Le Luci della Centrale Elettrica
Spinti da una crescente curiosità nei confronti dell’evolversi delle realtà musicali underground, abbiamo deciso di passare una serata al Mamamia di Senigallia...
di Giulia Morelli
In occasione del concerto del 22 marzo de Le Luci della Centrale Elettrica, spinti da una crescente curiosità nei confronti dell’evolversi delle realtà musicali underground, abbiamo deciso di passare una serata al Mamamia di Senigallia, il locale considerato ormai un punto di riferimento di tutta la scena alternativa del centro Italia.
Cominciamo dalla band: Le Luci della Centrale Elettrica è il nome del progetto musicale del cantautore ferrarese Vasco Brondi, classe 1984, che già da qualche anno si è fatto strada nell’ambiente indie/alternativo italiano grazie al forte impatto dei suoi testi che fanno da contraltare all’essenzialità dell’accompagnamento musicale e allo stile canoro di indole punk. Le sue canzoni, che potremmo definire un binomio stridente di melodia e linguaggio ricercato e volutamente anti-poetico che indaga gli aspetti più decadenti della quotidianità – dai “Compro Oro” della canzone Le ragazze stanno bene a “luminosa natura morta con ragazza al computer” di Destini Generali – vengono in principio apprezzate dallo storico chitarrista del CCCP Giorgio Canali, anch’egli ferrarese, che decide di produrre il primo album in studio di Brondi: Canzoni da spiaggia deturpata, uscito nel 2008 per l’etichetta indipendente La Tempesta e insignito del premio Tenco per la categoria “Migliore opera prima”. Con il secondo album dal titolo Per ora noi la chiameremo felicità, del 2010, Vasco comincia a farsi conoscere anche a livello nazionale aprendo i concerti del tour Ora di Jovanotti e esibendosi sullo stesso palco di Francesco De Gregori. Per una band, come Le Luci, che si mantiene in bilico tra la nicchia e la popolarità, Mamamia risulta la location perfetta poiché costituisce allo stesso tempo un’attrattiva per i veterani dall’orecchio raffinato e per i giovani alla ricerca di nuovi gruppi da seguire.
Il locale
Per avere qualche informazione sul club parliamo con Roberto Pimpini, responsabile tecnico del Mamamia.
“In inverno – spiega Roberto – abbiamo quattro piste considerando quella principale che, essendo più grande, è l’unica che si presta a fare i live, mentre in estate abbiamo sei/sette piste e lo spazio principale per il live è quello esterno, con un palco da allestire.
“All’esterno – continua Roberto – abbiamo un palco in muratura con gli allacci fissi, quindi anche tutti gli allestimenti vanno fatti da zero. Nel caso degli eventi più grandi, come Caparezza due anni fa, si può fare anche la copertura, ma non viene richiesta quasi mai: forse tre volte in sedici anni di vita del locale”.
Confrontato con gli altri live club italiani, possiamo affermare che il Mamamia sia un locale ormai storico?
Sì, lo è. Certo, nel tempo si è un po’ evoluto: questo locale ha iniziato la sua storia come locale rock, sia per i live sia come genere predominante a livello di discoteca, veniva dato largo spazio al rock e a tutti i generi alternativi limitrofi. Ora, la sala rock ha sempre una parte importante, specialmente in estate ma, purtroppo, un po’ per il cambio generazionale un po’, forse, per la zona in cui viviamo, non ha più tutta questa capacità attrattiva, quindi diamo spazio ad altri generi, principalmente afro.
Mi rendo conto che l’afro, in tutte le sue varianti, non si possa esattamente considerare un genere di massa, ma qui, nel centro Italia, si è formato uno zoccolo duro di appassionati, e ci capita di fare anche collaborazioni con il Velvet di Rimini.
Per quanto riguarda i live, seguite la tendenza degli gli altri club che fanno i concerti fino a circa mezzanotte e mezza per poi trasformarsi in discoteca?
Dipende: in inverno il live arriva orientativamente fino all’una e poi attaccano i DJ; in estate, invece, se il live è dentro, le altre piste esterne possono già partire, quindi il live può cominciare anche alle quattro. Se, al contrario, il live è nel palco esterno, per ragioni di potenza di impianto che sovrasta tutti gli altri, allora verso l’una deve per forza di cose finire.
L’impiantistica è proprietà del club?
L’impianto audio è del club, e con quello siamo autonomi, mentre, per quanto riguarda l’impianto luci, disponiamo di un assetto un po’ più esiguo, quindi spesso noleggiamo l’attrezzatura presso il nostro service di riferimento, Ventilazione, che, a seconda del live, ci fornisce il necessario.
Quante serate di gruppi dal vivo fate?
Ci sono stagioni in cui c’è modo di fare più concerti e stagioni in cui le proposte sono di meno. Quest’anno nell’arco dell’inverno abbiamo fatto una decina di date.
