L’Arte del Mixaggio (secondo me) - prima parte

Mi è stato chiesto di descrivere la tecnica di mixaggio che ho sviluppato e sto adottando da qualche tempo. La cosa ovviamente mi ha fatto molto piacere...

di Fabrizio Simoncioni

garageStudio

Mi è stato chiesto di descrivere la tecnica di mixaggio che ho sviluppato e sto adottando da qualche tempo. La cosa ovviamente mi ha fatto molto piacere perché da sempre porto avanti l’idea e filosofia professionale che la musica – l’arte, in generale – si basi soprattutto sulla condivisione. Per cui ho accettato con entusiasmo e mi sono messo davanti al computer per redigere questo articolo. Solo a quel punto mi sono reso conto quanto sia difficile descrivere, a parole, quella che si chiama tecnica ma in realtà è un’arte, cercando di esprimere concetti chiari per chi si è avvicinato da poco alla professione di mix engineer, senza nel contempo tediare chi questo lavoro lo svolge da anni. Da dove cominciare?

Innanzi tutto è importante e doveroso precisare che tratterò le cose tecniche e non solo tecniche dal mio punto di vista personale con il bagaglio d’esperienza costruitomi in oltre trent’anni di lavoro in Italia ed all’estero. Quello che scrivo deve essere considerato come gli appunti di un vecchio lupo di mare e non come la Bibbia assoluta. Leggendo o parlando con altri dieci mix engineer potreste avere dieci differenti versioni e sarebbero tutte corrette. Inoltre, la mia tecnica di mix prevede l’utilizzo di una console analogica large-format – nel mio caso una meravigliosa Solid State Logic 9000J – ed è quindi principalmente diretta a coloro i quali ancora mixano non in-the-box anche se, con un po’ di pazienza, fantasia ed alcune limitazioni, la si può riprodurre anche in ambiente full digital.

Nel nostro paese c’è generalmente un approccio incorretto al mix, dovuto al fatto che non ci sono quasi mai stati specialisti nel mixaggio, ma fonici generici. Normalmente, infatti, un fonico italiano microfona, registra, edita e, finalmente, mixa. Questo ha fatto sì che si arrivasse a considerare il mixaggio come una fase prettamente tecnica in cui principalmente si mettono in ordine le cose che abbiamo registrato, si correggono eventuali difetti, aggiungono effetti e reverberi e bilanciano livelli. Appunto, una fase tecnica (famosa è la frase “tanto poi si risolve tutto in mix”, odiata da tutti i “veri” mix engineer). ERRORE! Il mix non è questo. Il mix è un momento estremamente creativo, è la fase in cui si concretizzano idee e si definiscono mondi sonori, dove si estrapola ed esalta la personalità della canzone e dell’artista, dove si crea la magia di una traccia, o la si distrugge. Mixare, appunto, è un’arte in cui è sicuramente necessario un grande bagaglio tecnico e di esperienza, ma anche una notevole dose di talento, musicalità e gusto. Ecco perché, ad esempio, negli Stati Uniti è comune far mixare la stessa canzone a differenti “mixer” (cosi vengono chiamati gli ingegnieri di mixaggio – ndr) per ascoltare le differenti soluzioni interpretative e sonore proposte. Non è affatto raro, specialmente nel pop dove le canzoni in un album sono normalmente eterogenee, che si scelga di pubblicare mix provenienti da differenti ingegneri invece di far mixare l’intero disco ad uno solo.
Questa premessa era necessaria per iniziare a spiegare come, secondo me, si deve approcciare la fase di mix e come si diventa veri “mixer”.

1 – Imparare ad ascoltare

Il tool più importante per un mixer sono ovviamente le orecchie. Un buon mixer deve sapere ascoltare o, meglio, sapere cosa e come ascoltare.
Uno fra gli errori più comuni è pensare o giudicare la qualità dell’ascolto di un fonico dalla gamma di frequenze che riesce a percepire. Ho incontrato spesso negli studi persone che si vantano di essere in grado di “sentire i 18 kHz”. Ottimo, complimenti! Ma assolutamente non rilevante ai fini dell’ascolto. Come mi ricordava spesso un grande produttore con cui ho lavorato per molto tempo: “È importante che la testa non venga usata semplicemente come separatore stereofonico fra le due orecchie”. Non è il range di frequenze che si riesce a percepire che conta, ma il riconoscerle, sapere esattamente quale porzione di frequenza ci serve o è di troppo, quale può esaltare il carattere di un dato strumento o gruppo di strumenti etc.
Per cui, il punto di partenza è ascoltare molta musica, cercando di capire che cosa stiamo ascoltando. Un buon approccio che suggerisco è di focalizzarsi su alcune canzoni – meglio se di differenti artisti – che abbiamo ascoltato spesso ed il cui sound ci piace particolarmente; informarsi a quel punto: chi ha prodotto? Chi ha mixato? Chi ha masterizzato? Fatelo con almeno una decina di canzoni/dischi e prendete appunti sui nomi accreditati. Già con questo primo step, comincerete a capire ed analizzare alcuni elementi. C’è un nome ricorrente fra le canzoni il cui sound vi ha colpito? Chi dei tre: mixer, produttore o mastering engineer? A questo punto iniziano le quattro fasi fondamentali dell’educazione all’ascolto:

