodo un mio vecchio amico, da sempre nel mondo del cinema, mi chiese di collaborare sui progetti tecnici dei primi complessi multisala che allora stavano nascendo.
Fu così che presi la decisione di aprire una società che tuttora si occupa di consulenza, trattamento acustico delle sale, progettazione e fornitura di tecnologie per la proiezione e l’audio. Tra i tanti lavori che ho seguito e progettato, ne ricordo uno in particolare con orgoglio. Quando si iniziò a parlare del Festival del Cinema di Roma, fu proposta subito come location ideale l’Auditorium. Nacquero però forti dubbi fra i produttori ed i distributori cinematografici, perché sostenevano, a ragione, che le sale dell’auditorium non fossero adatte acusticamente alla proiezione delle nuove produzioni cinematografiche, che richiedono una diffusione perfetta, vista la presenza dei potenziali acquirenti o distributori: una qualsiasi imperfezione poteva infatti influenzare il successo del prodotto. Mi diedero il compito di adeguare le sale alle proiezioni. Il lavoro fu lungo e molto delicato, si doveva intervenire senza andare ad agire sulle strutture e sull’estetica delle sale: in collaborazione con lo studio di architetti che aveva progettato l’Auditorium riuscimmo a trovare tutte le soluzioni, ed il risultato furono tanti complimenti da parte degli organizzatori.
“Un altro aspetto del mio lavoro di oggi – conclude Pino – è anche quello di organizzare, sempre sotto l’aspetto tecnologico, alcuni festival cinematografici importanti come il Festival Internazionale di Roma, il Rome Fiction Fest, i festival di Taormina e Bari e altri, oppure di occuparmi delle anteprime di numerosi film. Tanto per fare due esmpi significativi, posso citare l’anteprima a Roma del film in 3D “Avatar” e l’evento live della Disney con la diffusione satellitare in contemporanea in varie sale di tutto il momdo per l’anteprima del film “Prince of Persia”.
Chiediamo a Pino cosa vede nel suo futuro, ci risponde: “Premesso che non sarei arrivato fin qui senza la fiducia e la stima di uomini come Libero Venturi e Franco Guarnieri, che non dimenticherò mai, per quanto riguarda il futuro vedo ancora tanto cinema: in Italia infatti ci sono circa 3000 schermi e siamo solo all’inizio dell’era digitale”.
Ma il suo sogno nel cassetto? “Organizzare un grande concerto live in 3D con la qualità emozionante che soltanto il suono cinematografico può dare – ci risponde col sorrisetto di uno che ha in tasca più di un sogno – e trasmetterlo in tutte sale cinematografiche equipaggiate sia con il sistema 3D che quello della ricezione satellitare”.
In bocca al lupo Pino.