Noa - Ravenna Jazz – Classe al Chiaro di Luna

Con una tournée intensa di quindici date in agosto, la cantante israeliana approfitta della stagione estiva per portare in Italia un concerto che mette insieme i più svariati generi, con degli standard di jazz registrati per il suo più recente disco Afterallogy.

Noa - Ravenna Jazz – Classe al Chiaro di Luna

di Douglas Cole

Abbiamo fatto un salto a Classe (RA), al bellissimo parco del Museo Classis il 5 agosto per vedere l’allestimento in una delle venue che ospitano i concerti del cartellone di Ravenna Jazz e per avere un assaggio del concerto della rinomata musicista e cantante israeliana Noa. 

Achinoam Nini, in arte Noa, gode di un particolare seguito in Italia – nonché in altri paesi – dal’97 quando ha interpretato Beautiful That Way, la canzone principale della colonna sonora del film La vita è bella, ma è una musicista poliedrica ed estremamente talentuosa, nota in Israele dai primi anni’90. Nata in Israele, ma cresciuta negli Stati Uniti, dal suo rientro nel paese di nascita alla fine degli anni’80, ha fatto dell’eclettismo la propria caratteristica principale, passando dalla musica pop, etnica ebraica e araba, a interpretazioni liriche e addirittura alla musica tradizionale napoletana, spesso colorando un genere con l’altro. Durante il lockdown, insieme al decennale collaboratore, il chitarrista Gil Dor, ha registrato il disco Afterallogy, il suo primo album di jazz, con interpretazioni di molti standard. Durante il mese di agosto, l’artista ha portato nel Bel Paese una tournée di 15 date, un concerto che include opere da questo disco, ma che tocca e mischia tutti gli altri generi per i quali è conosciuta. 

In questo tour, oltre che da Dor alla chitarra, l’artista è accompagnata da Ruslan Sirota al pianoforte, Or Lubianiker al basso e Gadi Seri alle percussioni – un gruppo che risulta di serie AAA a livello musicale.

La tappa di questa tournée in Emilia-Romagna è stata promossa da Jazz Network, all’interno della sua rassegna multi-città Crossroads, che include i concerti di Ravenna Jazz nella provincia medesima, con la collaborazione degli Assessorati alla Cultura del Comune di Ravenna e della Regione Emilia-Romagna, con il sostegno del Ministero della Cultura e il patrocinio di SIAE. Questo concerto in particolare è anche stato inserito in una delle due venue esterne della manifestazione locale “Classe al Chiaro di Luna”. Il parco del Museo Classis è un prato curato e piano, una buona venue per concerti all’aperto, con una pecca peculiare: è affiancato dalla linea ferroviaria Rimini-Ferrara, perciò rischia di aggiungere ai concerti il contributo dell’occasionale treno merci. Ma, in tempi di Covid, l’aumentata richiesta di venue esterne può aiutare anche a trascurare questo inconveniente.

Diego Pasini – Produzione per Crossroads

“Io lavoro per il festival Crossroads – ci spiega Diego – in cui è inserito Ravenna Jazz. Crossroads è un festival che si sviluppa a Ravenna ma che porta concerti in tutta l’Emilia-Romagna da Piacenza a Rimini. Solitamente – prima del Covid – si svolgeva dalla prima settimana di febbraio fino a giugno. Con la pandemia è cambiato tutto e abbiamo cominciato quest’anno dal 15 maggio con Correggio Jazz e finiremo a dicembre, sperando che la situazione permetta di tenere concerti anche al chiuso nella stagione autunnale/invernale. 

“La direttrice artistica Sandra Costantini si occupa della rete di comuni che negli anni si è consolidata, alla quale si aggiunge spesso qualche nuovo comune che accetta di offrire il proprio teatro o la propria venue, così riusciamo a portare anche nei piccoli paesi artisti di un certo rilievo del panorama jazz e non solo. Sandra si occupa del cartellone, tenendo in considerazione i gruppi che sono in tournée e anche le capienze necessarie per ospitarli. 

“Il bello di questo festival – continua Diego – è che lavoriamo in luoghi molto grandi, da quando c’è il Covid nella parte estiva, ma anche nei teatri più grandi come il Teatro Galli di Rimini e, per esempio, il bellissimo Teatro Asioli a Correggio, fino a delle venue minuscole come a Solarolo. 

“Io mi occupo degli aspetti tecnici ma anche di quelli organizzativi e logistici, quindi dall’accoglienza dei musicisti alle richieste tecniche, interfacciandomi con i vari service. 