Dopo aver fatto un giro per la spaziosa sala interna dotata di un soffitto a volte completamente coperto di piastrelle fonoassorbenti, facciamo un salto nel backstage al termine del soundcheck, spinti dalla curiosità intorno ad una band che, nonostante ormai da diversi anni sia popolare tra i giovani di tutta Italia, dà l’idea di essere ancora poco abituata a muoversi su un palco e a confrontarsi con i tecnici.
La produzione in tour
Mimmo Rosa (primo da sinistra nella foto di gruppo), tour manager delle Luci, ci spiega le dinamiche e la logistica di questa produzione.
“Io lavoro per International Music and Arts – spiega Mimmo – mi occupo di mettere la band sul palco e fare in modo che abbia la strumentazione tecnica necessaria e pianifico tutta la logistica degli spostamenti, in modo che i musicisti debbano solo pensare a suonare.
“Abbiamo al seguito solo il backline e il banco di palco – continua Mimmo – oltre ad una piccola integrazione di luci con il mixer, per garantire un minimo di spettacolo in ogni venue.
“Il tour è iniziato due settimane fa a supporto del nuovo album, uscito il 4 marzo: siamo quattro tecnici, cinque musicisti – percussionista, chitarrista elettrico e acustico, violoncello, tastierista e Vasco che è voce e chitarra –, un merchandiser e, quando ci sono, due del management dell’artista. Viaggiamo con due van: un van band e un van crew. Tutto il backline viaggia con la crew”.
A quale service vi siete appoggiati per quel poco materiale in tour?
Il mixer di palco è di proprietà del fonico, mentre il materiale luci è di un service di Lecce che si chiama Phoenix. La piccola dotazione luci è composta da otto PAR LED e una Avolites Pearl come console luci.
State prendendo il banco di sala a ogni data?
Sì, c’è un range di banchi che accettiamo, e per ora ne abbiamo avuto uno diverso per sera.
Mentre, per quanto riguarda la dotazione luci, cosa richiedete sul posto?
Possibilmente quattro o sei testamobili spot a terra perché il nostro datore luci ha pensato un disegno tutto in controluce possibilmente montato a terra, qualche PC o sagomatore frontale e una macchina del fumo, e con questo facciamo il 90% dello spettacolo.
L’audio in sala
Gianluca Losi (terzo da sinistra nella foto di gruppo), è il fonico di sala. Gli chiediamo subito del suo rapporto con il progetto musicale della gestione dell’audio in questa tournée.
“In realtà – racconta Gianluca – questa è la prima volta che lavoriamo insieme, prima non ci eravamo neanche mai conosciuti, quindi è una novità per me. Abbiamo fatto cinque giorni di allestimento al Cage di Livorno.
“Stasera è la quarta data – continua Gianluca – ma è come se fosse la prima... Ogni volta con un banco diverso. In giro ho trovato un Legend Midas, quindi una certezza, ieri un PM5D, un po’ anziano ma sempre buono, a Perugia una Allen & Heath iLive e qui c’è un SoundCraft Si3, quindi tutta roba mediamente buona. Anche a livello di impianti, per ora, è andata discretamente bene”.
Le tue richieste per l’impianto quali sono?
Nulla di straordinario, chiaramente della roba più o meno recente, dove è possibile dei line array o il cluster appeso, preferiamo non appoggiare la roba sul palco. Per il resto cose standard, i grandi marchi che girano: Martin, d&b, JBL…
Se arrivi sul posto e trovi un impianto messo male, quanto ti metti a cercare di correggere e a quale punto ti rassegni?
Per cominciare rivolgo parole simpatiche al direttore di produzione, per il resto diciamo che ormai so che, se tu chiedi cento, solitamente ottieni cinquanta, poi, quando arrivi e trovi trenta, devi cercare di portare a casa lo spettacolo con trenta, del tutto inutile stare a litigare. Poi certo: se siamo agli antipodi della normalità, ci si impunta sul fare richieste diverse ma, per il resto, il mio lavoro consiste nel riuscire a portare a casa la serata. Tanto si sa: nei club bisogna un po’ accontentarsi.
Come gestisci la bilancia tra il suono del palco e quello dell’impianto?
Trattandosi di un monitoraggio quasi sempre tradizionale, alla fine mi arriva tutto, chiaramente il mix dei musicisti arriva anche fuori, quindi il palco, in qualche modo, è un altro strumento che devo utilizzare per la resa finale fuori. Fortunatamente con il fonico di palco l’intesa è molto buona… Anche perché sta usando il mio banco sul palco.
Poi si sa che, nei locali, non si sa mai quale acustica si trova…
Sì, infatti il soundcheck conta fino ad un certo punto, poi la gente in sala fa da filtro sonoro e i musicisti suonano in modo diverso.
Cosa portate in giro come dotazione microfoni?
Nella scheda tecnica chiediamo un SM58 per tutte le voci, noi ci portiamo solo per sicurezza due o tre microfoni.
Il palco
A Francesco Felcini (secondo da sinistra nella foto di gruppo), il fonico monitor, facciamo qualche domanda sulla gestione del palco.
