Ben Hur Live - Un vero colossal
Quasi 2000 metri quadri di palcoscenico, 150 attori, 150 animali, una corsa di quadrighe, una battaglia tra galee, lotte tra gladiatori, un tema religioso.
di Douglas Cole
Due secoli fa si diffuse una forma di teatro che combinava il melodramma popolare con lo spettacolo del circo e con il cospicuo utilizzo di animali, in particolare cavalli. La preponderanza degli interpreti a quattro zampe in questo tipo di spettacolo diede il nome “ippodramma” al nuovo genere. Nella prima metà dell’Ottocento questo tipo di spettacolo cambiò in modo drastico le considerazioni nella produzione teatrale, attirando le masse e fornendo incassi che servirono anche a convincere le gestioni di alcuni teatri nel West End di Londra a modificare i loro spazi per poter accogliere questo tipo di produzione. Dopo qualche decennio, però, la moda effettivamente passò e gli anfiteatri dedicati si chiusero. Alla fine del Diciannovesimo secolo, però, il genere conobbe una sorta di risurrezione nei grandi teatri di New York e Londra, grazie all’innovazione tecnologica del tapis roulant, che permetteva ai cavalli di galoppare sul palco proscenio tradizionale. Dagli anni 1880 fino alla diffusione del cinema, le masse tornavano a vedere dei melodrammi che erano poco più che scuse per scene equestri, belliche e di cappa e spada sul palco.
Fu proprio durante questo periodo che fu pubblicato il libro di Lew Wallace Ben Hur – A Tale of Christ. I produttori teatrali dell’epoca fecero a botte per avere i diritti della storia, perché aveva la trama ideale per attirare le masse con combattimenti e azione equestre, il tutto condito con un tema religioso. La prima produzione di Ben Hur, infatti, andò in scena al Broadway Theatre a New York nel 1899, rimase in scena su Broadway ed in tournée per 21 anni e fece registrare l’impressionante numero di 20 milioni di presenze. La chiave del successo di questa produzione, e praticamente di tutte le altre produzioni teatrali e cinematografiche (compresi i due famosissimi film del 1925 e del 1959) fu la grandeur dello spettacolo: numerosissime comparse, scenografie colossali e, soprattutto, l’immancabile scena della corsa con le quadrighe... l’apice dell’azione nella trama.
Con oltre cento anni di sceneggiature diverse alle spalle (almeno tre delle quali considerate capolavori nella storia delle arti drammatiche dell’ultimo secolo), il produttore Franz Abraham, titolare di Art Concerts, ha dimostrato un bel fegato quando ha deciso di mettere in scena una versione da arena di Ben Hur... tanto più una versione con il copione completamente in latino e in aramaico.
Art Concerts ha iniziato negli anni ‘80 come promoter e ha avuto molto successo lavorando con artisti come David Bowie, Paul Simon e i Rolling Stones. Usando il successo come piattaforma di lancio per produzioni proprie, Abraham e la sua azienda avevano goduto di gran successo dalla metà anni Novanta, specializzandosi in “Monumental Opera”: produzioni liriche, adattate per il consumo di massa e per tournée nelle arene e negli stadi. Per quasi quindici anni, hanno avuto simultaneamente in tour al meno due produzioni di questo genere: tra Aida: Opera on Fire, Carmina Burana Monumental Opera e Carmen Monumental Opera. Avendo trovato il successo con la lirica e con le produzioni “monumentali”, Abraham ha concepito uno spettacolo non facilmente classificabile nei termini soliti: non un musical, certamente non un’opera lirica, non un circo. A giudicare dalla storia scelta come trama per questa produzione, dal suo voluto appello alle grandi masse e dal suo gratuito utilizzo degli interpreti animali, forse il termine giusto sarebbe proprio ippodramma. Anzi, forse “ippomusical”.
