Diffusori audio - prima parte
Un approccio empirico alla progettazione dei sistemi a radiazione diretta, e non. Prima parte.
di F. Münchhausen
La gran parte dei sistemi di diffusione sonora presenti sul mercato sono a radiazione diretta, e ciò è vero tanto per il mercato Hi-Fi/Hi-End che per quello professionale. L’adozione di tale tipologia è dettata principalmente dall’economicità realizzativa e dalla facilità di progettazione. All’interno della categoria “radiazione diretta” si annoverano differenti possibilità di caricamento: bass reflex, cassa chiusa, infinite baffle, linea di trasmissione, dipolo, linea a quarto d’onda, ecc. Quest’articolo ha lo scopo di offrire una riflessione quanto più imparziale possibile sui motivi che inducono alla scelta di una particolare topologia rispetto alle altre, tentando di superare i consolidati luoghi comuni che hanno credito nell’ambiente dell’audio.
Introduzione
Con la grande disponibilità di software di simulazione dedicato all’audio è diventato assai semplice dimensionare correttamente il cabinet di un diffusore acustico a radiazione diretta. La facilità dell’approccio simulato sovente fa perdere di vista i motivi e gli scopi di ciò che si sta facendo. L’argomento viene qui affrontato in maniera estremamente semplice (quasi banale), step-by-step, con l’intento di ripercorrere le fasi che empiricamente un autocostruttore-sperimentatore potrebbe seguire per giungere alla definizione della soluzione ottimale in funzione degli obiettivi.
Se prendiamo un qualsiasi altoparlante per basse frequenze (woofer, mid-woofer, larga banda…) e lo montiamo in un box di qualsiasi dimensione, con apertura reflex o meno, questo suonerà. Suonerà bene, male, lungo, secco, gommoso, profondo, rimbombante, inscatolato, preciso, comunque suonerà.
Ecco, uno dei “problemi” sta qui: è troppo facile far suonare un altoparlante. È un’operazione che non richiede nessuna arte e nessuna competenza, basta avere un seghetto alternativo ed un cacciavite.
Nel caso si abbia almeno un minimo di competenza in elettroacustica [1], il caricamento più adatto lo si sceglie in base alle caratteristiche dell’altoparlante (Qts, Fs, Vas,...). Nel caso di cassa chiusa si opta immancabilmente per 0,7 ≤ Qtc ≤ 1,1 con una quantità di calcoli assolutamente ridicola (una divisione ed una moltiplicazione). Se il caricamento scelto è il bass reflex, ci si affida ad uno dei molti metodi tradizionali (Tavole di Thiele, formule di Keele, quelle di White, grafici di Small, ecc.) che danno risultati non sempre congruenti fra di loro. Comunque, in linea di massima, con un po’ di esperienza un accordo reflex corretto1 lo si può fare anche a occhio, senza nessun calcolo.
L’infinite baffle non pone alcun problema, dovendo avere l’unica accortezza di scegliere un box sufficientemente grande in relazione al Vas dell’altoparlante.
La linea di trasmissione, nelle sue diverse varianti, richiede un disegno del cabinet più complesso, ma anche in questo caso la lunghezza della linea può essere stimata molto a spanne2 e con un calcolo veramente semplice.
In 15 righe ho esaurito la “Guida per la progettazione entry-level dei diffusori acustici a radiazione diretta”. Quanto detto sopra è sufficiente per realizzare una cassa suonante ad almeno l’80% delle sue possibilità. Gli ulteriori studi che vengono fatti, ovvero il tuning fine, servono solo a rendere ottimo il lavoro, avvicinandosi alle prestazioni massime desiderate, che di volta in volta possono preferire la velocità della risposta, l’estensione, le dimensioni, la complessità costruttiva, ecc.
L’approccio
Il primo intento dichiarato di questo documento è quello di invitare ad una riflessione sugli obiettivi che si vogliono raggiungere con la costruzione di un diffusore acustico. Di primo acchito la risposta parrebbe semplice, per non dire banale: si vuole produrre o riprodurre del suono. Ovviamente la domanda presuppone una risposta molto più articolata in cui hanno peso termini come: fedeltà di riproduzione, estensione della banda riprodotta, massimo output, distorsione, velocità, “morbidezza”, ecc... Tutte quelle citate sono features che è impossibile soddisfare con un unico altoparlante, in qualsivoglia configurazione. Il modo che ho scelto per indurre alla riflessione è quello di pormi3 in maniera “ignorante” di fronte al dimensionamento del diffusore acustico.
Per favorire la progettazione scevra da vincoli culturali ho voluto pormi nelle condizioni di un abile ed attento novizio dell’audio, che vuole sperimentare direttamente come cambiano le prestazioni di un diffusore senza l’ausilio dei simulatori, ignorando tutta la teoria che negli anni è stata sviluppata sull’argomento. Vorrei ripercorrere l’evoluzione dei caricamenti acustici, non nell’esatto ordine cronologico con cui si sono succeduti, ma seguendo una logica ad “approccio naturale”. Pare quasi un controsenso, ma non potendo realizzare una montagna di cabinet prototipo, ho simulato con un software cosa potrebbe misurare l’ipotetico sperimentatore.