Tu hai già lavorato con questo gruppo?
Sì, ma saltuariamente, quando ancora non si poteva neanche parlare di produzione. Poi ho curato la registrazione di gran parte degli strumenti e delle voci durante la registrazione dell’album.
Il cantante cosa chiede in monitor?
Vasco sfrutta molto il fronte palco, abbiamo quindi dei side che hanno un monitoraggio un po’ più completo – e considerato che chiediamo anche tutto il monitoraggio e che, quindi, ogni volta cambia – a volte ci sono anche cose non all’altezza di quello che devono fare. Fortunatamente le venue sono abbastanza piccole, quindi non c’è mai bisogno di una pressione estrema, e anche i musicisti sono contenti di non avere un volume di palco elevato. Vasco ha due monitor frontali che io utilizzo in stereo sulla matrice dove vanno tre mix: un mix stereo dove ho la band e un mix mono dove ho la sua voce e la chitarra acustica.
Come ti trovi con il Behringer X32?
È una bomba. Chiaramente è un giocattolone, ma noi abbiamo voluto a tutti i costi portarcelo dietro perché, nonostante nei club non si abbia mai la possibilità di sfruttare la qualità e sentire veramente la differenza, il fatto di avere il proprio materiale dietro con tutte le scene salvate rappresenta un grande vantaggio. Poi, come interfaccia è rapidissimo, velocissimo e versatilissimo, quindi mi trovo molto bene. E non sono l’unico a quanto pare: la Midas ora ha fatto l’M32 che ha lo stesso identico software. E c’è anche da dire che, nel caso de Le Luci, il monitoraggio non è così banale, sia perché sono molto compatti sul palco, sia perché c’è tanta elettronica, strumenti acustici, elettrici e tante dinamiche diverse sul palco.
Le luci
Concludiamo la nostra interrogazione dei tecnici con Riccardo Piscopiello (quarto da sinistra nella foto di gruppo), il datore luci in tour.
“Ci portiamo dietro – ci dice Riccardo – una dotazione minima: otto PAR LED! I truss o i tubi di Layher – dato che non c’è carico eccessivo – li richiediamo sul posto. L’idea è di montarli a terra, in controluce, in una specie di disegno a muro. Il numero è minimo, di più non si poteva fare per motivi di budget”.
Utilizzi solo quelli o anche tutto quello che trovi in loco?
Utilizzo tutto quello che trovo, per questo abbiamo portato dietro la console, perché alle prove del tour ho programmato lo spettacolo con i PAR LED che più o meno rimarrà sempre uguale su una linea DMX a parte, mentre con quello che si trova sul posto andiamo ad integrare. Chiaramente è stata fatta una scheda tecnica di una situazione ideale, che quasi mai viene rispettata. Diciamo che sulla qualità del materiale non è possibile molto discutere, però almeno si cerca di trasmettere l’idea, quindi uno spettacolo di controluce molto potente, possibilmente con il materiale a terra, e questa è già una vittoria.
Tu hai una scaletta molto programmata?
No, faccio tutto live. È vero che ora gli spettacoli più belli si fanno con la timeline, tutto super programmato, ma non è questa la situazione, né il budget, né il genere musicale. Bisogna avere tutto in testa. Diciamo che ci sono delle linee guida da mantenere in modo piuttosto ferreo: qualche puntamento speciale e soprattutto i colori, che sono anche la parte più emotiva.
In questo senso hai avuto qualche input particolare dall’artista?
All’inizio l’ho cercato, ma lui mi ha lasciato carta bianca, poi ci siamo trovati bene alle prove del tour, io ho buttato giù le mie idee e lui è stato d’accordo praticamente su tutto.
Hai trovato situazioni particolari per il momento?
Per ora siamo solo alla quarta data e stiamo ancora tutti un po’ sperimentando. Per me è anche un genere nuovo, fino all’anno scorso ho fatto musica elettronica e sono stato chiamato per portare un po’ di light design elettronico in questo concerto, visto che, anche dal punto di vista musicale, ci sono molte postazioni synth, drum machine ecc… Ma, ovviamente, non si può lavorare allo stesso modo: questo è una specie di cantautorato italiano del nuovo millennio, ma forse non si è ancora pronti per spezzare tutti i clichè.
Al termine del concerto, la sala, illuminata, si rivela affollata al culmine della sua capienza e Vasco Brondi saluta con un inchino il pubblico che non esita a mostrarsi soddisfatto ed entusiasta. La nostra impressione è rimasta simile a quella avuta durante il soundcheck: l’artista, in alcuni momenti, sembra poco abituato a muoversi sul palco a ritmo di musica e mostra anche qualche titubanza con le parole a causa dell’emozione. Ma tutto ciò, ai nostri occhi, non costituisce che un valore di autenticità aggiunto allo spettacolo di una band ancora acerba ma di cui, probabilmente, sentiremo parlare tra un po’ di tempo come il progetto musicale che ha aperto nuove vie sperimentali al cantautorato italiano. Noi ne siamo convinti.
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