Red Hot Chili Peppers World Tour 2016 – The Getaway World Tour
Tre giorni dopo l’ultimo concerto di un tour di festival di 24 date in tre mesi – che ha attraversato l’Atlantico tre volte e il Pacifico due – è partita da Budapest la nuova produzione creata per il tour mondiale “The Getaway”, in supporto all’omonimo recente album dei Red Hot Chili Peppers.
di Douglas Cole
La quintessenziale band di Los Angeles, nonché il più longevo complesso emerso dalla scena punk underground del sud della California dei primi anni ‘80, Red Hot Chili Peppers, ancora garantisce uno spettacolo energico e divertente. Il loro recente album The Getaway è stato pubblicato nel maggio del 2016 e, già prima della fine dell’estate, era certificato disco d’oro in dieci paesi e aveva venduto più di un milione di copie in tutto il mondo. La pubblicazione del disco è stata seguita immediatamente da una tournée nei festival estivi su tre continenti, alla fine della quale il gruppo si è imbarcato per un tour mondiale destinato a concludersi alla fine del 2017. Per quest’ultimo tour è stata creata una nuova scenografia, fortemente basata sull’applicazione di una tecnologia che vediamo usata per la prima volta in una produzione itinerante: la “scultura cinetica luminosa”, creata con la combinazione di una grande matrice di motori, ognuno con un punto di luce RGB, che formano un display luminoso, nel quale i pixel posso muoversi in verticale fino a quasi venti metri di altezza, ad una velocità massima di 3 m/s.
Grazie a Live Nation Italia ci sono state due opportunità, nell’autunno dello scorso anno, di assistere a questo fantastico concerto e all’uso di questa impressionante tecnologia: all’Unipol Arena di Casalecchio di Reno e al Pala Alpitour di Torino. Noi non potevamo certo mancare, così la sera dell’otto ottobre eravamo presenti alla data bolognese; qui abbiamo avuto l’opportunità di fare due chiacchiere con alcuni degli addetti ai lavori in tour, cosa sempre molto interessante per conoscere e capire meglio il modo di lavorare di questi grandi professionisti internazionali.
La scenografia
Il lighting designer che ha concepito questa innovativa produzione è Scott Holthaus, storico LD dei Chili Peppers e anche operatore in tour. Poiché il visual dello show è fortemente giocato sulla “scultura cinetica”, il resto dell’impianto luci e video è molto semplice e convenzionale. L’intero parco luci è basato su poche tipologie di proiettori: Clay Paky A.leda K20 Bee•Eye e Ayrton Magic Blade per wash ed effetti, oltre ai PRG Bad Boy, pilotati in remoto dal sistema di GroundControl, usati come seguipersona. Questi vengono integrati con qualche strobo ma, essenzialmente, i corpi illuminanti sono appesi su 11 truss verticali in fondo al palco e due truss per i tagli in alto, dove vivono tutti i Bad Boy, oltre a dei Bee•Eye a terra. Ci sono inoltre quattro schermi LED semitrasparenti con passo da 9 mm, con movimentazione su due assi. Questi ultimi vengono usati per circa metà del tempo per gli I-Mag, spesso con effetti applicati, mentre per l’altra metà per contributi grafici. Stop. Il resto dello show visivo si basa completamente sull’energia della band stessa e sull’impressionante matrice di punti luce che si estende dal fondo del palco, sopra la prima parte del parterre, fin quasi alla regia FoH.
A spiegarci meglio questo impressionante allestimento è Leif Dixon, l’operatore video e programmatore luci che lo fa funzionare.
Leif Dixon – Operatore video
“Il mio titolo in tour è operatore video, ma curo anche tutta la programmazione video e collaboro alla programmazione delle luci – un altro ragazzo ne ha composto la struttura, ma io la sto portando avanti apportando le note ed i cambiamenti giorno per giorno –; inoltre sono responsabile della cura, dell’alimentazione e del benessere dei media server”.
Cosa mi puoi dire della matrice che si estende sopra il parterre?
