Chemical Brothers World Tour 2016
Il celeberrimo duo del Big Beat in una serata all’aperto in Abruzzo, lo scorso mese di agosto.
di Douglas Cole
Negli anni, le linee di demarcazione tra i mondi dei musicisti, dei compositori, dei produttori e dei DJ si sono sfocate moltissimo. Da metà degli anni ’90 The Chemical Brothers, al secolo Ed Simons e Tom Rowlands, hanno fatto ampiamente la loro parte nello sfumare questi bordi... così come hanno reso più vaghi i confini tra vari generi della musica dance, tra big-beat, elettronica, trip-hop e house. Lontanissimi dalle figure dei DJ che arrivano per uno show con la chiavetta e le cuffie, una loro performance prende più spunto dall’elettronica eclettica o sperimentale degli anni ’70 e ’80, con una grande quantità di esecuzione che avviene proprio sul palco, dal vivo. Gran parte dei suoni possono essere creata in precedenza, ma il duo si esibisce con le mani veramente nella pasta del mixaggio, l’applicazione di effetti e anche la generazione di nuovi suoni avvengono dal vivo, sul posto. Questo rende ogni show un’esperienza unica... effettivamente suonano. Come dei gran maestri, hanno una vasta tavolozza di tonalità e di stili, e la usano per creare delle serate che si possono chiamare, senza dubbio, concerti. La dinamica ritmica e le variazioni timbriche della loro musica consentono tensione e risoluzioni che, diversamente da altra musica dance, non dipendono semplicemente dall’uso ripetitivo dei filter sweep, dal dimezzamento del tempo e dal tacet della sezione ritmica (seguito, ovviamente, dal famoso “bass drop”) quali unici artifici di movimento.
Insieme ai loro contemporanei – The Prodigy, Daft Punk e Fatboy Slim – negli ultimi vent’anni The Chemical Brothers hanno re-iniettato un senso di musicalità nel genere dance che mancava da quando gli arrangiamenti orchestrali sono spariti dalla disco music, e questa cosa non è passata senza farsi notare, né dal pubblico né dall’industria musicale. The Chemical Brothers si sono aggiudicati quattro Grammy Awards (tra i quali il primo nella categoria “Best Rock Instrumental Performance”) e un Brit Award, mentre sono stati canditati per una ventina di altri. Nel Regno Unito hanno messo 13 brani tra i Top 20, compresi due al primo posto, e hanno appeso su qualche muro un doppio disco di platino, due dischi di platino ‘semplici’ e quattro dischi d’oro da parte dell’Industria Fonografica Britannica; un disco d’oro dalla RIAA americana altri quattro dischi di platino, più cinque dischi d’oro da altri paesi.
Come pochi altri nel mondo della musica dance elettronica, The Chemical Brothers è un live act che riesce ad intraprendere e sostenere delle tournée autonome con produzione al seguito in grandi venue indoor o outdoor. Negli anni, i due performer inglesi hanno prodotto show con un’intensità sonora e visiva veramente impressionante. Per quanto riguarda l’intensità sonora, ci pensano direttamente loro dal palco; per quella visiva, questi artisti beneficiano di una collaborazione di lunga data con il regista Adam Smith, un noto regista televisivo e (più recentemente) cinematografico, che ha costruito per loro gli effetti visivi già prima che si chiamassero “The Chemical Brothers”.
Per la tournée del 2015, Smith ha collaborato con un altro visual artist, Marcus Lyall, e con il lighting/production designer Paul Normandale nella regia di un nuovo show che combina trovate scenografiche, luci, laser e nuovi contributi video per la tournée in supporto del più recente disco del duo, Born in the Echoes. Questo trio di professionisti aveva già creato la scenografia, nel 2011, per un tour mondiale e per il film concerto/documentario Don’t Think dello stesso anno. Per la stagione estiva del 2016, questo show è ripartito con quasi tutti gli stessi elementi per un tour europeo che si divide tra festival e date autonome.
Essendo una tranche che ha toccato parecchi festival, è stata fatta la scelta di girare con una mezza produzione, portando dietro scenografie, luci floor, regie e video, e richiedendo palco, audio e luci appese sul posto. Usiamo il termine mezza produzione, ma stiamo parlando di una notevole quantità di materiale sul palco (effettivamente uno studio di produzione completo, compresa una console Soundcraft da 32 canali strapiena) e uno schermo LED di quasi 17 m x 10 m. Dietro lo schermo LED c’è anche una struttura che ospita una matrice di illuminatori utilizzati come un secondo layer di pixel a bassissima risoluzione. Aggiungendo a questo materiale una foresta di Sharpy, Mac Viper e Atomic, automazioni con un emisfero specchiato di due metri di diametro e due giganteschi robot con video e laser integrati, si capisce che si tratta di una produzione non indifferente anche senza audio e palco al seguito.
