George Tellos
Durante una sua visita in Italia l’anno scorso, siamo riusciti a sederci per una mezz’oretta con un lighting designer straniero che si è guadagnato di recente una certa notorietà. Abbiamo trovato una persona tranquilla che sembra aver trovato la combinazione giusta tra spirito libero e spirito imprenditoriale.
Come succede in tutte le feste migliori, ad un evento ospitato da DTS Illuminazione un paio di mesi fa abbiamo avuto l’opportunità di conoscere una persona interessante la cui strada forse non avremmo avuto l’opportunità di incrociare altrimenti. In questo caso stiamo parlando del lighting designer George Tellos, il cui lavoro è salito all’attenzione dell’industria mondiale – ma anche a quella di milioni di telespettatori – durante i giochi olimpici invernali del 2014. Abbiamo colto l’occasione per fare due chiacchiere con questo personaggio, così da poter condividere un po’ delle sue esperienze ed opinioni con i professionisti italiani lettori di Sound&Lite.
Innanzitutto, il suo accento quando parla in inglese è un mélange che rende difficile localizzare le sue origini. Così, gli chiediamo subito...
“Sono nato a Francoforte – ci racconta – e sono cresciuto in Germania, ma mio padre è greco. Ad un certo punto ho deciso di visitare la Grecia e il clima mi è piaciuto molto di più di quello di Francoforte e ho deciso di rimanerci per un po’. Così, da molto tempo vivo tra Germania e Grecia.
“Ho studiato teatro a Saarbrücken, in Germania, e poi anche ad Atene. La mia specializzazione nella facoltà di teatro era la storia e la teoria, non l’interpretazione o la regia. Poi, invece, per me quella preparazione risultava troppo teorica; avrei desiderato approfondire qualcosa di artistico, ma avrei voluto anche essere più coinvolto con la tecnica e la produzione. Alla fine, ho trovato che il compromesso giusto è stato quello di focalizzarmi sull’illuminazione. A quel punto, senza prevedere necessariamente una carriera come designer, ho cominciato a progettare delle piccole cose, per il teatro degli studenti, eccetera.
“Ho girato la Germania e la Grecia quando avevo 20 o 21 anni, cercando qualcuno che mi accettasse come assistente, lavorando gratuitamente per il primo paio di anni. Durante questo periodo ho anche finito gli studi, nel ‘97. Un designer britannico, Phil Hills, mi ha detto: “Se veramente hai la passione per questo lavoro, devi andare molto in profondità... nel senso che devi imparare tutto, da sotto a sopra”. Mi ha detto, quindi, di andare in tournée come tecnico. Prima di allora, la cosa più pesante che avevo tirato su era una matita... ma sono andato lo stesso a tirare su le americane. Per altri due anni ho scaricato camion, montato proiettori, avvolto cavi e operato ai seguipersone. Pian piano, in questo periodo ho imparato veramente ad usare una console e, nel giro di un po’ di tempo, sono diventato un trainer per le console Whole Hog 2 e Whole Hog 3”.
Ti è rimasta, quindi, una preferenza per le High End?
La console è solo una questione di abitudine. Se qualcuno ti chiede di portarlo nel modo più veloce da una città ad un’altra, quale automobile sceglieresti, una Fiat o una Ferrari? Io sceglierei quella che so guidare meglio! Con la console è la stessa cosa. Si può fare un ulteriore paragone con la console: io posso scrivere con una matita o con una Mont Blanc, ma l’importante sono le parole che scrivo, no?
Con che tipo di lavoro hai iniziato?