Il termine che viene utilizzato è “scultura cinetica”. Il prodotto in uso è il paranco Tait Nano Winch: ne utilizziamo 880, ognuno collegato ad un punto luce costruito su misura in base alle specifiche di Scott. Ogni punto riceve controllo di elevazione e colore RGB. I punti luce sono considerati ciascuno come un pixel RGB individuale, ma ognuno ha anche un piccolo proiettore, con una sorgente bianca, che punta verso il basso.
Li possiamo controllare direttamente dalla console o da uno dei due media server. Siamo in grado di mappare i contenuti sulla superficie, per gestire immagini video, o trattare la matrice come una serie di punti luce dalla console, metodi che utilizziamo entrambi durante lo spettacolo. Il segnale Art‑Net viene interamente gestito dalla console che esegue un merge fra il segnale proveniente dai media server – quando sono operativi – e quello generato dalla stessa console. La console gestisce il flusso di dati e lo inoltra ai controller Tait, i quali utilizzano il software Navigator per il controllo dei motori. La crew Tait usa Navigator anche per controllare tutti i movimenti degli schermi video in fondo al palco. La squadra Tait, naturalmente, verifica i Nano Winch per la manutenzione durante il giorno e ha la possibilità di controllarli in qualsiasi momento. Tuttavia, quando andiamo in show-mode, sostanzialmente il sistema Tait agisce come un gatekeeper: tutto il controllo del movimento della matrice viene dal FoH ma passa attraverso il loro sistema, dando loro la possibilità di spingere il grosso fungo rosso nel caso in cui qualcosa andasse storto.
Deve essere sistema Navigator piuttosto grande, considerando gli 880 paranchi nella griglia, oltre quelli che muovono gli schermi LED...
Abbiamo quattro schermi su binari per il movimento a destra e a sinistra, e ognuno di questi si muove anche su e giù... così occorrono almeno 16 dispositivi per spostare gli schermi, più l’intera matrice. Probabilmente non è il sistema più grande che Tait abbia mai fatto, considerando spettacoli fissi come quelli di Cirque du Soleil, ma non conosco altri show in tournée con così tanti motori.
Quanto tempo impiegate per allestire?
Di solito cominciamo verso le 7:00 e finiamo entro le 13:00, quindi circa sei ore.
Ci sono undici truss orizzontali, ciascuna con 20 staffe Tait montate; ogni staffa, a sua volta, sostiene quattro paranchi. Le undici truss sono appese ciascuna con due motori, così veramente si monta tutto piuttosto rapidamente. C’è una truss per i cavi perpendicolare a tutte le altre su un lato, in modo da poterne abbassare una qualsiasi individualmente per la manutenzione, se necessario. Finora abbiamo sostituito un paio di moduli LED e un paio di paranchi, ma, tutto sommato, dopo i quindici o venti spettacoli che abbiamo fatto fin ad ora, il sistema sembra abbastanza stabile. Non ci sono guasti ogni giorno, è abbastanza affidabile.
Come programmate gli effetti delle onde e di superficie con la matrice di paranchi?
Ci sono due diversi modi. Uno di questi è proprio dalla console stessa; questa modalità segue le stesse regole dell’uso di qualsiasi proiettore motorizzato ma con un solo un parametro coinvolto, per il movimento verticale del paranco stesso.
Così, essenzialmente, si configura un chase con il movimento dei paranchi?
Sì, usiamo il generatore di effetti sulla grandMA2 per fare alcune delle forme. Questo metodo non consente di costruire forme molto complesse... sarebbe troppo difficile generare, per esempio, un movimento di nuvole. Ma è possibile creare alcuni angoli e “rastrelli” davvero interessanti, o anche un movimento di onde: in realtà è abbastanza semplice... non dirlo a nessuno, però!
Fondamentalmente capitalizziamo la potenza della console per generare queste forme semplici, mentre quelle più complesse vengono riprodotte dal media server. Le forme vengono renderizzate in Cinema 4D, poi i dati vengono convertiti in una forma che il server è in grado di riprodurre.
Hai fatto anche molto della programmazione delle luci?