La produzione gira con materiale luci di Lite Alternative (azienda di Normandale), regie e monitor di Skan PA e alcuni laser di ER Productions, oltre ad alcuni di proprietà degli artisti. Il tour manager è Angus Jenner, il direttore di produzione in tour è James Baseley, il fonico FoH è Shan Hira, il fonico di palco è Ian Barton e lo stage manager è Toby Dennis. Alla regia luci c’è Ricardo Lorenzini, assistito dal programmatore Matt Pitman. Lo show gira con una squadra tecnica di venti persone.
Noi abbiamo intercettato lo show nel piazzale dello Stadio Adriatico di Pescara, il 10 agosto, la seconda data italiana del tour, e l’unica data dello show stand-alone. Le date italiane sono promosse da Barley Arts, storica agenzia dei Chemical Brothers in Italia.
Anacleto Papa – Direttore della produzione italiana
“Questa situazione – spiega Anacleto – è un po’ particolare: è una mezza produzione, ma è una mezza produzione da tre bilici. In questo caso, abbiamo l’impianto audio di Agorà ma fornito da Extreme Service, e tre truss di luci fornite direttamente da Extreme Service. La produzione in tour, invece, ha una notevole integrazione di luci, laser, video ecc. È stato definito un ‘heavy show’, perché è molto pesante in termini di sforzi strutturali, per poter sorreggere tutto quanto.
“A Milano, per esempio, non abbiamo potuto montare alcuni elementi perché la struttura non avrebbe retto. Questo ha causato non pochi problemi. Infatti, abbiamo dovuto fermare i lavori, richiamare gli ingegneri, ecc. È stato un momento un po’ delicato. Io, da parte mia, mi sento di aver fatto bene a fermare i lavori... è l’unica cosa che mi sento di dire al riguardo.
“Era un contesto completamente diverso da questo, perché era un festival, con un palco in sostanza già montato. Quando è arrivato il rider, il palco già c’era. Qui, invece, essendo un concerto dedicato, riusciamo a montare tutto lo show esattamente come deve essere, perché ho lavorato io personalmente con il supporto del grande Thomas Morandi. Thomas è stato nostro capo rigger anche a Milano e mi ha assistito in questa cosa – grazie, ovviamente, a Icaro Ingegneria, che ha fatto i calcoli per la struttura, e ai ragazzi di Enim, che hanno fatto un ottimo lavoro con la struttura stessa. La difficoltà di questa situazione è far quadrare tutte le necessità di una produzione che, a mio parere, dovrebbe andare in giro con una propria struttura. Perché andare in giro con uno show del genere e fare dei festival non è facile. Mi piacerebbe sapere in quanti sono riusciti a montarlo come abbiamo fatto noi, perché il rider a me è arrivato a giugno. Di solito i festival, a quel punto, sono già ben definiti.
“Il concetto della mezza produzione si sta allargando, perché anche nei piccoli service in giro per il nostro paese la qualità è migliorata notevolmente. Le problematiche di una produzione del genere non riguardano il bilico in più o in meno per l’audio o per le luci, il problema sta nel trovare una struttura adatta agli appendimenti necessari. Solo lo schermo LED, qui, pesa sette tonnellate.
“C’è stato un gran lavoro di pre-produzione; soprattutto dopo l’esperienza di Milano avevamo la necessità di passare una giornata tranquilla, e l’abbiamo fatto. Questa è la dimostrazione che tutti sono riusciti a fare un buon lavoro, compreso il local promoter Best Eventi.
“Hanno un bellissimo show – conclude Anacleto – forse musicalmente parlando non è proprio il mio viaggio, ma tutto quello che portano si vede, e si vede in maniera straordinaria. La crew è fantastica e la loro organizzazione è altrettanto fantastica. Organizzare uno show per loro è come fare uno show degli AC/DC o dei Metallica... al di là di quella che è la musica, c’è proprio la qualità, a mio avviso straordinaria, di quello che c’è intorno allo show, dal punto di vista tecnico e non solo”.