Comunque si voglia classificare Ben Hur Live, una cosa è certa: Abraham non ha voluto che i migliori per la sua squadra creativa. Innanzitutto, la musica per lo spettacolo è stata composta da Stewart Copeland a cui, dal punto di vista del mondo della musica cinematografica, non si può far riferimento solo come il batterista dei Police, perché sarebbe come descrivere Danny Elfman come il cantante degli Oingo Boingo. Copeland non solo ha composto la musica, ma ha anche fatto la narrazione dal vivo per il debutto dello spettacolo all’O2 Arena a Londra.
La sceneggiatura è stata affidata all’inglese Shaun McKenna, conosciuto per il suo lavoro con il megamusical Lord of the Rings; la coreografia a Liam Steel, del Royal Shakespeare Company; la regia delle scene di combattimento è di Rick Sordelet (Lion King, Beauty & The Beast, Tarzan) e i costumi sono stati creati da Ann Hould‑Ward (Beauty & The Beast).
Nei crediti, due nomi che sembrano comparire spesso in queste pagine, saltano all’occhio: il lighting design è di Patrick Woodroffe (dagli AC/DC ai Rolling Stones, da Michael Jackson a Tina Turner, dagli ABBA a Gianna Nannini a tanti altri), e la scenografia è progettata da Stufish di Mark Fisher (U2, Rolling Stones, Genesis, Robbie Williams, Pink Floyd ed altri).
Alla regia, Abraham ha messo Philip William McKinley. Per questa produzione, forse non ci sarebbe potuta essere una scelta più azzeccata, visto che McKinley ha diretto non solo i musical Spider-Man: Turn Off the Dark (la produzione più costosa mai aperta su Broadway) e The Boy From Oz, ma anche diversi spettacoli del mega-circo americano Ringling Brothers and Barnum&Bailey Circus.
Insomma, Franz Abraham non scherzava quando ha messo insieme la squadra creativa per questo spettacolo; la grandeur voleva, e grandeur è stata.
Sfortunatamente per Abraham, la grandeur è stata consegnata in contrassegno... c’era da pagarla. Durante la creazione dello spettacolo, non sono mai stati trovati dei grandi finanziatori per la produzione, e Abraham e la sua azienda si sono accollati quasi completamente il rischio d’impresa. Durante il periodo di prove per il debutto, nel settembre del 2009, Abraham ha detto alla stampa: “Non so se l’anno prossimo le mie figlie faranno le lezioni di pianoforte in un caravan o su uno Steinway”.
Speriamo, almeno per le figlie di Abraham, che ora non sia costretto a scrivere un numero di targa come indirizzo di recapito.
Dopo il debutto a Londra, che è stato ricevuto in modo piuttosto freddo dai critici ma che ha fatto tre date piene (tra i 40.000 e 45.000 presenze), lo spettacolo è partito per una tournée che è proseguita ad Amburgo, Stoccarda, Monaco e Zurigo, ed era destinato a svolgersi al Mediolanum Forum di Assago. Erano le date milanesi che originariamente avremmo dovuto vedere noi; ma prima dell’apertura al Forum, è stata annunciata la cancellazione delle date ad Assago per motivi tecnici. Poco dopo, le successive date di Vienna sono state annullate e tutte le date successive della tournée sono state sospese. Art Concerts aveva semplicemente finito la liquidità, e la società era fallita.
Fallimento annunciato a febbraio del 2010, quando Abraham ha ammesso che il modello di investimento originale era fallito ma, con una nuova società, avrebbe cercato di pagare i debiti e continuare.
Così la produzione è stata rilevata durante l’anno successivo da una nuova società, denominata naturalmente “New Art Concerts”, e lo spettacolo ha ripreso da dove aveva lasciato. Le date italiane sono state riproposte per un periodo esteso alla Nuova Fiera di Roma, con l’apertura il 29 settembre 2011, quasi due anni dopo le date originali milanesi.
