Radiofrequenze - prima parte
Appunti sulla trasmissione di segnali audio a radiofrequenza
Qualche tempo fa, il nostro direttore ha assistito ad un seminario Shure sui radiomicrofoni, presso la sede di Prase Engineering, portando con sé, al suo ritorno, un blocco di slide dall’apparenza interessanteche mi hanno ovviamente ricordato alcune nozioni sui fondamenti della fisica delle radiofrequenze apprese tra le scuole superiori e i primi anni dell’università. Alcune tra le nozioni apprese, sviluppate in maniera adeguata tramite lo studio e l’esperienza, possono fornire, in effetti, una mappa efficace per la comprensione di alcuni fenomeni che stanno alla base del funzionamento dei dispositivi a radiofrequenza.
Propagazione libera e guidata
Per trasmettere informazioni, come ad esempio un segnale audio, da un punto ad un altro nello spazio, è possibile in sostanza utilizzare due modalità:
- la trasmissione via cavo, oppure
- la trasmissione a radiofrequenza.
Nel secondo caso, la trasmissione a radiofrequenza, si sfrutta la proprietà delle onde elettromagnetiche di propagarsi nello spazio. In verità anche la trasmissione via cavo sfrutta la propagazione delle onde elettromagnetiche, ovvero la propagazione di un segnale elettrico lungo il cavo. Si parla, al proposito, di “propagazione guidata”, nel senso di “propagazione attraverso una guida”, e il cavo si può vedere in un certo senso come un convogliatore di segnale. Per la propagazione nello spazio si parla invece di “propagazione libera”.
In questo senso, propagazione guidata e propagazione libera presentano diverse analogie, forse più di quello che si potrebbe pensare a prima vista, ma contemporaneamente presentano anche diverse fondamentali differenze, alcune delle quali penso che siano, se non proprio sotto gli occhi di tutti, quantomeno molto evidenti a chi si sia mai occupato appena seriamente di trasmissione di segnali a radiofrequenza.
Una differenza fondamentale, ad esempio, è che il cavo elettrico è un mezzo passa-basso mentre l’etere in cui si propagano liberamente le onde elettromagnetiche è un mezzo passa-banda. Via cavo, ad esempio, è possibile trasmettere un segnale in continua così com'è, mentre via radio questo non è direttamente possibile, se non trasformando il segnale da trasmettere secondo una codifica riconosciuta da entrambi i lati della connessione, per poi decodificarlo alla ricezione. Entrambi i mezzi di trasmissione, per altro, cavo o canale radio, tendono ad attenuare le alte frequenze su lunghe tratte.
In effetti, i segnali audio (analogici) via cavo viaggiano solitamente (anche se non sempre) “in banda base”, cioè così come sono: il segnale elettrico nel cavo di trasporto riproduce direttamente (analogicamente) il segnale audio da trasmettere; la trasmissione via radio, al contrario, passa necessariamente attraverso un'elaborazione che implica di fatto una traslazione in frequenza, ovvero che trasforma il segnale originale in banda base, passa-basso, in un segnale passa-banda. Tale risultato si ottiene ricorrendo al procedimento di modulazione.
Un vantaggio fondamentale della modulazione, vista come traslazione in frequenza del segnale da trasmettere, è dato dal fatto che, allocando segnali diversi su bande di frequenza differenti, è possibile poi trasmetterli tutti contemporaneamente sullo stesso canale, cioè sullo stesso cavo o nell’etere (che è lo stesso per tutti).
La modulazione di portante sinusoidale
Abbiamo scritto sopra uno degli scopi della modulazione è quello di traslare la frequenza di un segnale da trasmettere. Questo segnale da trasmettere è, diciamo così, il dato di partenza, e in questo contesto è chiamato “segnale modulante”.
Per traslare lo spettro di frequenza del segnale intorno ad una frequenza più elevata serve un segnale sinusoidale (un tono puro) a tale frequenza elevata, che si chiama “segnale portante”. La modulazione consiste nel variare alcune caratteristiche del segnale portante, in maniera dipendente dal segnale modulante.
Il ricevitore riceve il segnale modulato, propagatosi dal trasmettitore e raccolto dall’antenna ricevente, ed estrae da questo il segnale modulante, conoscendo (o indovinando) la frequenza e la fase del segnale portante.
Utilizzando, per i meno refrattari, il linguaggio della matematica, particolarmente adatto a descrivere i concetti della fisica, si può esprimere il segnale portante come un tono sinusoidale (o, equivalentemente, cosinusoidale) caratterizzato in sostanza da un’ampiezza, una frequenza e una fase iniziale:
Per trasmettere informazione occorre rendere variabili nel tempo (ovvero modulare) uno o più tra i parametri sopra menzionati, ottenendo così un’oscillazione modulata la cui espressione può generalmente essere espressa nella forma:
Quello riportato sopra è uno schema del tutto generico. Entrando invece nello specifico, si usano in pratica vari tipi di modulazione, con differenti caratteristiche, eventualmente adatte per la trasmissione di segnali differenti e/o attraverso mezzi trasmissivi differenti.
Una prima classificazione dei tipi di modulazione distingue la modulazione analogica da quella digitale. Una terza famiglia di tecniche di modulazione è quella delle modulazioni d’impulso, che però non sono utilizzate per le trasmissioni a radiofrequenza ma piuttosto per la codifica dei segnali in banda base.
Le modulazioni analogiche e anche quelle digitali possono essere, in sostanza, modulazioni di ampiezza, modulazioni di frequenza o modulazioni di fase, a seconda del parametro principale che viene fatto variare in maniera dipendente dal segnale modulante.
Per le modulazioni analogiche si parla semplicemente di modulazione di ampiezza (amplitude modulation in inglese, abbreviato con la sigla AM), oppure di modulazione di frequenza (frequency modulation, FM) o ancora di modulazione di fase (phase modulation, PM). Per la modulazione di ampiezza, in particolare, che è forse la prima, la più semplice concettualmente nonché la più antica tra le tecnologie di modulazione, esistono delle tecniche di ulteriore elaborazione del segnale modulato che sono caratterizzate ciascuna da una particolare conformazione dello spettro di frequenze.
Per quanto riguarda le modulazioni digitali, si tratta né più né meno di modulazioni per passi discreti, al contrario delle modulazioni analogiche in cui i parametri del tono portante possono variare con una risoluzione teoricamente infinita. Le sigle per le tecniche di modulazione digitale riprendono la terminologia in lingua inglese che utilizza la locuzione shift keying al posto del termine modulation. Così la sigla ASK sta per amplitude shift keying, che si potrebbe tradurre con modulazione a spostamento di ampiezza e che indica una modulazione di ampiezza per passi discreti, ovvero digitale.
Nello stesso modo, l’acronimo FSK indica la modulazione digitale a spostamento di frequenza (frequency shift keying) mentre PSK indica la modulazione digitale a spostamento di fase (phase shift keying).
Le tecniche digitali più avanzate, e verosimilmente più efficaci, utilizzano contemporaneamente diversi tipi di modulazione digitale (ampiezza e fase).
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