Lavoro con i RHCP dal 2004 – sono entrato all’inizio come programmatore luci e già durante il tour successivo ho programmato luci e video. Siccome gli spettacoli sono diventati sempre più complessi, negli ultimi due tour abbiamo portato dentro un mio amico e collega, Zach Peletz, per fare la programmazione delle luci all’inizio del tour nelle arene, in modo che io potessi concentrarmi sul video. In questo modo, ovviamente, possiamo lavorare due volte più velocemente. Una volta partiti, dopo circa una settimana in tour, io subentro nella programmazione. Questo non significa che non programmo luci: ad esempio ho programmato luci e video per il tour di festival in Europa e Asia, proprio questa estate.
Soprattutto quest’anno, la tabella di marcia è stata piuttosto difficile – abbiamo avuto solo una decina di giorni per programmare questo show, e fare luci e video sarebbe stata una sfida monumentale per me, probabilmente impossibile. Inoltre ho un ottimo rapporto con Zach, poi Scott è contento, così eravamo tutti d’accordo.
È un po’ ambiguo decidere se questa matrice sia luci o video. Per metà dei brani viene controllata dai media server, così che cade in grembo a me, mentre per l’altra metà stiamo usando la console. Zach è un programmatore molto più veloce di me, così lavora ai brani dalla console. Mentre programmavamo, a Lititz, abbiamo diviso il lavoro: io ho fatto tutto il video e lui ha fatto tutte le luci. Adesso che siamo in tour, invece, sto facendo io tutte le note ed i cambiamenti quotidiani.
880 pixel complessivi rappresentano una risoluzione abbastanza alta per mettere dei contributi grafici sulla matrice?
In realtà no. Con tutti abituati oggi ad una densità di pixel sempre più alta sui LED wall, dove ci sono decine di migliaia o centinaia di migliaia di pixel su uno schermo, 880 pixel complessivi non sono molti. Quando guardi la mappatura, ti accorgi che la nostra matrice è solo 20 per 44 pixel. Proprio al fine di poter visualizzare qualcosa per la programmazione, abbiamo usato una zona del monitor alta 200 pixel... circa un pollice e mezzo! È una mappatura piccolissima ma, una volta che si ha un’idea di ciò che si sta guardando, è abbastanza facile prevedere come sarà visualizzato un contributo.
Quali server e software stai usando?
Stiamo usando Catalyst per buona parte dello spettacolo, il mio server preferito da circa un decennio. Richard Bleasdale, lo sviluppatore di Catalyst, è venuto ad aiutarci a fare un paio di modifiche per questo show, per personalizzarlo un po’. L’azienda che ha prodotto la maggior parte dei contributi è Moment Factory, di Montreal, ed ha creato un’applicazione in TouchDesigner per i suoi contributi; quindi circa la metà dello spettacolo è in Catalyst e l’altra metà in TouchDesigner.
Io sono decisamente abituato alla metodologia ed al flusso di lavoro di Catalyst, per cui passare a TouchDesigner ha richiesto una certa fase di apprendimento, visto che è compilato in modo personalizzato e il flusso di lavoro è un po’ diverso.
Così una delle grandMA qui è solo una spare?
Durante il giorno programmo tutto e faccio la maggior parte degli aggiustamenti e dei cambiamenti, mentre Scott fa i puntamenti. Durante lo spettacolo, invece, Scott gestisce luci e video – è tutto collegato a un unico cue stack e mandato completamente in manuale – mentre io rimango alla seconda console per alcune sostituzioni e correzioni, alcune funzioni video... Se dobbiamo improvvisare un brano, comincio a tirare fuori cue di video e cose del genere. Quindi il mio lavoro si svolge principalmente durante il giorno e poi, se tutto va bene, riesco a sedermi a guardare lo spettacolo. Se mi vedi occupato durante lo show significa che qualcosa è andato terribilmente storto, oppure la band sta tirando fuori una canzone che non abbiamo programmato... a volte improvvisiamo.
Dave Rat – Fonico FoH
Per avere delucidazioni sull’audio, parliamo con il mitico e storico fonico dei RHCP, nonché il proprietario di Rat Sound, fornitore dell’audio per le tranche americane e delle regie e del monitoraggio per le tranche europee.