Nonostante la storia di questa produzione non fosse esaltante sotto l’aspetto finanziario, lo spettacolo e le sue dimensioni non hanno smesso di incuriosirci, particolarmente per via di quella lista di crediti tanto importanti. Così, grazie alla totale disponibilità di Daniele Mignardi e delle sue collaboratrici Vincenza Petta e Libera Marinella Tavaglione dell’ufficio stampa, abbiamo fatto il viaggio a Roma per vedere lo spettacolo in una data feriale all’inizio di ottobre, con la speranza di trovare la crew tranquilla di uno spettacolo già avviato e il tempo di parlare con la squadra tecnica e creativa.
Prima di vedere lo spettacolo siamo riusciti a porre qualche domanda al regista, Philip William McKinley.
Tu hai lavorato molto con le produzioni con palco a 360° e a proscenio. Quali sono le differenza concettuali che un regista deve tenere in mente quando si lavora con sceneggiatura a 360°, anziché con un palco a proscenio?
La sfida più grande è trovare il modo di tenere gli attori in movimento. Lavorando in-the-round, si aggiunge profondità all’azione e si deve pensare in 3D. Quello che è il primo piano per una parte del pubblico deve funzionare come sfondo per un’altra parte. La sfida è di mantenere simultaneamente il punto focale e rendere le scene interessanti da tutti gli angoli.
Hai dovuto usare una certa mentalità cinematografica nel creare questo spettacolo, o sei rimasto prettamente teatrale nella regia?
L’intero spettacolo è stato costruito con un feel ed una tessitura molto cinematografica. Il pubblico viene invitato a provare lo spettacolo come un film d’epoca dal vivo. Parecchie scene vengono condotte utilizzando delle tecniche di messinscena cinematografiche, e questo aumenta il feel cinematografico della produzione.
Quanto è stata utile alla tua regia la tua precedente esperienza con il Ringling Brothers and Barnum & Bailey?
Lavorare con il Ringling Bros. più che altro mi ha dato l’esperienza del lavorare con gli animali. Gli animali nella produzione sono importanti come i performer umani. La mia esperienza con il circo mi ha insegnato che ognuno dei vari animali ha una personalità: si devono riconoscere queste personalità e usarle al meglio per intensificare la scena.
Dove e per quanto tempo avete condotto le prove?
Le prove per Ben Hur Live sono state molto brevi: solo cinque settimane. Per una produzione così enorme, si penserebbe generalmente di dover superare le otto o dieci settimane, ma era importantissimo aprire lo spettacolo in modo puntuale. Non ho mai mancato un data di apertura per qualsiasi produzione, compreso Spider Man su Broadway.
Esiste anche una versione outdoor dello spettacolo?
Sì, e il nostro desiderio sarebbe un giorno poter metterlo in scena al Circo Massimo: sarebbe la location perfetta per Ben Hur Live.
Lo spettacolo musicale è live o in playback?
La musica per lo spettacolo è tutta in playback. La complessità di orchestrare ogni scena tra gli attori e il programma musicale avrebbe richiesto una quantità enorme di tempo. Ryan Beveridge ha fatto la gran parte del lavoro con la partitura, ha aggiunto degli arrangiamenti vocali alla musica composta da Stewart Copeland per creare più spinta emotiva alle scene. Gli attori devono lavorare in playback per coordinare la loro performance con la spinta del programma registrato.
A rispondere a qualche domanda sulla logistica della produzione è Tobias Bartelmus, il direttore di produzione.
La scenografia è la stessa della prima produzione a Londra o della produzione a Colonia? Quanti TIR ci vogliono per spostare tutto?
Alcuni elementi scenografici sono stati adattati per questa produzione, ma per la maggior parte è rimasto tutto invariato. Non contando i camion delle tribune, ci vogliono una sessantina di TIR per spostare tutto.
Quali sono i requisiti tecnici della venue per questo spettacolo?
Le dimensioni minime della sola arena sono di 30 m x 60 m, con un clearance di 12 m e la possibilità di fare il load-in e il load-out velocemente.