Massimo Morlacchi – Titolare di Extreme Service
Racconta Massimo: “Il responsabile tecnico per il promoter locale, Best Eventi di Andrea Cipolla, ci ha contattato per curare l’audio e le luci per questa data. In relazione al tipo di evento, le richieste erano abbastanza pesanti. Il materiale audio in mio possesso non era sufficiente per soddisfare le richieste della produzione per cui, essendo in buoni rapporti con Wolfango (De Amicis, titolare di Agorà - ndr), ho pensato subito di chiamare Agorà.
“Le richieste per l’impianto audio – continua Massimo – prevedevano d&b o L‑Acoustics. Chiaramente, conoscendo Wolfango, sono andato direttamente verso L‑Acoustics. Una volta stabilita la collaborazione, inizialmente ho parlato con Maurizio Fetoni, al quale ho inviato tutta la documentazione. In seguito, mi hanno risposto con un’idea di progetto acustico e, da lì in poi, Remo Scafati ha curato tutta la parte audio. Si è occupato lui di scegliere i diffusori, completare il progetto acustico, i cablaggi e tutto quanto. Diciamo che sono andato sul sicuro, vincendo facilmente.
“La produzione è arrivata ieri sera verso le 23:00 con i tecnici, mentre noi avevamo già montato tutto l’audio e le luci sopra, in modo che loro potessero verificare la struttura e la dotazione, e anche in modo che avessero tutto il palco libero già da stamattina per il loro allestimento.
“La struttura – dice Massimo – è di Enim, di Villa Santa Lucia, vicino Cassino. Sono bravissimi e collaboriamo spesso con loro. A causa del maltempo, il montaggio della struttura è stato ritardato di cinque o sei ore, perciò ieri eravamo un po’ di corsa. Ieri mattina il tetto era ancora abbassato e non siamo riusciti a cominciare con le luci fino alla tarda mattinata. L’audio, invece, è andato su nel primo pomeriggio... ma i ragazzi di Agorà – Marco, Silvio e Remo – sono bravissimi e siamo riusciti a completare il lavoro senza nessun problema.
“Per quanto riguarda la parte audio, mi sono affidato completamente a Remo: ha scelto i diffusori, la disposizione, i processori... tutto.
“La produzione è arrivata con tutto il floor, le luci e l’audio per il palco, esclusi i sidefill. Abbiamo fornito anche otto monitor Clair sparsi per il palco. Le luci a terra e il LEDWall sono i loro, mentre noi ci siamo occupati delle truss sul tetto per le luci. Hanno già una quantità spaventosa di luci a terra... il palco è completamente tappezzato. La richiesta luci era ben specifica, e noi abbiamo fornito modelli diversi, che avevamo a disposizione, parte dei quali forniti da Wolfango. Avevamo degli EVO e dei Raptor D.T.S. – per beam e spot – mentre abbiamo usato dei Robe Robin 600 per i wash, e dei Martin Quantum che non avevo mai visto, ma che sono risultati eccellenti. Ci avevano chiesto dei Martin Atomic con Atomic Color Scroller davanti: non li avevamo disponibili e abbiamo portato dei Q7 SGM a LED... abbiamo cercato di scendere tantissimo con l’assorbimento di corrente, perché hanno fatto una richiesta di kW allucinante... abbiamo portato quattro generatori da 500 kW.
“Ci siamo appoggiati ad Italstage per i gruppi elettrogeni – dice Massimo – l’assorbimento è infatti di circa un megawatt, ed abbiamo un bigruppo per sicurezza. Italstage è un’altra garanzia italiana.
“Le luci sono tutte su tre americane, riempite al massimo, pilotate da quattro linee DMX provenienti direttamente dalla loro console MA. Oggi pomeriggio hanno impiegato tre ore... hanno fatto lo spettacolo da capo, per il parco luci che abbiamo fornito, e l’hanno sincronizzato.
“Qui lavorano otto persone della mia azienda – aggiunge Massimo – ed altri tre di Agorà”.
Remo Scafati – PA engineer
“Abbiamo montato due cluster di quindici K1 – spiega Remo – con, a fianco, otto K1‑SB appesi. Nella richiesta della produzione, nella quale si ribadisce che l’impatto dello spettacolo deve essere molto presente nella parte bassa, viene enfatizzata la necessità di molti sub. Perciò, a terra, abbiamo portato tanti SB28.