“Per la maggior parte – spiega Dave – non abbiamo cambiato molto dall’ultimo tour. Il main è praticamente identico, Sempre K1, ma questa volta con i K2 sotto, anziché i KARA. In questa venue, ci sono 12 K1e 5 K2 per lato. Questi numeri variano secondo la venue. I side sono K2 questa volta, invece dei V-DOSC o KUDO. Poi ci sono dei secondi side/back che sono array di KARA. Questi ultimi non sono così importanti oggi a Bologna, perché la venue non è adatta, ma nei posti più grandi copriamo a 270°.
“Per la tranche europea siamo passati dai sub SB28 ai nuovi KS28, sempre nella stessa configurazione end-fire, con tre sub a 0 ms, più tre gruppi di tre in un arco modificato, sotto le estensioni laterali del palco. Poi abbiamo dei cluster di sub davanti al palco per rendere più liscia la risposta nel campo ravvicinato.
“Probabilmente – continua Dave – la differenza più grande è che, con la presenza di questa nuova scultura cinetica, non possiamo mettere dei cluster al centro, come di solito preferisco. Abbiamo messo, invece, degli ARCS accanto al main che emettono dall’alto verso l’interno. Lo svantaggio di questo è che sono un po’ più distanti dalla gente, ma un vantaggio è che formano un point source con il main, creando meno interferenza per chi ascolta dal basso. Un altro effetto collaterale dell’aggiunta di questa matrice di luci in mezzo è che il fronte palco è più stretto. Questo permette agli array principali di essere più vicini uno all’altro e ha portato gli ARCS abbastanza vicini da sovrapporsi in mezzo. Inoltre abbiamo parecchi KARA sul bordo del palco per le prime file.
“Tutti gli amplificatori sono appesi con gli array – dice Dave – e questo fa una differenza impressionante. Mandiamo il segnale in AES dal FoH fino agli ampli: convertire a valle e accorciare i cavi per le casse fa davvero una differenza molto significativa. Io non faccio mai le cose perché sembrano meglio sulla carta! Devo sempre provare tutto per verificare la differenza nel mondo reale. E in questo caso sono molto contento”.
Per te il K1 è difficile da domare nelle arene, rispetto al V-DOSC?
Per me, da quando faccio le arene, la sfida più importante è trovare la risonanza della sala e tagliarla più possibile. Anche se senti la mancanza di qualcosa in quella gamma, per me è meglio tagliarla che averla lì a sporcare tutto il resto. Sono molto attento a questa cosa sia per quanto riguarda l’impianto sia dal punto di vista dell’EQ per la sala... trovo quelle risonanze e le rimuovo completamente prima di fare altro.
Posso capire perché qualcuno abbia avuto difficoltà, comunque: siccome il K1 ha così tanto potenziale nella parte bassa, può essere molto facile perdere il controllo. L’altro problema è che c’è lo “Zoom Factor” nel software. Quando i sistemi cominciano ad essere così grandi, bisogna andare dentro e mettere tutta la parte bassa lineare... non si può lasciare il boost, perché il tutto diventa un morbido pastrocchio.
Non provo neppure a cercare molte basse dall’impianto appeso. Cerco di contare principalmente sui sub per le basse frequenze, facendone uscire solo un po’ dall’impianto appeso. Se non bastano i sub, ne uso un po’ dal K1, ma preferisco prendere le basse da terra. Quando si mettono molte basse nelle casse appese, si generano dei riflessi che mettono praticamente una seconda linea virtuale di casse a terra. Cosa succede? Beh, è ben noto quello che succede quando abbiamo due gruppi di sub in configurazione semplice per terra ai lati del palco: interferiscono generando un’emissione complessiva a forma di farfalla, con una zona di interferenza costruttiva al centro, poi due gradi annullamenti e due annullamenti secondari. A causa delle riflessioni a terra, mettere le basse in alto significa semplicemente prendere quella “farfalla” e girarla in verticale, spegnendo molta direzionalità in linea con gli array, ma con degli annullamenti in mezzo al pubblico a terra e anche tra la gente nelle tribune alte. Paradossalmente, mettere le basse in alto può significare disporre meno basse per la gente in alto.
Il volume del palco è alto? Come hanno gli ascolti sul palco?