Quanto tempo ci vuole per l’allestimento e il disallestimento?
Questa volta ci abbiamo messo circa 14 giorni, ma solo perché non c’era nessuna fretta. Il load-out sarà di circa due giorni.
Qual è stato il problema specifico che ha causato la cancellazione delle date di Milano?
Le galee non potevano manovrare per girare gli angoli dalle rampe al Mediolanum Forum.
Le luci
L’arena dello spettacolo occupa l’intero padiglione 13 della nuova Fiera di Roma. In realtà, questa produzione non è completamente a 360°: le tribune sono solo su due lati lunghi e un lato corto della scena, con l’altro lato corto chiuso come zona backstage. Il secondo lato corto ospita tribune, con sopra i box VIP e la regia audio/luci. Ci era stato accennato che la versione attualmente in scena è ridotta, in termini di interpreti (umani e non) e di impianti. Nonostante questo, la produzione fa comunque impressione. La superficie della scena è vasta e completamente coperta di una miscela di sabbia specialmente formulata per offrire aderenza senza alzare polvere. Sopra questa superficie è appeso uno schema complicatissimo di truss che copre l’intera scena. A trovarci mentre guardiamo questo sacripante è Andreas Kisters, il lighting director dello spettacolo. Ci sediamo mentre Andreas ci parla dell’illuminazione.
“La sfida nell’illuminare uno spettacolo con un’area di palco così estesa è trovare il giusto equilibrio tra illuminare il palco, aggiungere effetti ed evidenziare gli attori. Con una zona palco così grande, che poi deve diventare così tante diverse ambientazioni, innanzitutto le luci devono creare l’ambiente... dal sole splendente all’aria della prigione alla strada del mercato. Poi ci sono gli artisti in scena, non quattro o cinque ma spesso più di cento. Abbiamo dovuto lavorare moltissimo sulla visibilità degli artisti.
“Ho fatto il tour due anni fa e, in tournée, Franz Abraham aveva l’idea di un vero spettacolo luci come rock-n-roll. Patrick era sempre il designer su quella produzione, ci siamo chiesti come si potesse creare un vero spettacolo luci su un ‘palco’ di queste dimensioni.
“Phil, invece, ha voluto un’illuminazione molto più teatrale”.
Allora tu sei stato coinvolto proprio dall’inizio della produzione originale?
Sì, ho fatto la programmazione dalla prima produzione. Lavoro spesso con Patrick. Questo ovviamente mi rende più facile questa seconda produzione, perché conosco lo spettacolo da quando è stato concepito.
Che proiettori avete scelto: più proiettori teatrali o testemobili?
Utilizziamo praticamente solo testemobili, una combinazione di spot e wash. Gli spot sono 58 dei nuovissimi High End Intellaspot. Questa scelta è stata basata sull’elevata luminosità di quel proiettore. Ci hanno fatto una presentazione personalizzata di questo faro prima dell’inizio della produzione e siamo rimasti molto contenti della potenza. Li abbiamo confrontati con altri proiettori e siamo molto contenti della scelta, perché funzionano sorprendentemente bene.
I wash sono 98 JB A12 e 47 GLP Impression 90. Nell’ultima produzione abbiamo usato i MAC 2000, ma per questo siamo andati con la scelta di wash a LED, per una questione di assorbimento.
Ancora non ci sono tanti proiettori sul mercato con la potenza necessaria per questo spettacolo. Abbiamo scelto i LED Wash JB‑Lighting A12 per la loro potenza, ma era rischioso perché si tratta di un proiettore nuovissimo, presentato nell’ottobre del 2011, non era ancora disponibile sul mercato fino a dopo l’apertura di questo spettacolo. Ci hanno mandato i primi 96 esemplari prodotti per questo spettacolo. Siamo contenti, ma c’è ancora qualche cosina con questi proiettori da “affinare”. Durante la fase di programmazione, però, non si sono presentati problemi.