Essendo una rassegna distribuita su un grande territorio, abbiamo dei fornitori diversi per ogni zona, anche in base al concerto che dobbiamo fare. È sempre una sfida rispetto a un festival fisso, ma il lato positivo è che si creano delle collaborazioni continuative con diversi fornitori nei vari luoghi. In giro ci sono molti service competenti, professionali, che mettono il cuore nel proprio lavoro e fanno molto più del necessario. Pro Music è un esempio, ma anche Lombardi, Audio Elite e altri.

Come è cambiato il lavoro per te nell’ultimo paio di anni? 

Sicuramente è cambiato il modo di ragionare il concerto in sé… alcuni capisaldi che si davano per scontati nel passato non ci sono più. Secondo me, l’unico lato positivo per noi addetti ai lavori è che abbiamo uno stimolo in più, per cercare di risolvere problemi complessi che non esistevano prima. Le problematiche sono triplicate… si aprono degli scenari molto più complessi per la gestione di pubblico, operatori e artisti. Certi teatri richiedono il tampone per ogni essere umano che entri nell’edificio, artisti che arrivano dall’estero hanno poi anche problemi burocratici in più. E si deve cercare di incastrare queste nuove considerazioni in una giornata lavorativa che già aveva una tabella di marcia piena e inflessibile. 

Stasera che capienza avete?

È sold-out, ma parliamo di 500 posti.  Come vedi, ci entrerebbe molta più gente. Qui siamo ospiti della rassegna Classe al Chiaro di Luna, che dura un po’ più di un mese e si svolge nei giardini di questo storico zuccherificio convertito in museo e in un’altra venue. Noi abbiamo organizzato la data in tutto per tutto: abbiamo portato l’artista, curato la parte tecnica, l’accoglienza, gli hotel ecc… ma ovviamente useremo il palco e l’impianto residenti.

D’altra parte non avrebbe senso integrare l’impianto: tutto l’allestimento è stato accettato dal fonico dell’artista, il quale apparentemente conosceva bene l’impianto RCF e lo ha trovato adeguato allo spazio, accettandolo alla prima e-mail, cosa che non succede con tutti gli impianti. 

Mattia Fussi “Rambo” – Tecnico per Romagna Sound

“Sono un tecnico freelance, lavoro con la cooperativa Doc Servizi – spiega Rambo – e sono qui per conto di Romagna Sound, il service residente del festival Classe al Chiaro di Luna. Qui c’è il full service, audio luci e video, per tutte le date, tranne quando c’è Ravenna Jazz, che integra con materiali di service esterni. 

“L’impianto residente comprende otto moduli per lato di RCF HDL 30, con sei sub 9006, gestito completamente con RDNet. Per quanto riguarda la dotazione luci, ci sono otto Phantom 3R Hybrid Showtec che fungono da spot, beam e wash, più sei Prolights ChromaWash e cinque barre LED Stairville. Il budget era basso per mettere tutti proiettori ‘Serie A’, specialmente per rimanere montati per tante settimane qui sotto il sole e la pioggia. Poi, però, hanno montato un LEDwall di qualità molto alta, un modello semi-outdoor Mosaiko, con passo 2,6 mm. Molti spettacoli hanno degli sponsor dei quali occorre mostrare grafica o pubblicità, e ci sono degli spettacoli che hanno dei contributi video importanti. 

“Come console residente per le luci – continua Rambo – abbiamo una Tiger Touch II Avolites. 

“Di solito qui siamo in due o tre tecnici per Romagna Sound, io faccio il PA Man e lighting designer, mentre si aggiungono un fonico e un operatore video se ci sono aspetti video di rilievo. Forniamo anche tutto il microfonaggio, il monitoraggio ecc, e di solito facciamo tutto noi. Spesso gli artisti arrivano solo con un tecnico, a volte senza nemmeno quello.

“Abbiamo a disposizione un Midas M32R e un Behringer X32, console che tutti i fonici sanno usare e magari hanno già i file pronti. Per fare due mesi di lavoro fisso vanno più che bene… qui, in questo paesino di 2000 abitanti, ne abbiamo almeno tre, le scorte sono dappertutto.

Stasera loro arrivano con palco e regia, una Digidesign del service portato da Crossroads”.

Simone Gazzetti e Umberto Finotello – ProMusic service 

“ProMusic è il service per le date di Jazz Network – spiega Simone – tra le date a Ravenna e alla darsena di Rimini. Per queste date portiamo regie e, per Avishai Cohen Quartet e Italian Jazz Orchestra, anche il PA per la data a Ravenna, alla Rocca Malatestiana, un nostro Adamson S10. 

“Fondamentalmente – continua Simone – abbiamo portato il banco di sala, un Profile, che funge anche da console monitor, e il monitoraggio per il palco. I monitor sono d&b audiotechnik Max12 amplificati con ampli Powersoft T304”.