È significativo, sicuramente. Sul palco ci sono IEM e monitor a terra. Flea (basso – ndr) ha molto backline: ci sono quattro stack di casse per il basso solo dalla sua parte, tre dei quali per Flea ed uno per Sammy che suona il basso su un singolo brano. Sono tutte veramente accese, non sono lì solo come scenografia. I Chili Peppers enfatizzano non solo l’accuratezza del suono, ma anche l’eccitazione e l’energia di suonare sul palco. C’è una certa sensazione adrenalinica nello stare davanti le casse che senti nel petto, come accelerare con una macchina da corsa. Perciò, anche se Flea sta usando gli in-ear, stare davanti alle sue casse da basso gli fornisce un’energia non indifferente.
Ad Anthony (voce – ndr) piace l’equilibrio. Se guardi il palco, le casse di basso e chitarre sono puntate verso l’esterno, un po’ per bilanciare la batteria. Poi ha un certo riempimento dai monitor a terra, inoltre usa anche gli auricolari. Chad (batteria – ndr) usa l’IEM, ma anche dei wedge. I monitor sono generalmente a basso livello, giusto se vuole togliere gli auricolari. Poi ha un sub da batteria da 21”, accordato molto in basso, e due Butt-kicker sul seggiolino. In ogni punto del palco c’è una grande energia.
Josh (chitarra – ndr), invece, ascolta completamente da casse... ha un’altra cassa del basso anche dalla sua parte del palco. Stare nella sua postazione sul palco è un’esperienza sonora incredibile.
Devi combattere con il livello sonoro dal palco, ogni tanto?
A me piace. Ho notato qualche problemino quando suonano nei posti più piccoli, con meno di 1500 posti. Per me non è un grosso problema, è solo un equilibrio delicato.
Con IEM e monitor a terra per quasi tutti, spero non usiate anche per il palco una console analogica!
No, non converrebbe di sicuro. Mark (Vanderwall, il fonico di palco – ndr) usa una DiGiCo SD10. Ha un numero impressionante di monitor mix: solo Josh ha uno stereo mix più stereo chitarra... così ha quattro mandate solo per i wedge di Josh. Poi ha i wedge di Anthony, i wedge di Flea... stereo in-ear per Anthony, stereo in-ear per Flea, in-ear per Chad, tastiere, side-fill... più di venti diversi mix.
I monitor sul palco sono costruiti da Rat Sound?
Per questo tour abbiamo costruito una coppia di SuperWedge, uno dei progetti più recenti di Rat Sound, e li ho portati alle prove per farli testare da Mark, per la chitarra. Sono rimasti molto entusiasti e hanno voluto i Super Wedge per tutti. Li hanno usati anche per Flea e Chad; volevo portarne due in regia FoH, ma Josh mi ha fregato anche uno di quelli.
Hanno due coni da 12” Eighteen Sound. Il componente mid/high è un 10” coassiale con un driver custom con uscita da 2” e un diaframma da 4” in berillio. Entrambi i componenti mid/high hanno bobine da 4”. Ogni componente usa un canale indipendente dell’amplificatore Powersoft.
Per Josh abbiamo rimosso i due 12” e abbiamo inserito due Celestion, con un’impostazione di limiter molto ristretta. Usiamo un emulatore fuori dall’ampli per chitarra e mandiamo la chitarra full-range in quei 12”: ha detto che è il miglior suono di chitarra che abbia mai sentito.
Ci spieghi le tue scelte per la regia e della tua particolare metodologia di mixing, con la console perpendicolare al palco?
Innanzitutto, in totale, ho 36 o 38 canali in ingresso: Beta 91 sulla prima cassa, Audix D6 sulla seconda, Beta 98 sul rullante sopra, SM57 sotto, Beta 98 rack tom, Beta 98 floor 1, Beta 98 floor 2, il ride è con un Royer 122 con metà della figura di 8 per il ride e l’altra metà che riprende la campana. Gli overhead sono Neumann KM184, sul secondo rullante c’è un Beta 98, due Beta 98 per un timpano e un piattaccio. Per il basso pulito c’è una DI Radial attiva; per il basso sporco, un Whirlwind Director a trasformatore. Il microfono sulla cassa del basso è un Beta 98 montato in un buco che abbiamo tagliato nella griglia. Chitarra 1 è con SM57, chitarra 2 con un Audix OM7 senza la griglia. Chitarra 3 è con un altro SM57, chitarra 4 usa l’emulatore. Il pianoforte è un Kimball K122 già con pickup, usiamo due DI ma poi abbiamo anche un Helpinstill pickup, così il piano ha tre canali. DI anche per le tastiere e OM7 per le voci, a parte Josh, che usa degli EV ND967.