I sei attori principali vengono seguiti dai seguipersona, non c’è altro modo per illuminarli bene, e questa è una della caratteristiche che rendono lo spettacolo meno teatrale e più rock.
Avete avuto delle sfide per non accecare il pubblico da un lato per illuminare la scena o gli attori dall’altro?
Non proprio... anche se abbiamo un clearance più basso (12 m) che in tournée (16 m) abbiamo sempre le luci abbastanza in alto per evitare questo.
Che cosa usate per creare tutti gli effetti necessari alle diverse ambientazioni?
Tanti, tanti gobo. In ogni proiettore abbiamo dei gobo personalizzati: sampietrini, sabbia, acqua.
È stato sperimentato qualche nuovo effetto o innovazione tecnologica in questo spettacolo?
Non proprio. Tutti i proiettori sono piuttosto convenzionali. Per quanto riguarda il controllo, invece, c’è qualche novità. Io utilizzo tre consolle Wholehog III, con l’ultimo software ver. 3.2.1 in una rete backup full-tracking, che funziona in modo brillante con quel software.
Uso una consolle principale, un backup e il mio computer come un secondo backup. Con questo software, è la prima volta che si può fare un backup full-tracking con Wholehog. High End ci ha dato moltissimo supporto per questo; un loro tecnico è venuto qui per diversi giorni per assicurare che il network girasse in modo completamente pulito.
Stiamo controllando 14 universi DMX con questo sistema, anche se non tutti sono completamente pieni.
Visto che il programma musicale è completamente registrato, lo spettacolo è sincronizzato in timecode?
No, assolutamente niente in timecode. Seguo tutti i cue a mano. Non abbiamo neanche considerato di usare timecode. Sarebbe forse possibile ma, visto che questo spettacolo è un adattamento di uno precedente, ci sono stati così tanti cambiamenti durante le prove – e anche adesso – che vale la pena seguirlo dal vivo. Ci sono circa 300 cue e premo Go per ognuna.
Da quante persone è composta la squadra per il design, la programmazione, e quante ore di lavoro sono servite per la programmazione?
Il light design, ovviamente, è di Patrick Woodroffe, insieme ad Eneas Mackintosh. Io sono il lighting director, ho fatto la programmazione e faccio l’operatore durante lo spettacolo. Il lighting crew è tedesco, della Media Resource Group, mentre gli operatori dei seguipersona sono italiani. Thomas Thaser è il lighting crew chief, e fa le chiamate per gli spot metà in inglese e metà in tedesco... si capiscono in qualche modo.
Ho fatto la pre-programmazione per 14 giorni in uno studio WYSIWYG, dove ho programmato tutte le cose di base. Sono venuto a Roma, allora, con uno show di base già funzionale. Durante le prove, ho programmato tutti gli effetti sopra, e abbiamo cambiato e riprogrammato dei cue per adattarli ai cambiamenti. Questo processo è durato altri 10 giorni.
Alcune sceneggiature sono state rifatte per adattarle meglio alla venue, come certe scene sono state “invertite” e spostate dal lato backstage al lato della regia. Ovviamente questo ha comportato molta riprogrammazione sul posto.
Quando siamo arrivati qui, e le prove in questa venue sono iniziate, abbiamo filmato le prove ed abbiamo rifatto una scaletta dei tempi. Poi, in notturna, abbiamo riprogrammato lo show. Non l’abbiamo fatto proprio scena per scena, ma prima abbiamo fatto una notte aggiustando il look di base di ogni scena. Poi, la notte successiva, abbiamo programmato gli effetti per ogni scena sopra quelli. Ogni notte abbiamo fatto ulteriori modifiche su ogni scena.
Per la produzione precedente, avevamo fatto sei settimane di prove. Non voglio dire che eravamo stressati qui, ma dovevamo programmare ogni notte, oltre a fare lo spettacolo durante le prove per trovare le cose da aggiustare.