Ho cominciato più che altro con il teatro ad Atene. Il teatro è stato un eccellente modo di imparare, perché si capisce l’importanza dei fondamenti del mestiere. Per esempio all’epoca ho dovuto illuminare alcune produzioni delle favole di Hans Christian Andersen e questo mi ha portato a studiare la storia di Andersen: dove e quando viveva, come rappresentare la Scandinavia, eccetera. Questa cosa è importante in tutte le applicazioni: nel fare le luci di un concerto occorre studiare le canzoni... la musica, sì, per il tempismo, ma anche l’ambiente, l’emozione, il testo stesso. Questa è una tecnica di profonda importanza nel teatro, che va applicata anche alle altre situazioni. Un’altra lezione importantissima del teatro è operare con un budget quasi inesistente. Facendo il teatro sperimentale, o scolastico, si imparano mille modi di lavorare con il minimo. Considero ugualmente importante la mia esperienza in teatro e la mia esperienza da operatore e tecnico.
Dopo il teatro sono andato direttamente alla musica live, che adoravo. Avevo circa 26 anni e fare delle tournée mondiali come operatore era una cosa piuttosto divertente. Molto velocemente, questo mi ha un po’ fatto dimenticare il teatro.
Pian piano, ho tralasciato la programmazione a favore di concezione e design. Ho preferito concentrarmi sul design perché, ad un certo punto, non riuscivo a stare dietro alla tecnologia... tutte le ore che non erano dedicate all’uso della console erano comunque occupate con lo studio della tecnologia. Mi sento molto più a mio agio adesso, perché riesca mettermi nella posizione di immaginare le scene che vorrei creare, anziché preoccuparmi dei pulsanti che dovrei premere per farle accadere. Cerco di fidarmi e di lasciar fare all’operatore il suo lavoro, anche se a volte faccio fatica a tenere la bocca chiusa e non dare consigli. Questo succede sempre meno, perché oggi i giovani operatori e programmatori sono molto esperti e professionali (o, perlomeno, i miei collaboratori lo sono).
In quel periodo ho cominciato a tornare in Germania. Lì c’era un mondo di opportunità e ho cominciato a lavorare a diversi festival. Lavorare in Germania mi ha fatto entrare anche nel mondo della televisione, creando prima l’illuminazione d’effetto e, poi, anche l’illuminazione per la fotografia. Non mi è piaciuto molto, all’epoca, perché c’era troppo tempo perso nell’aspettare. Non sono rimasto a lungo a lavorare in TV.
Ad un certo punto hai messo insieme anche una squadra strutturata, no?
Ho cominciato a lavorare in modo indipendente ad Atene, dove ho incontrato delle altre persone con cui ho cominciato a collaborare. Ci incontravamo in un albergo, o in un caffé, per lavorare all’elaborazione dei progetti. Ad un certo punto abbiamo deciso che non era più possibile lavorare in quel modo e che dovevamo aprire un ufficio. A quel punto ho aperto Lighting Art, la mia prima compagnia di design. Ora siamo in nove, tra grafici, operatori CAD 3D, programmatori ed assistenti. Lighting Art sta continuando a lavorare molto bene e a crescere.
Oltre agli eventi ed ai concerti, facciamo tanti progetti nella moda, e quello è un impressionante lavoro di precisione. Creare una distribuzione omogenea su una passerella di 40 metri è un lavoro enorme: è abbastanza matematico e non è per niente facile. È ancora più difficile considerando l’importanza di avere un’illuminazione ottimale per il pubblico presente e, allo stesso tempo, una luce buona per la TV. Alcuni degli eventi di moda hanno dei budget enormi e, esteticamente, possono essere molto interessanti.
Hai detto la tua prima compagnia di design?
Sì... due anni fa ho aperto un’altra compagnia, Artic Design, con un socio Saudita. Abbiamo tre uffici di design per l’illuminazione architetturale: uno a Francoforte, uno ad Atene ed uno a Riyadh, in Arabia Saudita.
Come hai fatto il salto verso l'illuminazione architetturale?