Uso ancora una console Midas Heritage 3000. Non ho mai passato abbastanza tempo con le console digitali... non mi piace e non mi diverto a mixare con una console digitale. Avendo passato così tanto tempo a gestire i PA, ho sempre guardato i fonici, cercando di capire i modi di lavorare e le varie “mode” nel mixare. Tanti fonici passano tempo ad accordare il PA molto bene, ed impostano il suono bene per poi, durante lo show, svolazzare sopra la console e ritoccare ed aggiustare e regolare e pizzicare. Io penso che sia un po’ come cucinare: se continui ad aggiustare e cambiare e aggiungere ad un sugo, alla fine diventa marrone e non sa di niente in particolare.
Ad un certo punto, ho letto di quelle persone cieche che riescono ad usare l’ecolocalizzazione schioccando con la lingua e come la mancanza dello stimolo visivo renda più acuti gli altri sensi. Mi sono chiesto cosa sarebbe successo se avessi spento tutte le luci della console, forzandomi di ascoltare. Quando è tutto illuminato, con schermi, ecc, ho la tendenza a guardare e regolare le cose che sembrano, ad occhio, da aggiustare. Con le luci spente, invece, la mia attenzione rimane al suono e come reagisce il pubblico alla band. Ho cominciato a mixare senza le luci e mi sono trovato più coinvolto nel guardare lo show – oppure a mandare gli SMS agli amici (ride). Sono diventato uno che partecipa di più allo show invece di uno che sta per due ore a fissare dei dispositivi elettronici. Ha cambiato il mio ruolo... sono diventato uno del pubblico che sta per caso vicino alla console e può mettere a posto qualcosa se va male. Poi, con le luci spente, ho tolto anche il nastro per segnare i canali. Ho scritto io la lista dei canali, perché non dovrei ricordarla?! Ogni tanto, quando qualcosa cambia, mi metto su certi canali un indicatore Braille, giusto per arrivare velocemente ad un certo canale. Quando guardo e ascolto la band, e sento qualcosa che non mi piace, se devo distogliere lo sguardo e cercare qualcosa sulla console, spesso perdo subito l’immagine sonora di quello che sto cercando. Invece adesso posso stendere la mano e fare gli aggiustamenti senza cambiare posizione.
Come nasce l’idea della console perpendicolare al fronte palco... perché?
Una volta ero in un tour di festival con i Blink 182, usando una XL4. Prima di arrivare, l’assistente FoH mi ha chiamato, dicendomi che non c’era nessuna possibilità di far entrare la console sotto la torre scaff dove avevano messo la regia del festival. Mi ha chiesto se volevo mixare davanti, sotto una tendina, e gli ho detto semplicemente di girare la console a 90° per farla entrare nello spazio. È rimasto basito un attimo e poi mi ha semplicemente chiesto “a destra o a sinistra?”. Quella volta l’abbiamo messa a sinistra. Durante quello show ho scoperto che, invece di avere tutta quella roba davanti, potevo mettermi alla sbarra del ponteggio e non c’era niente tra me e la band. Era grandioso! Inoltre era una tournée nella quale in regia c’erano sempre degli ospiti della band ed era sempre un problema con tutta la birra e il vino che spesso finiva pericolosamente vicino alla console, se non proprio appoggiato sopra. Era sempre una scocciatura dover interrompere la festa a tutti e dire di stare attenti alla console. Invece, con la console girata e non davanti, ho trovato che nessuno la metteva a rischio. Inoltre potevo mixare anch’io con una mano mentre tenevo una birra nell’altra, senza preoccuparmi di dove appoggiarla! Ci sono così tanti vantaggi! Ho scoperto dopo che, mettendo la console a destra, riuscivo anche a stare in una singola posizione e vedere ogni singolo fader, ogni singolo meter degli ingressi, e dopo il mixer vedevo il rack con un RTA, tutti gli equalizzatori grafici, tutti i gate e tutti i compressor. È stata una rivelazione... tutte le informazioni necessarie davanti in una singola visuale... e sempre guardando la band sul palco.