Di cosa sei particolarmente fiero, qui con questo spettacolo?
Personalmente sono fiero del fatto che stiamo facendo lo spettacolo senza timecode. Conosco la musica molto bene dalle produzioni precedenti, e sono orgoglioso di poter eseguire lo spettacolo in modo molto preciso.
Sono anche molto orgoglioso di alcuni effetti. Abbiamo diversi momenti in cui le luci e gli attori sono perfettamente a tempo. Dopo tantissime prove siamo in grado di seguire gli artisti ed i gruppi degli artisti con i testemobili. Sono fiero del fatto che queste cose continuano a funzionare ogni serata.
Quali esigenze ha avuto il regista per quanto riguarda l’illuminazione?
Phil ha voluto che lo spettacolo venisse illuminato in modo più naturale, e senza troppi effetti. Voleva una luce teatrale punteggiata con momenti di effetti rock-n-roll.
L’audio
Guardiamo una mezz’ora di prove delle scene di combattimento, che già senza costumi e luci sono avvincenti e spettacolari, dopodichè ci avvicina il fonico di sala e responsabile audio Martin Felber. Martin ci spiega qualcosa dell’audio.
“L’impianto comprende 20 Meyer UP‑Q, 20 UP‑J, 20 M’elodie e qualche UPA. Le UP‑Q sono per le tribune ai lati lunghi, mentre i due array di M’elodie puntano al lato corto dove c’è la regia. I sub sono 12 HP700, collocati sotto le tribune. Normalmente li avrei sospesi al centro, ma le specifiche di portata del soffitto qui non me lo permettevano. Il controllo avviene attraverso un singolo Galileo per le tribune principali, ed una Yamaha DME64 per i lati. Alla regia c’è un PM1D.
“La precedente produzione di questo spettacolo aveva un budget più elevato, avevamo molti più diffusori ed un sistema di localizzazione sviluppato dal Fraunhofer Institute. Questo aveva 32 canali in uscita con un processore che, utilizzando il delay applicato ai vari canali, effettuava la corretta localizzazione psicoacustica agli eventi in scena. Spero che le prossime produzioni possano tornare ad usare questo sistema, perché fornisce un’esperienza molto più coinvolgente”.
Quando sospendevi i sub al centro dell’arena, usavi il Thomas Mondorf Array per creare la “ciambella”?
Non esattamente, ne avevo sviluppato uno io che era più adatto all’arena. L’array sviluppato da Mondorf fornisce una ciambella, ma una ciambella che si espande in un circolo. Io, invece, li disponevo in due linee che funzionavano per creare una copertura ellittica, come un’arena. Purtroppo qui non si poteva fare.
Hai adattato le scene sul PM1D dall’ultima produzione, o le hai create nuove? Le ho rifatte completamente. Per questa versione alcune delle scene sono state ri-fatte, e dalla regia ci è stato chiesto di editare anche delle tracce audio. In certi momenti abbiamo dovuto anche troncare dei brani. Tra questi cambiamenti e le differenze nella venue, valeva la pena rifare il mix e le scene. Abbiamo, addirittura, dovuto usare una tastiera MIDI per aggiustare alcuni degli edit della musica. Il pubblico generale non lo noterà, ma per noi che abbiamo sentito lo spettacolo com’era prima è abbastanza ovvia. Abbiamo dovuto anche tirare giù due brani di tonalità, perché la partitura originale richiedeva una principale femminile soprano... invece su questa produzione la principale è un contralto.
Il lavoro durante lo spettacolo non è molto difficile, devo praticamente mixare solo gli attori, perché la musica è più o meno a posto con la scena salvata. Comunque, anche con la musica faccio dei piccoli cambiamenti ogni giorno. Gli attori però, come i cantanti, cambiano da una serata alla successiva.
Come viene gestito il playback?