“Poi ci sono i radiomicrofoni Shure Axient – aggiunge Umberto – con capsula DPA d:Facto da richiesta della produzione dell’artista e, sempre da richiesta, ci sono KM184 Neumann e overhead C414 AKG. Per le percussioni ci sono Beta98, mentre il pianoforte è ripreso con i 4099 DPA. Le DI sono un mix di Radial e BSS”. 

Paulo Vilares – Fonico FoH/monitor

“Io sono portoghese – spiega Paulo – ma lavoro con quest’artista da molti anni. Siamo in tournée in Italia per il mese di agosto, con tante date e proseguiamo in altri paesi a settembre e ottobre. Con la pandemia, questa è già una possibilità straordinaria di lavorare. 

“L’artista cambia spesso la configurazione della band e il programma. Oggi abbiamo il pianoforte, Noa che canta e suona percussioni, dharbuka e conga, una batteria, basso e il maestro Gil Dor alle chitarre.

“Le tournée sono sempre intense e provo sempre a semplificare, perché devo anche gestire i monitor da FoH. Achinoam mi chiama ‘the simple touring machine’. Oggi abbiamo 24 canali e non splitto niente per i monitor, utilizzo gli stessi canali per i monitor e per la sala”. 

Cosa chiedete sul posto?

Tutti gli strumenti personali dei musicisti sono al seguito, a parte ovviamente il piano gran coda che chiediamo sul posto. L’unica cosa del rider sulla quale non posso essere flessibile sono le capsule d:Facto con i sistemi Axient per i microfoni vocali. La maggior parte dei concerti sono nei teatri e cerco di adattarmi quanto possibile alla dotazione presente. Il rider è piuttosto semplice: copertura omogenea del sistema, lo spettro audio completo e almeno 85 dB di pressione sonora fino in fondo alla sala… la maggior parte della musica è acustica e dinamica, perciò non necessita di mega-volumi. 

Per quanto riguarda la console, metto la preferenza per Yamaha CL, QL o Rivage, questo perché sono macchine molto stabili, facili da trovare, più che sufficienti per questo mixaggio e, infine, perché gli Axient possono essere inseriti nella rete Dante per ridurre conversioni e latenza. Quando facciamo degli spettacoli di grande rilievo – trasmissioni, ecc – sono un po’ più esigente ed inflessibile, ma per i festival estivi mi piace anche adattarmi a quello che si trova, entro una soglia minima di qualità. Questo rende più facile la vita anche ai promoter. Alla fine della giornata, se Noa è contenta, siamo tutti contenti.

Io non porto dietro niente di tecnico, a parte un iPad. Questo è un altro motivo per cui sono contento di trovare Yamaha alla regia, perché posso poi lavorare con l’iPad dal palco per sistemare i monitor. Non mi posso permettere nell’attuale situazione di dire “non posso usare questa”, però, quando la verità è solo che “sarebbe leggermente meno comodo per me usare questa”. Non si fanno amici con i service o con i promoter così. C’è però una soglia minima, non posso adattare questo lavoro a una piccola console di plastica. La Profile è una console vecchia, ma è anche comprovata… basta che sia veramente in condizioni funzionanti. 

Preferisco ovviamente dei line array per la sala e l’unica cosa che è categoricamente esclusa nel rider sono i vecchi monitor Turbosound, che in particolare rappresentano un dramma per Noa. Qualsiasi altro wedge di qualità – Adamson, d&b, Meyer, L-Acoustics e così via – va benissimo.

A proposito di monitoraggio, è tutto tradizionale? 

Sì. Quando ho iniziato con Noa c’erano dodici musicisti e ho cominciato con gli IEM. Ma in questa configurazione non ci penserei affatto. In generale, i professionisti tendono a prendere con leggerezza l’uso degli IEM, ma il fatto che si stia mixando direttamente nel cervello del musicista è molto delicato. Siccome faccio il monitoraggio dal FoH, i problemi con gli IEM sono ovvi: per primo, non ho un contatto visivo con i musicisti né la possibilità di comunicare facilmente con loro; poi non ho un mixer dedicato per il lavoro, che è necessario; ultimo, ma non per importanza, è che mixare per gli IEM vuole dire poter ascoltare i mix negli auricolari, cosa che ovviamente mi impedisce di mixare per la sala.

Con i wedge, invece, è più facile per i musicisti aggiustarsi rispetto al rimbombo del PA. Poi, anche negli show sinfonici, mi piace un po’ la contaminazione dei monitor nei microfoni che altri fonici lavorano moltissimo per pulire. Nelle situazioni come oggi, dove risiedo a 50 m dal palco, chiedo anche un monitor in regia per poterli seguire, particolarmente durante il soundcheck, ma anche durante lo show. 