All’inizio non sapevo nulla di questo campo perché, alla fine, non sono un architetto. Tempo fa avevo fatto il progetto di uno show per un’ambasciata in Francia. Inizialmente avevo curato la presentazione e la parte culturale, dopodiché ci hanno chiesto di aggiungere l’illuminazione per il palazzo stesso. È iniziato così, veramente. Non sapendo niente di architettura, il mio approccio è stato quello di immaginare tutto su un enorme palco e di cercare di capire ciò che può essere fatto con ognuno degli elementi della scenografia. Le procedure per questo tipo di progetto, alla fine, sono le stesse: come si parla con un regista, un cantante, un attore o uno scenografo, così si parla con il proprietario o con l’architetto per sapere cosa vogliono o cosa immaginano. C’è molto da aggiungere alla conoscenza di base, però, quando si comincia con l’illuminazione architetturale. Occorre studiare i concetti dell’inquinamento luminoso, tenere in considerazione le varie condizioni atmosferiche, ecc. È difficile disegnare tutti i tipi di allestimenti: teatrali, opera lirica, balletto, televisione, concerti, moda ed architetturale, e uno non può fare tutto. È per questo che è importantissimo trovare dei partner e dei collaboratori giusti per ogni tipo di impresa. Il processo di ricerca di tutte queste persone è ancora in evoluzione. Sto lavorando per avere una compagnia compartimentata chiaramente in reparti per riuscire a soddisfare le esigenze dei diversi tipi di progetto. Adesso stiamo facendo il tutto sotto due tetti, ma credo che dovremo separarci ancora di più. Alla fine, però, dobbiamo ricordare che non siamo coinvolti per essere protagonisti; siamo di supporto alle persone sul palco, o per trasferire emozioni al pubblico, che sia seduto in teatro o che stia passando accanto ad un palazzo per strada.
Cosa ci puoi raccontare di Sochi?
È stata un’esperienza straordinaria. Per i Giochi di Sochi abbiamo fatto il palco al Medals Plaza, che è la venue dove vengono presentate quotidianamente tutte le medaglie, diversamente dai giochi estivi, dove le medaglie sono presentate negli stadi. Noi eravamo responsabili per la messa in onda, ogni sera, della presentazione delle medaglie, per i programmi culturali, oltre a seguire la parte finale della cerimonia d’apertura per l’accensione della fiamma.
Come sei stato coinvolto?
Ho ricevuto una chiamata dalla Russia, due anni prima dell’evento, nel 2012. Ho mandato un’offerta e sono spariti. Poi, otto mesi prima dell’apertura, mi hanno ricontattato. Abbiamo lavorato moltissimo in quegli otto mesi, perché il tempo rimasto era veramente poco... dovevamo essere sul posto tre mesi prima, così il tempo per la preparazione è stato di soli cinque mesi. Ovviamente non potevamo fermare tutti gli altri lavori che erano in corso, ma in quel periodo ci siamo dovuti concentrare moltissimo.
È difficile lavorare con il Comitato Olimpico?
Per entrare nella “famiglia olimpica” occorre passare una serie di prove ed esami, da parte di diverse aziende scelte dal Comitato... diversi LD e direttori della fotografia dalla Spagna, dagli Stati Uniti, dall’Inghilterra. Devi dimostrare a questi che i prodotti che hai scelto ed il design passeranno il controllo di qualità. Il controllo di qualità viene eseguito da almeno tre persone, dal vivo. Bisogna fare tantissime prove. Prima e durante le prove tutto deve essere perfetto: nessuna ombra fuori posto, nelle presentazioni delle medaglie, sono molto rigorosi. Sono dovuto proprio tornare ai libri. Nessun tempo passato nella vita ad imparare, studiare e guadagnare esperienza è sprecato, arriverà il momento in cui quella conoscenza verrà utilizzata. Per me, questo è stato il momento in cui quasi ogni cosa che avevo imparato fino quel punto è entrata in gioco ed è stata utilizzata.
Alla fine tutto è andato in modo eccellente. In tutta onestà, sono rimasto sorpreso che sia andato tutto così bene.
“Comunque – conclude George – se io dovessi dare consigli ad altri in questo campo, direi solo che è importante credere e persistere in quello che fai. Credi a quello che fai, se lo ami; se non lo ami, lascialo. Ma se ami il mestiere e resisti e persisti, il successo verrà. È quello che è successo per me ed è quello che credo”.
Sito web di riferimento : lightingart.net
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