Il playback software è Ableton Live, dal quale al banco ricevo 24 tracce di registrazioni dell’orchestra con la colonna sonora. Le registrazioni vengono da così tante diverse sessioni che io effettivamente per il venue ri-mixo l’orchestra. Questa è la brutta notizia. Quella buona è che le ho mixate più o meno durante le prove ed ho circa 100 scene salvate che, almeno, non cambiano ogni sera.
Il software Ableton controlla anche tutti i sottotitoli, che ovviamente sono sincronizzati all’audio. È semplicemente una traccia video in Ableton. L’unico problema che abbiamo con questo è che Ableton è in grado di ricevere MTC, ma non di trasmetterlo.
E i segnali dal vivo?
Ci sono trenta linee di microfoni per gli attori e per riprendere ed amplificare gli effetti sonori che rendono efficace lo spettacolo: ci sono diversi microfoni sulle galee, per riprendere i suoni della battaglia, e ci sono vari microfoni nelle scenografie per intensificare l’azione.
Tutti i radiomicrofoni sono della nuova serie Axient di Shure. Per gli IEM usiamo i PSM900. Sono tutti sistemi nuovissimi della Shure. La sede di Media Resource Group è molto vicina al distributore tedesco Shure, e lavorano spesso insieme.
Poi abbiamo “l’horse radio”: una serie di radiomicrofoni ed in-ear monitor per permettere ai quattro attori che partecipano alla scena della corsa con le bighe di comunicare tra di loro... anche perché mettere gli specchietti retrovisori sulle bighe non sarebbe stato storicamente accurato, e per coordinare la scena con un po’ di sicurezza gli attori devono poter comunicare.
Abbiamo provato all’inizio con diversi sistemi intercom, ma c’è troppo rumore per permettergli di sentire, così abbiamo configurato degli IEM con gli auricolari e funzionano molto bene.
I microfoni sono dei DPA, oltre a degli MKE 2 di Sennheiser e ad alcuni headset Sennheiser. Il problema con il microfonaggio è che ci sono le scene di battaglia e di combattimento: è difficile fissare i microfoni agli attori che poi devono cadere e rotolare per terra.
Hai avuto problemi con la gestione delle radiofrequenze qui a Roma?
No, sorprendentemente no. Usiamo la banda P8, da 710 MHz a 790 MHz. Ci sono tre canali di DTV in quella band che ci porterebbero via 24 MHz totale da una banda di 80 MHz... ma il livello di questi è bassissimo, e quando i portoni sono chiusi spariscono quasi completamente e possiamo occupare tutta la banda senza problemi.
Abbiamo avuto qualche problema con la ricezione dai radiomicrofoni, perché il sistema radiomicrofonico è tutto collocato nella zona backstage e, per evitare troppa perdita sui cavi d’antenna abbiamo usato le antenne direzionali sul lato backstage dei truss, ovviamente puntati verso il lato regia. Questa configurazione ci lasciava, paradossalmente, delle zone non coperte verso il lato backstage. Ho parlato con i nostri amici della Shure e ci hanno detto che, sempre utilizzando antenne direzionali, potremo coprire queste zone utilizzando ulteriori antenne. I trucchi sono due: il primo è che si possono modificare i combinatori d’antenne per i trasmettitori degli IEM, sistemando un paio di ponti all’interno delle macchine, così che si possono usare come combinatori per antenne riceventi. Questo ci permette di usare due diverse coppie di antenne direzionali per i ricevitori dei radiomicrofoni. Il secondo trucco è semplicemente di evitare che si sovrappongano le coperture delle antenne che sono sulla stessa linea del sistema diversity, cosa che causerebbe delle cancellazioni di fase, creando ulteriori zone morte. Con un po’ di lavoro abbiamo configurato questo sistema, e funziona benissimo. In ognuna delle linee abbiamo messo dei booster, della Shure e della Wysicom.
Gli attori principali, ovviamente, hanno sempre due microfoni. Questo anche perché sono sempre sul palco e non ci sarebbe mai tempo di effettuare un cambio di microfono. È facile che nel corso di una scena qualcosa vada male con uno di questi. Così ci sono sempre dei backup.