I livelli sul palco, nonostante il diverso repertorio, sono sempre bassi e c’è moltissima dinamica. I dharbuka sono strumenti con una voce molto forte, ma i musicisti chiedono il minimo necessario per avere un riferimento del tempo e della voce. Lavorano molto con quello che arriva anche dal main. 

Come affronti la possibilità di trovare una situazione e una console diverse a ogni data?

Porto dietro degli showfile con livelli zero per più o meno ogni console esistente. Ma, visto che trovo sempre a una console diversa, microfoni diversi, un PA diverso e monitor diversi, carico lo showfile solo per non perdere il tempo di inserire etichette, colori, ecc, e poi preparo il mix da zero. La cosa più urgente è sempre sistemare la struttura del guadagno, perché sono quasi tutti condensatori sul palco, a parte l’SM58 per la voce di Gil e l’MD421 per il bindir. Sono quasi quindici anni che lavoro con Noa, così conosco a memoria i livelli.

Su un tour che combina indoor e outdoor, hai dei metodi diversi per microfonare il pianoforte?

No: DPA 4099, in teatro o sul prato. All’aperto tendo a chiudere, ma non completamente, il pianoforte, mentre nei teatri lo lascio spalancato. Nei teatri l’amplificazione rappresenta solo un piccolo rinforzo a quello che emana dal palco, mentre qui ovviamente è un’altra storia.

Come ti trovi con il PA qui?

Questo impianto è un po’ tirato al collo per arrivare a 55 metri, perde un po’ oltre i 35 metri e, se faccio il mix per avere uno spettro confortevole, tende a perdere molto intorno ai 200/250 Hz, solo perché è un sistema piccolo. In un mondo perfetto ci vorrebbe un delay, ma in un mondo perfetto non ci sarebbe il Covid e non ci vorrebbe questa distanza per 500 posti. Chiaramente, sempre perché il promoter può mettere solo 500 persone, sarei l’ultimo ad arrivare qui e pretendere un delay. Faccio del mio meglio per far sentire tutti fino a fondo sala, ma d’altra parte non posso neppure assordare la gente davanti. 

Hai detto che cerchi sempre di semplificare in tour: come fai questo in termini di mix e routing?

È stato un lavoro di prova-ed-errore per quindici anni con Noa e Gil, cerco di lasciare il palco più stabile possibile e lavorare con i VCA in uscita per il PA. 

A livello di monitor c’è un mix individuale per ogni musicista, mentre per il PA mando solo un L/R e qui hanno impostato una matrice per i sub. Io preferisco fare il mio lavoro di mixaggio e lasciare il PA man a seguire il bilanciamento. Avere, però, i sub in matrice con un controllo è comodo, perché consente alcuni aggiustamenti, in particolare quando ci sono i dharbuka e il bindir che tendono a rombare molto. 

Se avessimo più dell’ora o ora e mezzo che abbiamo per sistemare il suono, si potrebbe sempre fare molto di più, ma io lavoro sempre con un EQ grafico sul master per poter aggiustare al volo. Il PA Man residente, invece, conosce il sistema ed è sempre più qualificato di me nel mettere le mani nell’impianto. 

Gli unici effetti che uso nel banco sono quattro riverberi e un delay, per alcuni effetti sulla voce. Il mio compito qui non è di fare il creativo, io devo solo assicurare un’accurata amplificazione di quello che succede sul palco. Sulla voce, per esempio, applico solamente una compressione molto leggera, per alzare un po’ quando canta molto piano ma non per limitare, perché ha una tecnica ottima con il microfono, usando il d:facto è in grado di fare miracoli. Poi aggiungo solo un po’ di riverbero. Cambio l’equalizzazione spesso tra un brano e l’altro, perché Noa usa diverse tecniche vocali che sono molto diverse tra loro, dalla lirica all’etnica, dal pop al jazz, poi per il repertorio napoletano tendo a lasciarla flat. 


Vorremo poter riportare di aver assistito a un fantastico concerto ma, purtroppo, non è andata così. Cioè, il concerto fantastico sicuramente c’è stato, a giudicare dal soundcheck, con la precisione e la professionalità dell’artista e la straordinaria quantità di talento sul palco, ma con il pubblico sold-out, per rispetto delle restrizioni sanitarie, la nostra presenza in piedi nella venue non è stata possibile e, dopo aver ascoltato le prime note dal parcheggio di fronte al parco, siamo ripartiti verso casa con i piedi di piombo… poveri noi: che tempi! 


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