“Ci sono quattro stack di quattro SB28 – continua Remo – in configurazione cardioide come da consigli standard della casa produttrice, sotto ogni lato dell’impianto. Questi sono sempre spaziati tra loro da manuale, a circa 60 cm uno dall’altro. In più ci sono altri otto sub a terra in linea, configurati ad arco elettronico impostato tramite il DSP del finale, che dà una copertura di 55°, per il riempimento della zona centrale.
“Devo dire che funziona molto bene perché nella parte posteriore, sul palco, c’è una pulizia che non ci si aspetta... l’abbattimento nel retro rispetto al fronte è veramente efficace. Comunque, loro sono rimasti molto contenti del suono dell’impianto.
“Per gli in-fill e per il centro abbiamo quattro ARCS II. Purtroppo, il palco è molto basso, perciò ci siamo dovuti inventare delle strutture vagamente mostruose con i pallet per non ingombrare la visuale dello spettacolo. Forse non è il set-up più bello possibile dal punto di vista visuale, ma devo dire che suonano bene anche i front-fill: l’ARCS II è una bella cassa. Ci sono altre tre ARCS II per lato, che riempiono le prime file dai lati e che abbiamo potuto mettere ad un’altezza idonea. Non mi piace curvare troppo gli impianti, perché il suono cambia molto quando ci si avvicina. Questo in particolare con gli impianti come K1 o V-DOSC, nei quali l’angolo tra le casse viene impostato davanti e la superficie anteriore non rimane continua... è diverso con i diffusori di sezione trapezoidale, come KARA o dV‑DOSC, nei quali l’angolo viene impostato solo chiudendo gli angoli tra i posteriori delle casse: quelli sono molto più adatti per fare delle curve.
“Sempre da loro richiesta – dice Remo – per potenziare il loro monitoraggio su palco, abbiamo montato due SB28 e tre ARCS per lato. Inoltre abbiamo fornito un monitoraggio wedge: hanno quattro wedge Clair, due a testa, da usare come PFL della zona monitor e della zona MIDI. Uno, invece, è un talkback dal mixer di palco verso il pod centrale, e un altro è nella zona stage-right per lo stage manager.
“Invece loro hanno portato con sé un sistema posteriore al pod di regia sul palco, composto di due dV‑Sub più due ARCS, e otto 108P o 8XT, sempre per il monitoraggio sul palco.
“Per quanto riguarda la matrice – aggiunge Remo – il fonico ci passa un L/R + sub. Con il L/R faccio la mia matrice dal Galileo, ed i FF escono da lì. Il Galileo serve, più che altro, come matrice ma... diciamo che la gestione dell’impianto è fatta un po’ con il network manager L‑Acoustics e un po’ con il Galileo”.
Lo show
Due parole: travolgente e vorticoso. Non commentiamo la pratica di integrare l’esperienza di un evento musicale con delle sostanze allucinogene o empatogene, ma possiamo assicurare che l’esperienza di questo concerto sconfina dalla realtà già grazie alla creatività e alla tecnologia. Non c’era bisogno di “chemical” per sentirsi un po’ fuori: sì, quei robot ballavano per aria davvero e sì, ogni momento era veramente così intenso e surreale.
L’audio, in altri termini, era perfetto. Immaginiamo che questa sia una cosa meglio realizzabile in questa situazione, con praticamente zero sorgenti microfoniche sul palco, ma è stata anche un’opportunità per sentire il K1 veramente in tutta la sua gloria e senza compromessi. Tuonava.
Visivamente, l’effetto è stupefacente… non ci sono trucchi mai visti, ma c’è un’evidente regia allo show che coordina ogni aspetto visivo e c’è un’impressionante creatività (e forse anche un giusto tocco di follia) dietro i contributi video. Ogni video sfrutta lo schermo in un modo diverso – filmati pre-prodotti, grafiche intricate, animazioni – e sfrutta anche lo spazio dello schermo in modo diverso: formati interi, simmetrie a specchio, un pezzo per volta o solo in formato ridotto dietro gli artisti. Chiaramente stiamo parlando di musica dance, creata da due artisti che non cercano di mettersi al centro dell’attenzione, perciò le luci non vengono usate molto per “illuminare”, ma per accecare, stordire e disorientare – cosa che alcune volte realizzano con la precisione di un bisturi e alcune volte con quella di un mazza da cricket.
Un’esperienza indimenticabile.
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