L’altoparlante di prova
Ho quindi scelto, senza particolare selezione, un altoparlante che ultimamente si trova nei progetti degli autocostruttori e sulle riviste ad essi dedicate: il Ciare HX205. È un 8” coassiale, con cono in carta trattata, surround in gomma, magnete in neodimio; un prodotto relativamente recente della casa di Senigallia. Il driver, di cui al momento poco ci importa, ha membrana in kapton da 44 mm. La sensibilità di circa 90 dB/W/m lo esclude dalla fascia degli altoparlanti professionali veri (stage monitor). Possibili applicazioni, vista la taglia: uso Hi-Fi, monitor da banco, sonorizzazione generica di qualità.
Nella figura 1 e nella tabella 2, dimensioni e parametri dichiarati dal costruttore.
Figura 1: Immagine e dimensioni dell’altoparlante.
Potenza nominale | 100 W | Re | 5,6 Ω | D | 161 mm |
Impedenza nominale | 8 Ω | fs | 47 Hz | Vas | 24,3 dm3 |
Sensibilità (1 W@1 m) | 90 dB | Qms | 2,3 | Bx1 | 9,26 Wb/m |
Ø bobina mobile | 50 mm | Qes | 0,55 | Xmax | 7 mm |
Altezza traferro | 8 mm | Ots | 0,44 | η0 | 0,45% |
Fori di fissaggio | 4 x ø5 / Ø 194 | Mms | 27,32 g | Le | 0,3 mH |
Foro pannello | 184 mm | Cms | 0,42 mm/N | Peso | 1,75 kg |
Da una veloce lettura dei parametri, alcune considerazioni notevoli sono le seguenti: Qms basso, Cms elevato, Xmax “importante”, Qts > 0,4.
La prima impressione, indotta principalmente dalla cedevolezza, è che sia un altoparlante che necessita del controllo suppletivo dato da un volume di carico chiuso. Il nostro (mio) intento non è quello di realizzare una cassa per questo altoparlante ma di sperimentare “virtualmente” come si comporterebbe nelle diverse situazioni di caricamento.
In tabella 2 sono riportati i parametri effettivamente utilizzati nel simulatore.
HX205-LF dati forniti dal produttore, corretti | |
fs = 47 Hz | Qms = 2,3 |
Le = 0,3 mH | Qes = 0,54 |
Re = 5,6 Ω | Bl = 9,1 Tm |
ExpoLe = 0,8 | Mms = 26,8 g |
Vas = 24,7 l | SD = 203 cm2 |
Aria libera
Un altoparlante fatto suonare in aria libera, ovvero senza un box o un baffle che separi l’emissione anteriore da quella posteriore, ha una risposta in frequenza ben diversa da quella che desideriamo: i bassi sono totalmente assenti a causa del cortocircuito acustico che si ha al di sotto di una certa frequenza (la frequenza di taglio dipende dalle dimensioni della superficie radiante). Il primo passo nell’evoluzione del progetto, quindi, è il prendere atto che le superfici d’emissione dell’altoparlante devono venir separate. Un woofer tenuto in mano e sollecitato da un segnale ad ampio spettro (pink noise ad esempio) non emette basse frequenze: questo è quanto si osserva. Sappiamo che l’emissione c’è, ovvero che il cono riesce, da una certa frequenza in poi, a trasferire energia meccanica al mezzo in cui è immerso (aria), ma sappiamo anche che le due emissioni, anteriore e posteriore, si elidono rendendo quindi sordo il moto della membrana.
Baffle infinito
Scontata la considerazione che separando le due emissioni e restando immersi in uno dei semispazi testé creati, si potrà percepire solo il suono emesso da una delle due facce. Lo sperimentatore a questo punto fa un buco nel muro di casa, quello che dà verso l’esterno, e vi piazza l’altoparlante. Le corrispondenti misure di risposta in frequenza e impedenza sono visibili nelle figure 2 e 3.
Figura 2: Risposta in frequenza del DUT su baffle infinito.
Figura 3: Impedenza del DUT su baffle infinito.
Si noti che non sono state riportate le curve di risposta e di impedenza per la condizione in aria libera, la prima perché teoricamente nulla a bassa frequenza (e nella realtà dipendente dalle caratteristiche di dispersione dell’altoparlante) e la seconda perché coincidente con quanto visibile in figura 3.
Il foro nella parete, per quanto allettante dal punto di vista concettuale, è un’opzione scomoda. Perché non pensare a confinare l’emissione posteriore del cono ad un volume finito?
Ora che abbiamo chiarito il metodo e stabilito le basi teoriche, nel prossimo numero continueremo con la prima configurazione realizzabile in pratica, la semplice cassa chiusa, per poi procedere alle altre configurazioni.
Letture di riferimento
[1] L. L. Beranek, Acoustics, McGraw-Hill, (1954)
Note
1 Non è neppure tanto facile stabilire quando un accordo è sbagliato, se non nei casi palesi.
2 Nessuno si accorgerà della differenza di suono tra una linea di 2 m ed una di 2,3 m.
3 anzi, di porre un ipotetico autocostruttore.
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