Dipendi molto dalle outboard, allora...
Io non uso molto outboard esoterico. Probabilmente i Distressor e il Fatso Jr sono le cose più “stravaganti”. Uso dei Klark-Teknik Quad Gate e un paio di Dual Gate: per i tom, rullante, cassa, timpani... quella roba lì. Sul basso sto usando un quad compressor su due dei canali.
Poi ho compressione sui canali delle voci di Anthony e di Josh, usata praticamente come limiter, e c’è un Distressor su ognuno di loro.
La maggior parte della compressione la uso sui gruppi: ho il Fatso Jr sul gruppo delle voci, e due BSS DPR404 Quad Compressor. Poi ho i BSS Comp sul gruppo stereo della chitarra, il gruppo stereo del basso, il gruppo stereo dei tom, il gruppo cassa/rullante, il gruppo stereo degli oggetti circolari fatti di metallo, il gruppo stereo delle tastiere, eccetera.
Il problema più grande che ho avuto all’inizio era gestire la compressione sul gruppo della voce. Il problema è che, quando Anthony canta piano e vicino al microfono, la sua voce è calda e bilanciata, mentre quando canta forte tende a diventare tagliente... se aggiusto con EQ, poi quando torna a cantare piano non si capisce. Non mi ricordavo come avevo risolto questo problema nel passato... poi finalmente mi è venuto in mente che avevo un Drawmer 1960 Tube Compressor, e con quello la voce diventava più morbida. Non ero così contento con il Drawmer – non era più così affidabile e l’avevo messo nel pacchetto di backup. Poi ho provato il Fatso Jr: è stato difficile impostarlo all’inizio, durante le prove, ma una volta messo a punto funziona perfettamente.
Da chi è composta la squadra audio?
Jim Lockyer è il mio PA engineer, Mark Vanderwall è il fonico di palco, Taka Nakai è il suo tecnico. Poi, purtroppo, dei ragazzi di High Lite conosco solo i nomi: Roddick, Jacob, e “Kevi”. High Lite fornisce tutto l’impianto e gli apparecchi di supporto per questa tranche europea, mentre le regie, i monitor, ecc, è materiale nostro. High Lite un’azienda ceca e sono molto bravi. Jim ed io facciamo una richiesta specifica per l’impianto, che viene passata alla produzione: la produzione non mi dice cosa portare e io non dico quale fornitore usare. Questo tour è andato in appalto a tre o quattro fornitori tra cui High Lite per l’audio. Avevamo già lavorato con loro e sono molto bravi.
Lo show
Nel 1986, a Knoxville, non riusciì ad entrare in un club in cui suonavano i Chili Peppers, perché i minorenni erano esclusi. Io e i miei amici ci accontentammo di ascoltare i primi brani da fuori per poi correre a casa prima del coprifuoco. Finalmente, dopo 30 anni, sono riuscito a togliermi questa soddisfazione e senza un minimo di delusione. La band suona e fa presenza sul palco con forse più energia di tre decenni fa. Ad aumentare quest’impressione ha contribuito il pubblico eccitato di una Unipol Arena strapiena.
Sentendo descrivere l’effetto della “scultura cinetica” e come tutto lo show visivo sia appoggiato principalmente su questa, verrebbe forse l’idea che il one-trick-pony possa diventare noioso. Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità: questa scoperta è così versatile e il lavoro così perfettamente studiato che, in più di due ore di concerto, l’ambiente non sembra mai ripetersi. Anche se, sulla carta, potrebbe sembrare un effetto più adatto ad altri tipi di musica, e non allo stile funk-rock dei Chili Peppers, ci sta sorprendentemente bene con l’atmosfera un po’ psichedelica creata dai “ragazzi” di Los Angeles.
Per quanto riguarda l’audio, possiamo solo dire che la reputazione di Dave Rat è meritata. Se il suono sul palco davanti le casse di Flea è eccitante, in sala non è da meno: sempre potentissimo, ma senza esagerare mai con il volume. Ogni parte cade nel mix perfettamente al suo posto e l’insieme si sente veramente una favola.
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