Il trasmettitore per l’IEM che usiamo per le comunicazioni tra gli attori sulle quadrighe, invece, è collocato alla regia FoH.
Un padiglione di una fiera non è proprio una venue pensata per ottime qualità audio. Quanto avete lavorato prima del debutto per aggiustare l’acustica dell’arena?
E chi ha finito? Qui è proprio un caso con lo scenario peggiore. Quando è vuoto, se batti le mani ci sono tra sette e otto secondi di forte riverbero. Purtroppo non c’è niente da fare per questo. Almeno la musica è tutta registrata.
Per questa produzione hanno sospeso queste tende, su mia richiesta, per ridurre questo riverbero almeno alle alte frequenze. Hanno aiutato anche esteticamente. Per le misure utilizziamo Smaart 4.5.
Lo spettacolo
La data a cui abbiamo assistito noi non ha avuto una gran presenza di pubblico. Anzi, relativamente alla capienza delle tribune, la percentuale di presenze è probabilmente stata la più bassa che abbiamo mai visto. Questo è un gran peccato, perché Ben Hur Live è effettivamente di una stravaganza visiva notevole.
Alcune cose potrebbero rendere lo spettacolo un po’ più facile per il pubblico: il dialogo tutto in latino ed aramaico è un tocco di realismo storico del tutto inutile, visto che le persone sulla faccia della terra che potrebbero seguirlo si possono contare probabilmente su qualche mano. Il motivo di questa scelta nella concezione dello spettacolo è stato che avrebbe standardizzato i problemi di linguaggio in tutti i paesi in cui sarebbe stato presentato, mentre i sottotitoli proiettati e la narrazione avrebbero fornito la traduzione del dialogo. In realtà, diventa pesante per lo spettatore ascoltare la narrazione e guardare l’azione in scena simultaneamente e, per quanto riguarda i sottotitoli, a Roma il testo era proiettato in inglese!
Il fatto che lo spettacolo sia ridotto dalla versione presentata due anni fa non è per niente evidente. Al livello della sceneggiatura, alcuni elementi che sono stati esclusi (la curiosità mi ha portato a leggere diverse recensioni del debutto a Londra) non sembrano affatto mancare. Magari per curiosità tecnica sarebbe stato bello vedere il sistema di localizzazione audio in utilizzo, ma l’audio era più che dignitoso, e questo non è poco, considerando la venue.
La scenografia mostra veramente un tocco di genio; riesce simultaneamente a dare il senso di grandiosità ed offrire visibilità da ogni angolo, prendendo in prestito dal teatro minimalista la versatilità di ogni pezzo. Le galee in particolare sono molto efficaci, ma anche le fontane e colonne del secondo atto.
Le luci di Woodroffe sono veramente stupende. Trasformano 2000 metri quadri di sabbia in strade, mercati, mare e, beh, anche sabbia. L’utilizzo dei wash a LED a terra intorno l’arena risultano importanti quasi come tutto il parco luce sopra per quanto riguarda il tono della scena, mentre le scene particolari in cui regnano gli effetti, come la battaglia navale e le scene bibliche, sono molto emozionanti e creative.
Non ci poniamo come critici teatrali ma, dopo aver visto lo spettacolo, le recensioni negative di due anni fa sembrano tutte scritte da chi, forse, non aveva capito il “voler essere” dello spettacolo. Le accuse di “pacchianità” e di interpretazioni esagerate fanno voler chiedere agli stessi critici se avessero mai visto il film del ’25 di Niblo o il film del ’59 di William Wyler (che ha vinto undici Oscar e quattro Golden Globe). C’è uno certo stile che deve accompagnare il trattamento di certi soggetti, mi sembra. Secondo me, nel concepire questo spettacolo, Abraham ha fatto un singolo errore decisivo: l’ha prodotto dalla parte sbagliata dell’Atlantico.