  1. In studio o in un ambiente acusticamente corretto e utilizzando una coppia di monitor con cui avete familiarità, ascoltate le tracce selezionate dividendole per gruppi in base ai crediti. Riunite le tracce che sono state mixate dalla stessa persona ed iniziate ad ascoltare LE CANZONI senza concentrarsi sul lato tecnico: come iniziano, come si sviluppano e crescono dinamicamente, se dopo il primo ritornello si richiudono o restano aperte e intense, brillanti o scure etc. Questo è l’ascolto emozionale, capire l’onda della canzone, il suo sviluppo e la struttura. Prendete appunti delle sensazioni che vi arrivano.
  2. Ascoltate attentamente di nuovo le tracce con, in mano, i nomi di chi le ha realizzate, cercando questa volta di fare attenzione a particolari tipi di effetti evidenti utilizzati su voci e batterie (delay, ambienti ecc.), posizionamenti nella stereofonia degli strumenti, utilizzo dei piani sonori (quali strumenti sono più “bagnati” e quali invece dry e “in faccia”). Questo è l’ascolto tecnico.
    Prendete, dinuovo, appunti per ogni traccia.
  3. Ascoltate di nuovo, questa volta utilizzando una buona cuffia ma sempre tenendo presente chi ha mixato, cercando di cogliere sfumature più leggere e nascoste, movimenti di fase, cambi repentini e/o subdoli di ambienti, equalizzazioni, posizioni. Questa è l’analisi binaurale. Prendete sempre appunti.
  4. Ascoltate adesso le tracce in MONO, rovesciando la polarità di uno dei due canali stereo. In questa maniera si cancella dall’ascolto tutto quello che è al centro del mix, lasciando evidenti ed estremamente leggibili gli effetti utilizzati da chi ha mixato. Il Mid Cancelling è un tipo di analisi fastidiosa, perché ovviamente si perde interamente il senso della canzone, ma è utilissima per carpire cose che sarebbe altrimenti impossibile o molto difficile individuare chiaramente all’interno di un mix. Dato che questo sistema si basa sulla cancellazione di fase, evitate l’utilizzo di file compressi tipo mp3 che, per loro natura, possono avere alterazioni ed artefatti che non rendono la valutazione efficace come quello di file non compressi.

A questo punto avrete una visione ben più analitica e definita del lavoro che è stato fatto sulle tracce che maggiormente vi piacciono sonoricamente. Confrontando gli appunti in base ai nomi di chi ha mixato, noterete che molte cose ricorrono. Sono come vere e proprie firme sonore. Io faccio spesso paralleli con la pittura quando spiego, perché ritengo che un mix ed un dipinto abbiano molte affinità: uso dei colori, capacità di ingannare l’occhio (l’orecchio, nel nostro caso) e la firma stilistica che ogni pittore appone sulla propria opera. Così come ogni grande mix engineer che, con specifici dettagli, rende i propri lavori riconoscibili ed unici.
Vi chiederete a questo punto perché ho detto di appuntare anche i nomi di produttori e mastering engineer. È molto probabile che vi troverete fra le mani tracce che hanno lo stesso produttore ma mixate da differenti engineer, o tracce mixate dalla stessa persona ma poi non masterizzate dallo stesso ingegnere di mastering. Un ascolto comparativo attento vi aiuterà a definire chiaramente le differenze stilistiche di ogni singola componente della produzione di un disco. Ad esempio ascoltando alcune canzoni mixate da Chris Lord-Alge ma prodotte da differenti produttori, si noterà chiaramente il ruolo avuto dal mixer e quello invece avuto dal produttore in ogni traccia, basandosi proprio sui risultati degli ascolti. Stesso dicasi per la simbiosi mixer/mastering, anche se qui le cose un po’ si complicano, perché in generale ogni grande mixer lavora con un solo mastering engineer di fiducia, quindi sarà più difficile avere la possibilità di confronti incrociati.
Gli ascolti mirati vanno fatti su una coppia di monitor “di fiducia” per non essere distratti da troppe variabili, quando si mixa invece è importantissimo non focalizzarsi troppo su un solo tipo di ascolto. Bisogna cambiare spesso sorgenti e volumi, ascoltare nei main monitor a volume alto per poi passare alle classiche Yamaha NS‑10 molto basse, poi ai nearfield ad un volume medio, poi di nuovo main ma questa volta a volume basso, poi nearfield spinte, etc. In questo modo si ottiene una media ottimale di risposta in ogni tipo di ascolto e volume: un mix che suona splendidamente nei main monitor ma solo ad un determinato volume o solo nei nearfields o nelle Yamaha o viceversa NON È un bel mix. Un buon mix deve suonare, con gli ovvi limiti riproduttivi dettati dal tipo di ascolto, mediamente bene in ogni riferimento e ad ogni volume. Spesso è questo il parametro che determina la qualità di un mix engineer.

 

 

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